Design

Real Dream, l'architetto Joseph Dirand ci parla dei suoi progetti

Dal ristorante di prossima apertura al Grand Palais agli interni dell'hotel The Chancery a Londra all'isola privata di Norman's Gay, l'architetto Joseph Dirand moltiplica i progetti.

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Joseph Dirand

Text by LAURE AMBROISE

Nel suo caso si può parlare di architettura come di un destino? «Ho sempre voluto fare questo lavoro e sono state le fotografie di mio padre Jacques Dirand che mi ci hanno spinto. E stato uno dei più grandi fotografi di architettura e di interni e il primo a specializzarsi negli anni '70, lavorando per tutti i giornali più importanti, da The World of Interiors ad AD e Vogue». Tra le immagini che ricorda di più un reportage sul lavoro di Luis Barragán in Messico. «Da bambino ero attratto soprattutto da progetti contemporanei e visionari e dalle case di architetti come Frank Lloyd Wright o Le Corbusier. Oltre alla loro struttura architettonica queste case erano piene di opere d'arte e abitate da artisti che mi hanno circondato per tutta la mia infanzia, la cui conversazione era super stimolante». Molto vicino a suo padre, gli fa anche da assistente fotografico, al punto da cominciare «a pensare ai luoghi immaginando le foto che se ne sarebbero potute fare».

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L'appartamento di Joseph Dirand a Parigi

Studia architettura di interni alla École nationale supérieure d'architecture de Paris-Belleville e fin dal secondo anno realizza dei progetti privati. A 23 anni lancia la propria agenzia: ad affascinarlo sono l'architettura del dopoguerra degli anni '50 e l'arte degli anni 60, la Land Art e l'arte minimalista americana. Influenze che lo portano a spingere al parossismo il radicale e il minimale per poi aprirsi «ad altre suggestioni per rimettere in questione le mie scelte». Oggi definisce il suo lavoro come "minimalista ornamentale", «in realtà sono due concetti opposti, ma la definizione evoca quel punto di equilibrio quando non si può più aggiungere niente e eliminare niente, quando non c'è nulla di inutile ma tutto veicola un'esperienza di cui non si può fare a meno». Dopo vari progetti privati si lancia nella concezione di boutique di lusso realizzando lo store di Balmain di cui è allora direttore artistico Christophe Decarnin.

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L'appartamento di Joseph Dirand a Parigi

«È stato un progetto molto commentato perché era la prima volta che una boutique aveva un aspetto così residenziale. Avevo ricreato questa idea di salone haute couture in risonanza con il marchio, che instaurava un contrasto paradossale con lo stile del designer la cui moda era così impegnata e così giovane. Avevo immaginato un salone di specchi molto minimalista alla maniera della scenografia di un film di Kubrick, cera questa tensione tra passato, he-ritage e modernità. La conseguenza di questo progetto è stata che tutti i gruppi del lusso mi hanno chiamato a lavorare per loro». Ha realizzato le boutique di Pucci, Balenciaga, Rick Owens, Chloé e Weston sugli Champs Elysees: «lavoravamo su marchi totalmente diversi e quasi opposti fra di loro. Per raccontarne la storia mi tuffavo nei loro universi, e passavo molto tempo con questi creatori reinventandomi in continuazione perché non avevano nulla in comune tra di loro. E stato un periodo di cinque anni che mi ha arricchito moltissimo fino a che non ho avuto l'impressione di aver provato tutti gli stili ed è venuta meno la motivazione per continuare questo tipo di esercizio». Nel frattempo realizza il suo primo ristorante parigino, Monsieur Bleu al Palais de Tokyo, che conosce un successo folle. 

