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Gillian Anderson e il suo status quo da icona in "The First Lady"

Gillian Anderson è diventata a Hollywood "quella su cui contare" quando si tratta di donne incredibile della storia. Qui l'attrice riflette sull'essere sempre meno interessata ai ruoli da eroina conquistatrice, e racconta la parte da cui non è stata capace di staccarsi. E le opere d'arte che l'hanno emozionata, come non avrebbe creduto possibile.

Gillian Anderson indossa VALENTINO ANATOMY OF COUTURE
Gillian Anderson indossa VALENTINO ANATOMY OF COUTURE

Foto Nick Thompson
Fashion Oliver Volquardsen

Ci sono momenti in cui si intervistano attori, e si sospetta che non stiano ascoltando tanto le domande che si fanno, in quanto aspettando la loro occasione per pubblicizzare il progetto a cui stanno lavorando al momento. Parlare con Gillian Anderson, non è così. Durante l'intervista, l'attrice, attivista, autrice, e recentemente nominata conduttrice di show audio è generosa, franca e forse, più importante nel nostro caso, assolutamente imperterrita dalla mancanza di una chiara connessione WiFi nella fattoria gallese dove si trova con i suoi figli per la loro pausa.

Gillian Anderson, divenuta famosa su scala mondiale e figura di culto negli anni ’90 grazie a “The X-Files”, anziché attenersi per inerzia allo stesso tipo di personaggio, è apparsa in una serie di successi di pubblico e di critica interpretando donne forti e complicate: “The Fall”, “Sex Education”, “The Crown”, “The Great” e, più di recente “The First Lady”, la serie televisiva drammatica antologica americana creata da Aaron Cooley, in cui interpreta Eleanor Roosevelt, in tandem con Viola Davis (Michelle Obama) e Michelle Pfeiffer (Betty Ford). L’opportunità di interpretare donne come queste non capita tutti i giorni, dice Anderson: «Del tipo che devi dire di sì prima di starci troppo a pensare».

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Gillian Anderson indossa abito VALENTINO Scarpe CHRISTIAN LOUBOUTIN Orecchini DAVID MORRIS

L'OFFICIEL: Congratulazioni, hai appena vinto un premio Icon al Canneseries Festival, com’è andata?
GILLIAN ANDERSON: Quello che ho detto quando sono stata là è che una persona non può riferirsi a se stessa come a un’icona: sono gli altri che lo devono stabilire. E l’unico modo che ho di pensare a me stessa come a un’icona è in relazione ad alcuni dei personaggi che ho interpretato e che sono in qualche modo icone storiche o letterarie. E che se attraverso di loro quella è la percezione di me – che bello!

LO: Ho appena visto i primi cinque episodi di “The First Lady”. Sei fantastica nei panni di Eleanor Roosevelt. Che cosa ti ha attratta di quel ruolo?
GA: Beh, lei mi affascina. Ammiravo da tempo il suo altruismo e le sue azioni. Ma è stato solo quando ho iniziato a fare ricerca e a immergermi nella sua vita, nelle difficoltà affrontate da giovane, che ho capito il livello del suo impegno al servizio degli altri... Aveva davvero una profonda compassione per gli esseri umani sofferenti. È stato un onore essere lei per un po’ di tempo, avere il permesso e un motivo per studiarla come si deve. Sono molto contenta di aver detto sì. Anche se all’inizio è stato tipo, “Cosa?!” Io sono alta un metro e sessanta e lei era quasi uno è ottantatre, non ha senso! Ma spero che la gente non ci faccia caso.

LO: Cosa cerchi in un personaggio quando lo scegli?
GA: Non penso di puntare dritto a “donne forti”, sono egualmente attratta da – e potrei anche concentrarmi di più su – donne che trovano la vita un po’ più sfidante di alcune delle donne che ho interpretato, donne che hanno dei problemi, che possono essere forti in termini di resilienza, ma che combattono giorno dopo giorno i casi che la vita mette loro di fronte. È un qualcosa che mi interessa come attrice e come essere umano più degli apripista assoluti.

