Antonio Marras AI17/18
Da un lato, l’Ashkarums di Sergej Paradžanov, regista, musicista e pittore armeno la cui opera “incontrata per caso, nel 2007 a Parigi” in una mostra, ha incantato Antonio Marras. Dall’altro l’ispirazione del personaggio di Lady Chatterley tratto dal romanzo di D. H. Lawrence ed interpretato nella versione cinematografica degli anni Settanta da Sylvia Crystel.
Queste i due riferimenti principali che hanno ispirato le collezioni, rispettivamente maschile per l’Autunno Inverno 2017-2018, e femminile per la Pre-fall 2017 del designer.
“Vedo cose e vedo gente e faccio mio quello che mi attrae irresistibilmente. Lo immagazzino, lo accantono, lo metto in un cassettino della mia mente e poi, al tempo giusto, ci vuole il tempo che ci vuole, riaffiora e vuole urlare.”
A fare da cornice alla sfilata è stata Nulla Dies Sine Linea, la mostra che racconta i trent’anni della sua vita d’artista al museo della Triennale. L’immaginario onirico di Haunted è quello di un castello delle High Lands scozzesi, popolato da creature impegnate a danzare, marciare, bere un thé. A volare, a sognare, ad amarsi. “Portare la sfilata qui” ha spiegato Marras, “significa coniugare le cose che faccio, farle vedere insieme e far vedere che sono un tutt’uno, poiché nascono dallo stesso momento e dallo stesso bisogno”.
“Lavoro pensando che non ci siano barriere o divisioni tra le arti: la moda, la danza, il cinema, il teatro, tutto è profondamente interconnesso”, spiega il designer. Non sorprende così, trovare all’entrata di Nulla Dies Sine Linea, un gruppo di ballerini impegnati in una performance di danza contemporanea che rende omaggio al genio di Pina Bausch. Toni militari, kilt, strati di maglia e un abito plissé a stampa animalier ne accompagnavano i passi.
Nella collezione l’ornamento diventa elemento comunicativo e simbolico: stratificazioni, incrostazioni, sovrapposizioni di tessuti, pizzi, ricami, cuciture; decostruzione e riassemblaggio, estrapolazione di frammenti e dettagli stilistici, accumulo di applicazioni impazzite, pezzi di tessuti, brandelli di materiali manipolati e ri-contestualizzati.
C’è, poi, l’attenzione posta sulla memoria e sul tempo, la memoria personale e collettiva che impregna le trame e si fonde in una sola dimensione onirica e visionaria. “Perché c’è bisogno di tempo per assimilare, capire, entrare in simbiosi con un mondo, con una storia, con un personaggio in modo che possa diventare così tuo da poterlo raccontare con parole tue”, ha affermato ancora lo stilista.
La palette cromatica spazia dai colori ossidati di bronzo, ottone, piombo, oro, avorio, sabbia, grigio-verde e testa di moro, rischiarati dalle esplosioni luminose di bianco, turchese, porpora e giada brillante.
Anche i tessuti giocano gli uni con gli altri, si stratificano e si sovrappongono in un crescendo di contrasti o di similitudini. Taffetà metallico, lino lavato, shantung stretch cangiante, organza, crêpe, rigati stuoia, tweed di lino sovratinto, e ancora broccati, fil coupé, damaschi, jacquard e pizzi macramè, pelle laminata.
I volumi dei pantaloni maschili sono ampi, mentre nelle giacche doppiopetto appaiono improvvise finestre di nudo. La donna Marras veste invece lunghi abiti sensuali o severe camicie decorate, stivaletti vittoriani o Mary Jane effetto rettile dall’alto plateau. Si passa con agilità dallo streetwear alla grand soirée, in un contesto performativo il cui imperativo è alternare rigore e ornamento, accumulazione e sottrazione: “occorre l’eccesso, l’eccentricità contro il luogo comune, la banalità e l’uniformità”.
Haunted è un omaggio a tutti i popoli in fuga. E un avvertimento, per coloro che hanno la fortuna di restare.