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The Now Icon: Adriano Giannini

Dal buen ritiro dell’Isola d’Elba l’attore ripercorre alcuni momenti della sua carriera: dalle battute con Clooney sul set di “Ocean’s Twelve” agli orsi in Transilvania che di notte mangiavano la scenografia di “Dolina”. Fino ai chili di pane cucinati in quarantena

Gentile, affabile nei modi, a tratti schivo ma anche estroverso, Adriano Giannini è un gentiluomo come pochi ne sono rimasti. Non ama la fama, onora la sua privacy e quella della famiglia costituita un anno fa con Gaia Trussardi. Quando non recita o non è intento a prestare la sua voce a qualche big di Hollywood, si ritira nelle colline dell’Isola d’Elba, nuota in piscina con il suo amato cane, si diletta a scrivere favole per bimbi o a preparare il pane. Attore dalla prolifera carriera, doppiatore ad alti livelli, sex symbol (incosapevole). Un uomo che pecca di modestia. Perché di traguardi artistici ne ha raggiunti. Senza smaniare, senza strafare, scegliendo progetti ai qua- li sentiva di poter prendere parte, senza ricalcare le ingombranti orme del padre Giancarlo, se non per pochi isolati episodi dove si sono scambiati le parti. Ha lavorato per Gabriele Muccino, Paolo Sorrentino, Saverio Costanzo, Francesca Archibugi, Jean-Jacques Annaud e Soldini, tanto per citarne alcuni, e ha esordito lui stesso alla regia con il corto “Il Gioco”, tratto da una novella di Andrea Camilleri, di cui è stato anche produttore e sceneggiatore.

Raccontaci del film di Daniele Lucchetti “Lacci”, presentato a Venezia.
Il film è stato presen- tato in un’edizione particolare del Festival, l’accoglienza è stata più che positiva. È la storia drammatica di una coppia; io interpreto uno dei due figli, che ne pagano le conseguenze.

Quali sono i registi con i quali ti sei trovato più in sintonia?
La sintonia tra regista e attori è fondamentale, però non capita spesso, con Daniele Lucchetti è capitato. Abbiamo girato a Napoli in un clima di relax, in una città che ci ha accolto. Le riprese avevano un ritmo serrato ma non sono mancati i momenti di condivisione, scambio e dialogo. Ricordo anche l’esperienza con Paolo Sorrentino in “Le conseguenze dell’amore”. Mi ha scritturato dopo avermi visto su un set. Io e Toni Servillo siamo arrivati sul suo senza avere mai provato. Ci siamo lanciati, pur non conoscendoci, in alcune scene. Il rapporto con lui è stato speciale.

Qual è il set che ti ha regalato l’esperienza più divertente?
Mi viene in mente “Dolina” con la regia di Zoltán Kamondi. Un film che ho girato in Transilvania per cinque mesi. Un dramma fatto di mondi immaginari ambientati sui monti Carpazi, con costumi originali degli anni post-dittatura comunista. Con il regista ho avuto uno scambio unico di idee e ho potuto suggerire la mia; restavamo fino a tarda notte a lavorare alle scene per il giorno dopo. C’era un’atmosfera magica, simile a quella del cinema neorealista del dopoguerra in Italia. Con gli orsi che mangiavano (letteralmente) la scenografia ogni notte. Questa è forse l’esperienza più totale e divertente che ho avuto nel cinema. Indimenticabile.

BRUNELLO CUCINELLI Cappotto doppiopetto con bottoni di metallo, giacca di tessuto tartan, t-shirt a maniche lunghe, pantaloni di velluto e scarpe stringate di pelle. Occhiali, Persol. Calze, Calzedonia.
BOTTEGA VENETA Cappotto doppiopetto di lana, camicia e pantalone ultrafit.

Un aneddoto da set curioso?
Sul set di “Ocean’s Twelve”. Mi ricordo il giorno del provino fatto qui a Roma, in cui decisi di uscire da casa ve- stito come il personaggio che andavo a interpretare. Mi ero comprato degli occhialetti a un mercatino, quella volta volevo proprio “fare” l’attore, pur sapendo che sarei stato preso in giro. Ore di coaching per l’inglese, due take ed era fatta: provino passato, sarei andato a Los Angeles da Steven Soderbergh. Passa qualche giorno e ricevo il copione nuovo. Il mio ruolo non c’era più, niente film. Ricevo poi una chiamata sul cellulare da Steven in persona, mi chiede perché non voglio fare il suo film. Pensavo fosse lo scherzo di un amico. Mentre discutiamo gli dico “Posso venire a fare gli spaghetti, se proprio vuoi che venga, perché la mia parte non c’è più. Oppure vengo a fare l’operatore e cucino gli spaghetti”. Lo feci ridere, mi disse che i suoi copioni cambiavano continuamente, che anche Clint (Eastwood) veniva solo per un cameo, quindi di partire. Alla fine sono andato, il copione era stato riscritto, il personaggio c’era; ho girato ma alla fine hanno tagliato la mia parte. È stata comunque una grande esperienza, ho rivisto Matt Damon con cui avevo lavorato come operatore sul set de “Il talento di Mr. Ripley” e George Cloo- ney che mi ha detto di essere un mio fan. Gli dissi di non prendermi in giro.

