Erano gli anni 60 quando Gerald Foos, insospettabile signore di una ancor più insospettabile provincia americana, decise di punto in bianco di acquistare il Manor Motel House di Aurora, Colorado. La scelta non era dettata da alcun sogno plutocratico e capitalista nell’America ruggente di quegli anni, piuttosto dal ben più torbido e plebeista desiderio di appagare il suo voyeurismo, spiando dai condotti di aerazione gli ospiti dell’hotel, colti nelle loro intimità di passioni proibite e amori clandestini. Netflix, che raramente sbaglia un colpo, ha dedicato al fattaccio il documentario “Voyeur”, presentato per la prima volta nel 2017, ma riscoperto dai più guarda caso in tempi di lockdown, quando piattaforme ben più esplicite come Pornhub e XVideos hanno scalato la classifica dei siti web più visitati, spiaggia felice dove naufragare pigramente allupati lontano dai pessimismi esistenzialisti di quei giorni. D’altronde, si sa, il sesso è la cosa che ci rende più uomini assieme alla morte e il voyeurismo, col suo desiderio più o meno sordido e morboso di osservare di nascosto, è ormai una onnipresente componente psicologica della realtà contemporanea. Una eccitante e eccitata parafilia, absit iniuria verbo, che si nutre di Tv, web e social network alla ricerca di buchi della serratura sempre più grandi, da cui spiare bonariamente arrapati una società sempre più guardona e guardata. Se i reality show di mezzo mondo, croce e delizia di maîtres à penser e pubblico da casa, hanno ampiamente sdoganato, nel corso dei loro anni di onorato servizio, un voyeurismo da poltrona fatto di tette, muscoli e “patonze”, Instagram è il social che più di tutti è riuscito ad imporsi come spioncino preferito di questo irresistibile piacere onanista e guardone: un’orgia estetica e estetizzante, un orgasmo autentico di posts, di stories, di likes, con buona pace di beauty routine e musetti animaletti, amori e amanti, marchettari e tramonti felici, che il più delle volte finiscono per comparire tra curve bombastiche e appendici maschili più o meno strabordanti. La malizia, si sa, è sempre negli occhi di chi guarda ma, col senno di poi, forse bisognava anche aspettarsi che la censura draconiana del porno su Tumblr nel 2017, generasse un esodo biblico di Eliogabali e Messaline alla ricerca di nuove Terre da abitare e pornografare. Sicchè, in meno di due mesi, il social di David Karp perse circa 150 milioni di visite: era stato tutto l’Inferno ad aver fatto i bagagli. Sia chiaro, il grado di esplicitazione dei contenuti tra i due social era nettamente diverso ma è innegabile come Instagram, spesso morfinizzato da una perfezione estetica irreale e piccolo-borghese, abbia finito per assumere sfumature deliziosamente sporcaccione e meno politically correct, coniando i vocaboli di un nuovo linguaggio figurativo che anche la moda ha inevitabilmente finito per abbracciare. Un gioco vizioso e licenzioso, sintomatico di una diversa sensibilità, e che, salvo poche eccezioni si destreggia tra lecito e illecito, senza oltrepassare i limiti della compromissione totale. Della serie “Ciccio toccami, mamma Ciccio mi tocca”, come saggezza popolare ci insegna.
Se Vetements Uncensored, l’account “proibito” di Vetements tiene in un certo senso ancora il freno a mano tirato, l’enfant prodige dell’erotismo francese Ludovic De Saint Sernin propone ben altri contenuti, offrendo ai propri follower la possibilità di esporre carni e mercanzia direttamente nelle stories della sua pagina “X”. Il brand newyorkese Echaus Latta, del duo creativo Mike Eckhaus e Zoe Latta, si è visto più volte censurare la campagna pubblicitaria primavera/estate 2017 ad opera della fotografa Heji Shin: protagonista degli scatti una serie di coppie di vario orientamento sessuale colti nel bel mezzo dei loro amplessi. Destino altrettanto inclemente per Barragàn marchio della NYFW del designer messicano Victor Barragàn, autore negli ultimi giorni di una serie di scatti in collaborazione con GayLetter sufficientemente espliciti da incontrare la censura bacchettona di Instagram, intransigente Badessa che si sbraccia a tirar su braghe e mutande laddove sfugga qualche pelo pubico di troppo. O Tempora, O Mores! Eppure c’è chi negli anni si è spinto ben oltre certi oscurantismi calvinisti 3.0. Se ne fregava altamente Tom Ford, il Che Guevara del Porn-chic che ha fatto della sensualità e della sessualità le sue armi di rivoluzione, tra peli pubici G-shaped, trasparenze, ammiccamenti e palpatine. E se ne fregò ancora meno Karl Lagerfeld quando nel 1993, fece scalpore sulla passerella di Fendi a Palazzo Barozzi a Milano, preferendo alle top Model il top del Porno: a sfilare fu Moana Pozzi, l’eterna Regina del Porno, accompagnata dal suo stuolo di disinibite ancelle del piacere, in un’epoca in cui in Italia il porno aveva già fatto la sua rivoluzione, abbandonando i teatrini a luci rosse per andare a sedere in Parlamento (vedi alla voce Cicciolina). Morale della favola: Anna Wintour, e con lei altre rispettabilissime penne della moda, lasciarono la sala inorridite. Gli anni passano, i costumi cambiano, eppure certi preconcetti borghesi sono talmente radicati che a volte si fa fatica ad accorgersene. Tuttavia, la tendenza che va consolidandosi su Instagram nel momento stesso in cui della moda ne abbraccia l’edonismo, è qualcosa di più della ricerca del semplice appagamento estetico: è un San Giorgio che affila le proprie armi contro il Drago di un micidiale perbenismo, e rivendicare così il suo sacrosanto diritto all’osceno. Nascondere la polvere sotto il tappeto si conferma un vizio eterno al limite del grottesco, generatore di una realtà tanto patinata quanto goffa nella sua inflorescenza, e oscenità e provocazione materia da Salon des Réfuses. Della serie: “chierichetti di giorno, puttanieri di notte”, direbbe un caustico Alberto Arbasino. E come non ricordare quel mezzo diavolo di Alex DeLarge, lo spietato protagonista del romanzo “Arancia Meccanica” di Anthony Burgess, che ormai in prigione ad espiare le sue colpe e atrocità, si innamora della Bibbia secondo una personalissima esegesi che lo porta a fantasticare su perverse scene di sesso nell’Antico Testamento, mentre parroco e guardie carcerarie si illudono che abbia finalmente abbracciato le virtù cristiane. Ma si sa, “il sesso è come il cibo: mangi oggi, e hai fame anche domani”. Tom Ford dixit.
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