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L'appartamento di Joseph Dirand a Parigi

L'idea di base? «Creare dei luoghi temporali che trovano le loro radici nel passato e che al tempo stesso rispondono ai nostri desideri di oggi». Continua realizzando i ristoranti Lou Lou, Flandrin e Girafe, e nel 2015 immagina una prima collezione di mobili. «Sono prima di tutto un architetto che ha cominciato la sua carriera con l'architettura di interni e che ora fa architettura globale. Il mobilio che ho disegnato è stato concepito per partecipare a una storia globale. Al tempo stesso sono sempre stato appassionato di mobili di architetti, non di designer, ed è il motivo per cui ho lavorato su pezzi che facevano riferimento a tutti i miei mentori, da Mies van der Rohe a Jeanneret. Sono mobili che hanno un'esistenza di per sé e sono come delle architetture in miniatura». Cosa è cambiato nel suo approccio alla architettura d'interni in questi ultimi anni? «La mia comprensione dell'esperienza più che i look, con l'esperienza fisica di un ambiente nella sua ergonomia, ma al tempo stesso l'importanza di arrivare a sezionare ciascuno dei momenti di vita delle persone che ci vivranno dentro per renderli il più magici possibile. In Francia siamo nutriti da un'arte di vivere dove tutto conta, che sia la gastronomia, la moda, la musica, l'ospitalità, tutti ambiti molto ricchi anche se siamo estremamente critici e mai del tutto soddisfatti e vogliamo sempre andare oltre. Abbiamo questa educazione classica e al tempo stesso un'anima creativa».

l Ristorante Le Jardinier a New York

«L'Italia è simile a noi con delle altre radici, ma condividiamo gli stessi elementi di base: da sempre quello che facciamo in materia di architettura di interni è tra le cose migliori mai realizzate malgrado l'evoluzione degli stili». Oggi Joseph Dirand lavora su più di 25 progetti tra Stati Uniti e Europa. Uno degli ultimi è stato la progettazione di uno yacht di 120 metri: «non avevo mai lavorato su qualche cosa che mi abbia tanto appassionato essendo completamente ignorante del settore, nutrito della mia motivazione a imparare, comprendere, vedere come la mia esperienza ha potuto trasformarsi e applicarsi in un contesto che non conoscevo per nulla, un'avventura che è durata cinque anni e mezzo. Ora sto per realizzare due altri yacht. L'hotel Four Seasons di Miami che abbiamo realizzato è un successo pur essendo il più piccolo del gruppo. La struttura era un edificio storico dove aveva sede un club privato frequentato da Sinatra e Al Capone: ho lavorato su questa referenza anni Trenta alla quale abbiamo aggiunto un edificio contemporaneo che porta il mare e la spiaggia all'interno con una palette di blu e di sabbia e dei riferimenti alle capanne di legno sulla spiaggia. Mi hanno anche affidato un altro hotel a Gstaad e un altro a Roma. A Londra ho realizzato un progetto molto atteso trasformando quella che era l'ambasciata degli Stati Uniti realizzata da Saarinen negli anni '60 in un hotel del gruppo Rosewood che si chiamerà Chancery a cui collabora David Chipperfield. Sviluppiamo ugualmente l'isola privata di Norman's Cay nelle Bahamas sul modello di Moustique: già isola di pirati, è stata sede del contrabbando del rum durante il proibizionismo prima di essere utilizzata da un cartello colombiano per farvi arrivare la droga. Ci lavoro sopra da sei anni per sviluppare un piccolo paese con la propria comunità con il minor impatto ambientale possibile. A Parigi sto lavorando sul nuovo ristorante del Grand Palais. Sto anche disegnando un pallone per andare nella stratosfera, per la società francese Zephalto che ha immaginato un viaggio spaziale. Mi hanno chiesto di immaginare tre cabine per due persone dove per circa sei ore si vivrà un'esperienza di hotellerie spaziale. Infine cerco ormai da parecchi anni di sviluppare una collezione di case straordinarie da affittare in tutto il mondo per cui individuo dei terreni e delle case storiche in luoghi particolari. Abbiamo già comprato due proprietà, una a Courchevel dove stiamo sviluppando una chalet di 2.200 metri quadri in un giardino alpino di fronte a un panorama straordinario, la seconda proprietà a Capri. Per il momento il progetto si chiama La Collection».

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