Gillian Anderson indossa giacca, pantaloni e scarpe DIOR

LO: Dopo “Sex Education” che è stato un successo enorme, la gente ha iniziato a farti tutto il tempo domande sul sesso?
GA: In realtà non è successo. Solo una volta mi è capitato con un uomo molto ubriaco, poco dopo che era uscita la serie e ho pensato, “Merda, sarà così la mia vita adesso?” Ma è stato un caso isolato, sono stata risparmiata.

LO: Hai sempre voluto essere una attrice?
GA: Non sempre. Da giovane stavo prendendo in seria considerazione la biologia marina, sebbene l’oceano mi faccia paura. Voglio dire, non proprio paura paura – in effetti a voler essere del tutto onesta, ho una specie di paura. E volevo studiare gli squali, ma sono terrrorizzata dagli squali. Non so da dove mi veniva quell’idea e quanto fosse reale, prima che scoprissi la recitazione e realizzassi che era qualcosa non soltanto che potevo fare, ma che anche altre persone pensavano che potessi fare. La recitazione ha in qualche modo spostato il focus e le prospettive della mia vita, è stata una cosa grossa. Ed è diventata la mia vita.

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Gillian Anderson indossa cappotto ATSUKO KUDO Scarpe JIMMY CHOO Orecchini CHANEL

"La recitazione ha in qualche modo spostato il focus e le prospettive della mia vita... mi sono sentita come se all'improvviso avessi uno scopo. Credo che l'idea o il desiderio di recitare fosse già in me, ma non ricordo che cosa l'ha scatenato"

LO: Quando è successo?
GA: Forse avevo 12 anni. Ci eravamo trasferiti a Londra dal Michigan con la mia famiglia, credo che l’idea o il desiderio di recitare fosse già in me, ma non ricordo che cosa l’ha scatenato. Poi feci un’audizione e non andò bene, così pensai, “Va be’, la cosa finisce qui; chiaramente non sono capace”. Però poi ho finito per riprovarci ancora e sono stata scritturata. Mi sono sentita come se all’improvviso avessi uno scopo. Recitare ti fa sentire potenzialmente in pericolo di vita come se nuotassi tra gli squali. Ci sono stati dei momenti in cui sto per andare sul palco per la prima di uno spettacolo e penso che potrei morire. Potrei semplicemente collassare e morire.

LO: Quando interpreti una parte, è difficile poi lasciarla dopo che tutto è finito? La porti con te?
GA: Di solito no. L’unica che mi sono portata dietro è Blanche DuBois e non so perché. (Anderson è stata protagonista della rappresentazione teatrale di “Un tram chiamato desiderio” a Londra nel 2014 e a New York nel 2016, ndr). Ogni volta che rispondo a una domanda come questa mi viene sempre da premettere che non penso agli altri personaggi da me interpretati come meno importanti, ma poi mi fermo, perché c’era qualcosa di profondo nella mia connessione con lei, e forse non c’è nessuna come lei; forse non ci sarà mai nessuna come lei per me e questa cosa deve essere ok. Perciò parlo dei personaggi secondi in graduatoria, esperienze fenomenali e straordinariamente importanti per la mia vita, per la mia carriera e per chi tra il pubblico si connette con loro. Eppure per qualche ragione sono in grado di lasciarli fuori dalla porta. Sono sicura che le persone con cui vivo direbbero che mentre interpretavo Margareth Thatcher mi comportavo in modo un po’ diverso, ma sono certa di lasciarli fuori dalla mia vita.