Hai vinto il Nastro d’Argento per il doppiaggio di Joaquin Phoenix in “Joker”. Qual attore ti piace doppiare?
Ultimamente ho doppiato Joaquin Phoenix in un po’ di film. Lui e Christian Bale sono tra i più divertenti, difficili, impegnativi, perché sono grandi attori e fanno sempre delle cose imprevedibili, però essere al doppiaggio è anche una grande occasione per imparare, per vedere e rivedere lo stesso ciak, devi capire come restituire la loro interpretazione. Li studi per doppiarli ma li studi anche da attore. Doppiare è recitare, ma non è vero il contrario. Per Joker è stata dura, non bastava la tecnica, dovevo entrare dentro la testa di Joaquin e capire come stava vivendo il suo personaggio. Una sfida riuscire a dare tutte le sfumature di voce di un malato mentale. Stavo per diventare matto anch’io.

GIVENCHY Cappotto doppiopetto di lana, pantaloni e boots in vernice. T-shirt vintage.
L.B.M.1911 Blazer doppiopetto. Camicia e pantaloni di lana, Caruso. Scarpe stringate, Church'sv. Foulard vintage.

Anche tuo papà Giancarlo ha doppiato un Joker. Doppiaggio e recitazione sono due questioni di famiglia?
Sì, mio padre è stato la voce di Joker — Jack Nicholson in “Batman” di Tim Burton. I Joker sono un po’ alla Giannini-style. Scherzi a parte, io non ho mai voluto fare l’attore e, contrariamente a quel che si può pensare, non andavo sui set da mio padre. I miei si sono separati presto, io ho iniziato a frequentare il cinema dai 18 anni, solo dopo è diventato la mia casa. Il mio sogno era lo sport ma mentre stavo finendo il liceo a mia madre (Lidia Giampalmo, attrice, sceneggiatrice, doppiatrice e regista, ndr), venne offerto di girare un film e le chiesi se potevo lavorare. Volevo guadagnare dei soldi per andare in America a imparare bene l’inglese. Lì feci la gavetta come operatore, un lavoro che poi fu il mio per dieci anni. Uno dei primi film come attore è stato invece “Swept Away” di Guy Ritchie (remake di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, nda), l’unica volta in cui mi sono immedesimato in un ruolo di mio padre.

I tuoi prossimi progetti?
Ancora tutto top secret, ma dovrei girare una serie tv per il 2021.

Qual è il ruolo di un personaggio pubblico in questo momento di cambiamenti culturali? Alcuni artisti si stanno esponendo su tematiche razziali, per i diritti LGBT o sul femminismo.
Credo che l’esposizione se onesta, leale e non strumentalizzata sia giusta e corretta. Trovo meschino quando le situa- zioni sono usate per ottenere pubblicità.

Quanto conta la bellezza per fare l’attore?
I sex symbol sono venuti meno quando hanno tolto la locandina di “Butch Cassidy” con Robert Redford e Paul Newman. Credo che nell’era social la bellezza sia un tema fin troppo impor- tante, rappresenta l’effimero. C’è sicuramente un movimento di sensibilizzazione verso altri tipi di estetica, però media e comunicazione si muovono ancora su canoni ormai superati.

Ha ancora senso parlare di eleganza e se sì in che termini?
Una persona elegante è una persona capace di gestire lo spazio che ha a disposizione per sé e per gli altri con una certa grazia interiore. Quelli vestiti “da eleganti” non mi convincono. Nell’abbigliamento adoro il casual ma non disdegno lo smoking, mi piacciono le camicie ben fatte.

Come definiresti il tuo stile di vita e il tuo rapporto con la natura?
Sono stato sensibilizzato a uno stile di vita sano. Avevo una nonna tedesca che faceva il pane in casa.Ricordo che alle elementari e alle medie mangiavo quello integrale, quando la parola integrale non era ancora nel vocabolario... Durante l’isolamento per il covid mi sono dilettato a macinare la farina biodinamica e a panificare. Ho sfornato e regalato un sacco di pagnotte! Nel quotidiano cerco di essere il più sostenibile possibile, con un approccio molto rispettoso verso la natura.

GIORGIO ARMANI Cappotto vestaglia di tessuto tecnico con rever di velluto profilato di pelle, camicia di popeline e pantaloni.
TOD'S Cappotto doppiopetto di lana, pull, pantaloni di denim e mocassini.

Photographer Julian Hargreaves
Stylist Giorgia Cantarini
Grooming by Chiara Bussei @ WM Management
Photographer Assistant Sara Pittavino

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