#WONDERWOMEN: Sandra Choi
Nata sull’isola di Wight, cresciuta a Hong Kong, Sandra Choi arriva adolescente a Londra per studiare e inizia nel 1989 a lavorare con lo zio, Jimmy Choo, shoe maker malese dell’East End ancora sconosciuto al grande pubblico ma molto apprezzato per i suoi modelli su misura dall’elite londinese, Lady D inclusa. Il brand ready to wear nasce nel 1996, con l’apertura del primo store in Motcomb street e Sandra già nel ruolo di direttore creativo, che manterrà anche dopo l’uscita nel 2001 del fondatore. Nel 2011 è stata istituita la Jimmy Choo Foundation, per sostenere le donne più vulnerabili, dando loro gli strumenti per prendere il controllo economico delle proprie vite, sia direttamente che in partnership con associazioni come Women for Women International.
Come descriveresti il tuo ruolo da Jimmy Choo?
La mission del marchio è rendere felici le persone, fisicamente e mentalmente. Io devo assicurarmi che il brand sia sempre innovativo e rilevante per la donna Jimmy Choo, che è una donna libera da schemi precostituiti, con una gran voglia di divertirsi, affascinata dallʼinaspettato.
Il brand nasce con tuo zio, e, con l’eccezione di Charlotte Olympia Dellal, la stragrande maggioranza dei designer di calzature sono uomini. Credi che il tuo punto di vista e il tuo modo di lavorare siano diversi in quanto donna?
Credo che le donne designer in generale progettino l’accessorio anche in termini di funzionalità, mentre gli uomini pensano solo all’effetto estetico. Per quanto tempo resisterò su questi tacchi? La linea così elegante mi consentirà di camminare? Di correre? Di non piegare le ginocchia per mantenermi in equilibrio? Ed è molto diverso anche il modo di condurre il business: intanto per il ruolo che ci hanno insegnato, per cui cerchiamo sempre di “nutrire” le persone che ci stanno intorno, di creare un contesto accogliente e che consenta lo sviluppo delle personalità. E poi credo abbiamo una maggiore capacità di osservare le cose dall’alto, da punti di vista diversi, finiamo difficilmente, a differenza degli uomini, prigioniere di un tunnel mentale.
Dal tuo punto di vista, quali sono stati i momenti più importanti dello sviluppo di Jimmy Choo?
La prima collezione ready to wear nel 1997, l’apertura del negozio di New York l’anno successivo, l’apertura nel 1999 di quello di Los Angeles, uno spazio piccolissimo dove si è riversata tutta Hollywood impazzita per le nostre scarpe, da Halle Berry a Sandra Bullock, da Natalie Portman a Cate Blanchett. Poi “Sex and the City” che ci ha definitivamente aperto la strada del red carpet, la prima borsa, nel 2004, che doveva essere immediatamente riconoscibile, Michelle Obama con le nostre scarpe il giorno dell’insediamento, la collaborazione per la F/W 2018 con Off White...
Pump iperfemminili, sandali ultrasexy, flat decisamente aggraziate, e ancora platform, stivali, sneakers... qual è il tuo modello preferito?
Personalmente adoro gli stivali, ma credo che nell’immaginario collettivo il modello Jimmy Choo per antonomasia sia la pump con tacco stiletto.
Sono decisamente Jimmy Choo anche le scarpe gioiello e le stampe animalier...
Credo che coprire le scarpe di cristalli sia un modo coerente per comunicare positività e leggerezza. Nel nostro DNA ci sono eleganza, glamour, gioiosità e tutto il know how artigianale italiano. I nostri modelli sono edgy, ma sempre in modo bilanciato, non sono mai eccessivi, volgari. Qualche anno fa andavano di moda le scarpe “brutte”, bad taste, da un punto di vista concettuale mi interessavano molto, ma non ho voluto rinunciare alla femminilità trademark Jimmy Choo.
I tuoi designer favoriti?
Quelli della Londra anni ʼ90, John Galliano, Alexander McQueen, Hussein Chalayan e Antonio Berardi.
Quali credi siano le caratteristiche personali che ti hanno portato dove sei?
Quando lavoravo con mio zio facevamo tutti i modelli a mano. Quindi non c’è difficoltà tecnica di fronte alla quale sia disposta ad accettare un no per risposta.