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Gillian Anderson indossa VALENTINO

"Il mio artista preferito? Di sicuro Rothko. Sono rimasta profondamente toccata da una sua mostra a Londra qualche anno fa, mi ha proprio sorpresa. Amo Peter Doig, Louise Bourgeois, Sarah Lucas e Kara Walker. Ma Anche certi classici: amo Vincent Van Gogh e derti periodi di Pablo Picasso. Amo Balthus... Spazio molto come tipologia"

AC: Sento che qualcuno più psicanaliticamente esperto di me potrebbe tracciare un collegamento immediato tra il tuo voler essere una biologa marina, sommersa dagli squali, e il voler recitare, sommersa in un personaggio. Non sono così sicura delle mie capacità analitiche, ma qualcosa c'è!
GA: È interessante. Non ci avevo mai pensato prima. C'è sicuramente un'immersione e a volte sembra che sia altrettanto pericoloso. Recitare sembra essere potenzialmente pericoloso come lo è il nuotare con gli squali. Ci sono state volte in cui stavo per salire sul palco per la prima e ho pensato che potrei morire davanti al pubblico. [Ride] Potrei semplicemente crollare e morire.

AC: Quando si assume un ruolo, è difficile lasciarselo alle spalle quando è finito? Lo porti con te?
GA: In realtà non lo porto con me. L'unico che ho portato con me è Blanche Dubois, e non so perché. [Nota: la Anderson ha recitato in una versione teatrale di A Streetcar Named Desire a Londra nel 2014 e a New York nel 2016]. Ogni volta che rispondo a una domanda come questa vorrei sempre fare una premessa dicendo che non credo che nessuno degli altri personaggi fosse meno importante per me, ma poi mi fermo, perché c'era qualcosa di profondo nel mio legame con lei, e forse non c'è nessuno come lei; forse non ci sarà mai nessuno come lei per me, e questo deve andare bene. E così poi parlo della seconda categoria di personaggi, che sono esperienze fenomenali e straordinariamente importanti sia nella mia vita che nella mia carriera e per i membri del pubblico che entrano in connessione con loro. Per qualche motivo sono in grado di lasciarli alla porta. Sono sicuro che le persone con cui vivo forse direbbero che quando interpretavo Margaret Thatcher, mi sono comportata un po' diversamente, ma sono abbastanza sicura che i ruoli che interpreto li lascio lì.

AC: Preferisci la recitazione sul palcoscenico al cinema e alla televisione? C'è una preferenza?
GA: Sono molto grata di poter fare tutto, e questa è la mia preferenza. La mia preferenza è che ogni tanto faccio una commedia, e in mezzo faccio altre cose. Non vorrei fare un'opera più di una volta ogni tre anni; non credo di avere più di questo dentro di me. Mi piace molto, ma allo stesso tempo mi terrorizza. C'è sempre quella resa dei conti per i lunghi periodi di tempo fino a quando non ci sei un paio di settimane, in piedi, in grado di giocare correttamente dentro i suoi limiti, notte dopo notte. Fino a quel momento, dal momento in cui inizi le prove, sei un po' in una fase di merda del tipo: "Oh merda, per che cosa ho firmato?"

Gillian Anderson indossa abito GIAMBATTISTA VALLI Collana DAVID MORRIS Bracciale e orecchini BOODLE

LO: Preferisci recitare sul palco, in un film o per una serie televisiva?
GA: Sono molto grata di potermi cimentare in tutte queste situazioni, e questa è la cosa che preferisco. La mia preferenza sta nel fare di tanto in tanto teatro e, nel mentre, dedicarmi ad altre cose. Non vorrei recitare in più di una piéce in tre anni; non credo di avere in me risorse per farne di più. Mi piace tantissimo, ma allo stesso tempo mi terrorizza. C’è sempre quella resa dei conti per lunghi periodi di tempo finché non mancano che un paio di settimane, ti tiri in piedi, pronta a recitare a dovere all’interno di quei confini sera dopo sera. Fino a quel momento, davvero il momento in cui inizio a provare, entro in una fase “Oh merda; Oh merda, perché ho accettato la parte?”.

LO: Raccontami come è nato il nuovo audio-show, “What Do I Know?!”
GA: È stato affascinante – sia leggere le voci di altri scrittori e giornalisti, sia imparare di quelle persone così varie, di cose e di eventi di cui non per forza ero a conoscenza. È la celebrazione di un diverso tipo di voci che raccontano storie molto umane. Mi piace.

