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Playing my game: l'intervista a AJ Tracey

La sua hit più celebre sta per superare i 160 milioni di stream. Uno scatto non scontato nella carriera di un artista che mescola garage, rap, drill con lyrics introspettive. Lui è AJ Tracey, classe 1994, nome in ascesa nel panorama musicale.

Piumino con cappuccio e passamontagna di lana, GIVENCHY.
Piumino con cappuccio e passamontagna di lana, GIVENCHY.

Photography ALAN GELATI, Styling AGA DZIEDZIC

Nato a Brixton e cresciuto a Ladbroke Grove – quartiere di Londra a cui ha intitolato la sua hit di maggior successo – AJ Tracey, all’anagrafe Ché Wolton Grant, è una delle star più in vista del rap inglese. “Flu Game” è il suo secondo disco ufficiale che, come da titolo e artwork, trova la sua fonte d’ispirazione principale nel mondo del basket. Un omaggio vero e proprio all’epica partita disputata da Michael Jordan nel 1997 a Salt Lake City, contro gli Utah Jazz. Dancehall, pop, trap e garage music rappresentano un melting pot di generi a cui attingere a piene mani, condensato in un disco di 16 tracce che l’ha trasformato nell’artista inglese del momento.

Bomber di pelle, PRADA; joggers, NIKE.

L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Dagli ambienti poveri di West London al dominio del rap britannico mainstream. Rispetto alla tua adolescenza, adesso hai più fiducia in te stesso o permangono alcune insicurezze?

AJ TRACEY: Sono cresciuto in un contesto fortunato perché mia madre si è sempre presa cura di me. La mia famiglia mi è stata costantemente vicina e questo mi ha consentito di non preoccuparmi di quello che gli altri avrebbero pensato di me. Chiaramente anche io ho le mie insicurezze, sono un essere umano, ma non rappresentano motivo di preoccupazione. Le mie radici rimangono un punto fermo della mia vita anche adesso che assaporo il gusto del successo.

LOHI: Il tuo vero nome è Ché, come il rivoluzionario argentino Ché Guevara, e tuo padre è originario di Trinidad. Questi elementi hanno segnato in qualche modo il tuo percorso?

AT: Le origini di mio padre hanno influenzato il mio back-ground facendomi scoprire sonorità tipicamente caraibiche e avvicinandomi molto alla musica reggae. Vibrazioni fortemente rivoluzionarie da un punto di vista anche culturale, poiché vettori di tematiche importanti legate al concetto di libertà degli individui.

Giacca da college, LOUIS VUITTON.

LOHI: Hai davvero iniziato condividendo musica online con lo pseudonimo di Looney?

AT: Sì, da dentro la mia cameretta mettevo in rete i miei primi esperimenti musicali servendomi della piattaforma SoundCloud e aspettavo con ansia le impressioni del mondo là fuori.

LOHI: Garage britannico, grime and drill, trap statunitense e R&B sono tra le tue influenze più riconoscibili. Come convergono generi diversi tra loro nel tuo progetto musicale?

AT: Mi muovo sulla scena londinese con una certa versatilità. Ogni artista ha il suo tratto distintivo e credo questo sia il mio. Mi piace scivolare tra le suggestioni e cerco di dare del mio meglio per far sì che il prodotto di questa mia esplorazione coincida con suoni il più possibile sorprendenti.

Gilet e pantaloni, RICK OWENS; collana, BOUCHERON; sneakers, NIKE.

LOHI: La versatilità di cui parli ti ha consentito di diventare l’a- vamposto di una giovane generazione del rap britannico che spazia con disinvoltura tra stili differenti. Perché è così importante non porsi limiti di sorta?

AT: Vivere all’interno di una scatola chiusa non porta da nessuna parte. Bisogna uscire allo scoperto per dare libero sfogo alla propria immaginazione e alla creatività. Un vero artista non vorrebbe mai sentirsi costretto, ma libero di viaggiare con fluidità verso nuovi orizzonti.

LOHI: Il tuo debutto è disco d’oro e molti dei tuoi singoli sono certifi- cati platino. Tra questi anche il summer anthem “Ladbroke Grove”. Cos’ha di così speciale quella canzone?

AT: È un pezzo davvero sorprendente. Il garage è un genere musicale molto complesso, io stesso forse sono ancora troppo giovane per decodificarlo e comprenderlo fino in fondo, ma grazie a “Ladbroke Grove” le persone hanno capito quanto io abbia cercato di rispettarne la vera essenza.

Cappotto di shearling, BOTTEGA VENETA; pantaloni, HAIDER ACKERMANN.

LOHI: Pensi che la scena rap britannica possa diventare la forza mu- sicale dominante in UK?

AT: Non ho idea di cosa succederà, ma sono certo che “the next big thing” sarà differente da tutto il resto. In UK non temiamo il cambiamento e siamo sempre pronti ad evolverci. È danna- tamente eccitante.

LOHI: I tuoi video hanno raggiunto visualizzazioni da capogiro, ma è abbastanza chiaro che non sei interessato solo ai numeri. A cosa stai puntando in realtà?

AT: Vorrei far sapere ai ragazzi là fuori che possono raggiungere ciò che io stesso ho raggiunto anche con un background povero alle spalle. È questo il mio messaggio: potere alle intenzioni.

Pull di lana e borsa a tracolla, DIOR.

LOHI: Ti abbiamo visto indossare gli abiti di Donatella Versace per interpretare la Flash Collection del marchio sulle note di “Step On”. Come costruisci i tuoi look?

AT: Amo mescolare più stili. Dallo street style newyorkese allo streetwear iconico che Kim Jones disegna per il menswear Dior. Apprezzo molto anche brand come Bottega Veneta che si impegnano a rispettare i massimi standard di sostenibilità ambientale. È questa la più grande sfida per la moda contemporanea.

LOHI: Cosa c’è nella tua comfort zone?

AT: Decorazioni ipercolorate, il mio computer e tutti i miei videogames.

Cardigan, MARNI; pantaloni, HAIDER ACKERMANN; sneakers, LOUIS VUITTON.

Team Credits:

GROOMING: Dorita Nissen @ WIZZO AND CO using BENNY HANCOCK FOR MEN and CHARLOTTE MENSAH MANKETTI RANGE;

STYLING ASSISTANT: Georgia Petrou.

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