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La storia della vera pizza napoletana passa dal Vomero: i 108 anni della Pizzeria Gorizia

Per la prima volta dopo 93 anni, il forno acceso nel 1932 si spegne. In quasi un secolo ha servito le pizze più amate della città. Salvatore Grasso racconta il segreto della sua pizza napoletana, al Vomero dal 1916, e il motivo che lo ha spinto a rinnovare quello che per molti è un vero e proprio luogo di culto.

Una foto storica della Pizzeria Gorizia 1916 (Courtesy of Press Office)
Una foto storica della Pizzeria Gorizia 1916 (Courtesy of Press Office)

Salvatore Grasso ci tiene a raccontare in prima persona la storia della Pizzeria Gorizia, autentico luogo di culto per gli appassionati della pizza napoletana. Un racconto che si intreccia in modo indissolubile con quello della sua famiglia. La Pizzeria Gorizia nasce nel 1916, oltre un secolo fa. «Era scoppiata la Prima Guerra Mondiale», racconta, «e mio nonno fu chiamato al fronte. Poco dopo, venne congedato. Mia nonna scoprì di essere incinta». Tornato a casa, insieme a un socio, decise di aprire una pizzeria in un quartiere in rapida espansione: il Vomero. All’epoca, infatti, quella zona collinare di Napoli stava vivendo un’intensa fase di urbanizzazione, scelta dall’aristocrazia partenopea come nuova residenza dopo aver lasciato il centro storico. È in questo contesto, tra eleganti palazzi, che nasce la Pizzeria Gorizia. Il nome? La scelta fu tutt’altro che casuale. Proprio in quei giorni, la Brigata Piave – di cui il nonno aveva fatto parte prima del congedo – entrava nella città friulana di Gorizia. Quel nome, così distante geograficamente da Napoli da apparire quasi esotico, divenne l’emblema di un sogno che unisce tutt'ora memoria e famiglia.

Salvatore guarda al passato con ammirazione. «Era tutto un continuo impastare, controllare, rifare. All’epoca non c’erano scorciatoie», spiega. «Tutto si faceva a mano, senza impastatrici, senza frigoriferi. Ogni movimento era calcolato, ogni passaggio richiedeva attenzione. Era una pizzeria molto diversa da oggi». La tecnologia ha rivoluzionato il settore, ma per Salvatore l’anima della pizza non si è mai persa. «Oggi la pizza è diventata un business globale. La sua parola non si traduce: pizza è pizza in ogni parte del mondo. È la nostra fortuna!».

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La Pizzeria Gorizia 1916 (Courtesy of Press Office)

Quella volta che Totò ispirò una pizza: oggi è tra le più amate della Pizzeria Gorizia

«Zia Titina mi raccontò che un giorno, il proprietario dell’immobile, il Duca Pironti, passò per la pizzeria e disse a mio nonno: “Salvatò, oggi a pranzo arriva una persona importante. Mi raccomando”. Quell’ospite era nientemeno che il principe Antonio De Curtis, in arte Totò. A quei tempi, le pizze erano solamente tre: margherita, marinara e calzone. Mio nonno si vestì a dovere e poi andò in cucina, dove trovò pronti dei carciofi appena preparati: nacque la nostra pizza Gorizia. E fu un successo». Oggi il menù si è arricchito di nuove proposte, frutto di creatività e memoria affettiva. Salvatore insiste perché assaggi “Chella là”, una pizza dal nome curioso nato per caso: un cliente, non ricordando il nome esatto, disse al cameriere «Sì dai, quella là», e così è rimasta. Si tratta di una marinara piccante, arricchita con il sugo del ragù e scaglie del provolone del monaco a crudo. Ma è con la Margherizia che Salvatore firma la sua creazione: «Una margherita che è una delizia», come ama definirla lui. Tre varietà di pomodorini, tre tipologie di mozzarella - provola di Agerola, mozzarella di bufala e fior di latte -, un equilibrio perfetto tra dolcezza e sapidità. Il gusto è davvero all’altezza del nome. 

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La Pizzeria Gorizia 1916 (Courtesy of Press Office)

Dai primi del '900 la clientela è cresciuta, ma il rapporto umano è rimasto lo stesso. «Una volta, un signore di 70 anni è venuto con i suoi nipoti. Mi ha detto: "Io venivo qui con mio nonno, ora porto i miei nipoti". Questa è la magia della nostra pizzeria», mi racconta con un sorriso che mescola fierezza ed emozione. Emozione che riaffiora se gli chiedo qual è il primo ricordo in pizzeria: «Uscivo da scuola e passavo da mio nonno. Mi dava sempre un pezzo di pizza. Era sottile, cotta nel forno freddo, era quella che preparava per chi lavora con lui, diventava ancora più buona raffreddandosi. Mio cugino arrivava poco dopo, stessa scena. Eravamo parte del rituale». Come dev'essere la vera pizza napoletana? Salvatore predilige l’impasto soffice, quello che gli ricorda i sapori dell’infanzia. «Era la pasta che piaceva a mia madre», spiega. Dopo decenni a sfornare pizze, al primo sguardo capisce se una pizza è degna del nome Gorizia: «Appena una pizza esce dal forno, capisco all’istante se è venuta bene». 

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L'interno della Pizzeria Gorizia 1916 (Courtesy of Press Office)

Il restyling della Pizzeria Gorizia e la liaison con lo champagne stellato Krug

«Mio nonno si chiamava Salvatore, mio padre Salvatore, io Salvatore, mio figlio Salvatore. Siamo una dinastia», racconta con un sorriso ironico, ma lo sguardo fiero di chi porta avanti una storia di famiglia. È proprio il figlio, Salvatore Marco, l’artefice della trasformazione che ha proiettato la storica pizzeria di famiglia nel XXI secolo. Dopo una laurea in ingegneria e anni di esperienza in giro per il mondo, ha scelto di tornare a Napoli per prendere raccogliere il testimone alla guida della pizzeria di famiglia, con l’intenzione di custodirne la tradizione ma anche di reinventarla. Il locale, tappa obbligatoria per chi cerca la vera pizza napoletana, è oggi anche una meta imprescindibile per gli estimatori del buon vino. «Negli anni siamo passati dalle iniziali 15 etichette alle attuali 300». Con una cantina che è la più apprezzata della città. E a suggellare questo percorso d’eccellenza, l’ingresso della pizzeria nel prestigioso progetto Ambassade di Krug: un riconoscimento rarissimo in Italia, assegnato solo a una manciata di ristoranti selezionati — e appena due pizzerie. Ma Salvatore guarda avanti, con idee chiare e ambizione. Dopo il restyling «che lascerà intatta l'anima del ristorante ma ci permetterà di allargare l'orizzonte e alzare il livello del nostro servizio, sogno una stella Michelin». 

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