LO: Ho letto il libro che hai scritto con Jennifer Nadel, “We: A Manifesto for Women Everywhere”. Com’è stata quella esperienza?
GA: È stata allo stesso tempo un’esperienza meravigliosa e catartica, e anche molto difficile. Mi piace molto scrivere, ma non sono molto brava con le scadenze da rispettare. Sono sempre empatica verso gli scrittori quando mi danno una data di consegna. Sono davvero felice di averlo scritto e di averlo scritto con Jen, lei è molto più in contatto con le persone che l’hanno letto e hanno reagito e comunicato l’impatto che alcuni aspetti del libro hanno avuto sulle loro vite, il che è incredibile.

LO: Qual è il tuo rapporto con l’arte?
GA: Credo di avere una relazione importante con l’arte, ma non presto molta attenzione agli artisti emergenti. C’è arte nella mia vita, attraverso momenti in cui vado regolarmente a visitare delle gallerie. Ho degli artisti preferiti e sono molto brava a identificare gli artisti interessanti, ma non perché ho studiato. Mi sento abbastanza fuori dal giro.

Gillian Anderson indossa abito SCHIAPARELLI

LO: Chi sono i tuoi artisti favoriti?
GA: È buffo perché non avrei saputo dirlo fino a che non me ne sono trovata uno di fronte, di sicuro Rothko. Sono rimasta così profondamente toccata da una sua mostra a Londra qualche anno fa, e anche davvero scioccata, mi ha proprio sorpresa, perché non me ne ero accorta prima, nè di lui nè delle sue opere. Amo Peter Doig, Louise Bourgeois, Sarah Lucas e Kara Walker. Mi piacciono molti fotografi: Jill Greenberg, con le sue fotografie di grande formato, più simili a dei quadri. E certi classici: Amo Vincent Van Gogh e certi periodi di Pablo Picasso. Amo Balthus. Spazio molto come tipologia.

LO: Cosa cerchi innanzitutto in un’opera d’arte? Una risposta emotiva?
GA: Sicuramente. Mi è già capitato di trovarmi di fronte a un’opera d’arte e di piangere. E non sono in grado di dire quanto quella reazione abbia a che fare con l’artista, con quanto trasmette sulla tela o su qualunque mezzo utilizzi e quanto sia puramente legato a me, a ciò che sto vivendo il quel momento specifico. Per gente come Rothko, o Brice Marden o qualcuno di quei pittori che dedicano anni a un singolo dipinto, c’è chi direbbe che quello è il motivo; è la loro presenza infusa nelle loro opere. E io sottoscrivo la tesi certamente. Molti anni fa mi è successo di guardare dell’arte aborigena e di iniziare a piangere, ed erano solo delle linee sinuose, delle linee sinuose molto colorate. L’artista era in quel momento nella galleria, mi ha raggiunta e mi ha detto che era il dipinto di un massacro accaduto al villaggio, così siamo finiti a parlare per ore degli Aborigeni in Australia e della loro relazione con l’arte. E poi mi ha mostrato una mappa tracciata sul suolo; sembrava quasi pittura nella sabbia, ma era la canzone di una mappa, e ha cantato per me la canzone della mappa. È stata una conversazione straordinaria che mi ha completamente aperto la mente, nel pensare ai diversi modi in cui stanno le cose e come possono essere comunicate e come le assorbiamo o meno. E il livello di attenzione che diamo a ogni singolo momento e cosa di quel momento è la nostra esperienza, cos’é la loro esperienza e cosa è un terzo punto di vista.

HAIR James Rowe
MAKEUP Florrie White
MANICURE Jessica Thompson
TAILOR Audra Budvytiene
DOP Jan Vrhovnik
LIGHTING Benjamin Kyle
PRODUCTION Alexandra Oley
PHOTO ASSISTANT Dan Burwood
STYLIST ASSISTANT Emily Powelle
SET ASSISTANTS Killian Fallon and Lucy Swan

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