Lofoten Dreams
La Norvegia è una delle mete europee che ho sempre sognato di visitare. La sua natura, i suoi colori, i suoi climi, i suoi contrasti. Per un motivo o per l’altro, però, non mi ero mai spinto così a Nord nel nostro caro Vecchio Continente. Fino a qualche settimana fa, quando arriva un invito particolarmente gradito.
Si tratta di un viaggio. Ebbene si, proprio in Norvegia. Non una Norvegia qualunque, se mai fosse possibile disperdere con un aggettivo indefinito il caleidoscopio emotivo che questa nazione è in grado d’offrire, ma svariate centinaia di chilometri nelle isole Lofoten. Un’avventura on the road che si sarebbe snodata per i nastri d’asfalto del celeberrimo arcipelago, un paradiso terrestre variopinto e frastagliato al di là del il Circolo Polare Artico. Si, rispondo, sono pronto.
Da Milano Linate a Oslo, dalla capitale norvegese alla più settentrionale Harstad.
Qui, davanti all’hotel, mi attende la mia compagna di viaggio. Ha fatto molta strada per incontrarmi, da Sant’Agata Bolognese fin lassù, su una bisarca (molto) ben assicurata.
La Lamborghini Huracán EVO è una supercar a tutto tondo. Un tondo perfetto, che è val però la pena di definire con qualche numero: cilindri 10, cavalli 640, chilometri orari 325 (ma in realtà qualcosa in più). Una belva.
Cifre da capogiro che vengono addomesticate dalla tecnologia: posteriore sterzante, ripartizione della coppia tramite Torque Vectoring sulle quattro ruote motrici, sistema Lamborghini Dinamica Veicolo Integrata (LDVI) che controlla ogni aspetto del comportamento della vettura per anticipare le azioni e le esigenze di chi la guida e tradurle in una dinamica di guida perfetta.
Non male, no?
In macchina, nel sedile passeggero trovo anche un nuovo amico. Si chiama Robert, è un fotografo norvegese con le braccia sapientemente tatuate. Sembra d’origine vichinga, ma in realtà è nato a Praga. Ama la natura e gli sport all’aria aperta, vive qui praticamente da sempre. Lui, le strade che stiamo per percorrere le conosce molto bene: le usa ogni giorno con la sua VW Golf GTE ibrida. Qualcuno dice che questa vettura sia “il tappeto rosso per entrare nel mondo dell’elettrico”. Bah, può essere. Di Lamborghini, dal vivo, non ne ha viste tante in vita sua. Prima di sedermi al posto di guida per fare le tutte le regolazioni millimetriche del caso, gli spiego a cosa sarebbe andato incontro.
Robert è sinceramente emozionato, esattamente come lo sono io. La differenza è che lui non sa cosa succede quando un V10 di questo tipo sale rabbioso dai 5000 agli 8000 giri al minuto in modalità Corsa. Gli prometto che non esagererò e che la sua scoperta di questo crescendo musicale sarà lenta e graduale. Mentendo spudoratamente. Lasciamo il centro abitato in modalità Strada, la più docile e confortevole ovvero come poter portare a spasso la cavalleria che aveva una Formula 1 nei primi anni Novanta senza (quasi) sentirli.
Passiamo alle strade interurbane, sinuose e ricche di saliscendi. Obbligo Robert a concedermi di schiacciare il selettore posto nella parte inferiore del volante in modalità Sport. Quello capace di cambiare l’anima della vettura in una frazione di secondo. Il design del cruscotto diventa più aggressivo, il sound della vettura cambia in meglio, lo sterzo si fa più preciso e le sospensioni più rigide. Al primo rettilineo “buono” do un affondo con il piede destro, senza esagerare. Robert sgrana gli occhi. Gli do una pacca sulla gamba sinistra e lo rassicuro. Questo è solo un assaggio, ma capisce che la sua costosa macchina fotografica è meglio che stia a terra, tra i suoi piedi, con l’obiettivo bloccato sotto al sedile.
Davanti a noi si stende un lungo tunnel scuro, una manna dal cielo - penso io. Esiste un momento migliore per passare direttamente alla modalità Corsa? No. Non qui, dove il codice della strada è molto ferreo. Poco tempo prima, il mio nuovo amico mi aveva detto che si superano di troppo i limiti di velocità si finisce in galera. Qui in Norvegia. Titillo il pulsante apposito nuovamente, da Sport a Corsa. Il display davanti a me diventa tutto un contagiri con il numero della marcia al centro, capisco di aver fatto la cosa giusta. Non faccio neanche in tempo ad accorgermi che gli scarichi posteriori hanno aperto le loro fauci al massimo e schiaccio. Catapulto circa 1500 chilogrammi, Robert e me da 30 km/h a non so quanto, perché ho già frenato. Abbiamo infilato la terza, forse eravamo a 160 km/h. O era la quarta? Il limitatore ride di gusto. Il mio navigatore anche, ride per non piangere e non riesce a smettere. Robert non ridere, perché da adesso in poi, fino a questa sera a cena e anche per l’intera giornata di domani, io guiderò solo in modalità Corsa. La più affilata, la più impressionante. Un orgasmo multisensoriale che solo un’arma di questo calibro può farti raggiungere. Ogni tanto arrivo in curva come un proiettile e pinzo con i carboceramica belli caldi: loro non fanno una piega, i tattoo del mio amico, invece, quasi finiscono fuori dal parabrezza.
Ah si, giusto. Ci sono delle montagne meravigliose, delle spiagge che sembrano quelle dei Caraibi (ma sono deserte, perché la temperatura dell’acqua è quella di una vodka on the rocks) e dei fiordi meravigliosi. Gli stoccafissi. La gente che fa trekking con la tenda. E l’Henningsvaer Stadion.
Vivo ogni pausa, ogni pranzo, ogni foto di gruppo come un dolce ostacolo che si prende gioco del mio desiderio spasmodico di ritornare in macchina. Voglio guidarla ancora e farla correre, voglio far alzare il pollice a chiunque ci veda passare. Chi riesce fa una foto, qualcuno fa un video, tutti rimangono a bocca aperta. Anche perché dietro di me, di Lamborghini ce ne sono 9.
Arriva, inesorabilmente, l’ora della cena. Significa parcheggiare la Huracán EVO e dare la chiave elettronica a chi di dovere.
Sono soddisfatto e ho fame. A pranzo quasi non ho mangiato per la smania di guida che avevo.
Sono le 23, la luce è sempre più o meno la stessa che c’era alle 20. E alle 2 del mattino la storia non cambia. Tra me e me penso che sia quasi una beffa: poter avere la fortuna di guidare ancora, per tutta la notte, senza il buio e fino all’alba del giorno successivo, ma esser costretti (anche dalla stanchezza) ad un sonno forzato.
Tra l’altro siamo a Nusfjord, in un ex villaggio di pescatori fatto da casette in legno rosse, bianche e gialle. Una favola rimasta (quasi) intatta da oltre un secolo, trasformata in un resort per i viaggiatori di oggi. Una vera delizia.
Il giorno successivo, ore 8 in punto, si ritorna a macchina, tra Alcantara e carbonio.
Devo far guidare Robert, ho l’obbligo (non solo morale) di farlo. Siamo in due, non posso fare da Harstad a Nusfjord e ritorno senza aver fatto provare una Lamborghini ad un ragazzo amante della natura che di solito guida una vettura ibrida. Ripetendomi come un mantra che devo essere altruista, faccio accomodare il nuovo pilota nella sua postazione.
È ben più alto di me, quasi s’incastra. Arretra il sedile per svariate decine di centimetri, regola il volante in altezza e via, si parte. Due giorni fa aveva 204 cavalli da gestire, ora ne ha 436 in più. Si sorprende di quanto, in realtà, farlo sia molto più semplice di quanto potesse immaginare nonostante le mie brevissime anticipazioni.
Usa solo la modalità Strada e quando prova a schiacciare sull’acceleratore s’accontenta dei 5000 giri. Non c’è verso di spingerlo a chiedere di più.
Mi rendo conto in quel momento, non solo di avere una passione davvero maniacale per i motori, ma anche di essere molto fortunato, avendo avuto, in passati non remoti, svariate possibilità di divertirmi con motori di questo stirpe davvero unica alle mie spalle.
Convinco Robert a passare alla modalità di guida successiva, invitandolo a “sentire” i cambiamenti della vettura in termini di rilascio della potenza e di precisione di guida. Non è avvezzo al cambio manuale, figuriamoci al paddle shift. Lui ama lo Sport mode, perché “the noise is so better, but the car keeps changing gear autonomously”.
Va bene, se a te piace così, capisco. Prova solo a mettere in Corsa, accelera fino a 6000 giri e usa il bilanciere di destra per passare alla marcia superiore. Dai su, coraggio. Nonostante i numerosi tatuaggi che illustrano divinità Vichinghe ed episodi memorabili della sua avventurosa vita, Robert tentenna. Teme il mezzo meccanico. E sfido chiunque non abbia mai guidato una Lamborghini in vita sua a fare altrimenti. Poi lo fa, facciamo uno sparo a palla di fuoco su un rettilineo alberato, Robert ammutolisce, rimette in modalità Strada. E proseguiamo in silenzio fino a Svolvær.
Parcheggiamo la macchina, la chiudiamo, ci infiliamo cerata, maschera, stivali impermeabili e cappuccio. Si parte per una gita in gommone a visitare altri fiordi. Uno in particolare, Trollfjord, è meraviglioso. Ci hanno anche girato un film, con un attore famoso, uno di Hollywood. Si si. Andiamo alla ricerca delle aquile di mare. Due metri e mezzo d’apertura alare. Sono così grandi da far impallidire una Lambo. Si gettano a pelo d’acqua per catturare i pesci che riportano sulle rocce da cui erano partite qualche decina di secondi prima. La natura, che cosa meravigliosa.
Bene, è tempo di rimettersi in marcia, Pulsante Start, modalità Corsa e via. Davanti a me, nella vettura che mi precede, c’è il CEO di Lamborghini, Stefano Domenicali. Guidiamo in carovana, fino ad Harstad. Ogni tanto una galleria, due boati, un’inchiodata. Ogni tanto un rettifilo e qualche sorpasso. Musica per le orecchie. Poi arriva il momento di salutarci. Ciao Huracán EVO, ciao motore V10. Non mi piacciono i saluti melanconici. Gli addii tanto meno. Facciamo che sia un semplice arrivederci.