Introducing Bebe Vio
Dopo il trionfo alle Paralimpiche di Tokyo con un oro individuale e un argento nel fioretto a squadre, la schermitrice conferma il suo impegno di testimone della cultura della disabilità con la Bebe Vio Academy e WEmbrace Sport. E sul piano personale si prepara ad andare a vivere da sola.
Special Project and Text FABIA DI DRUSCO
Photography RAFFAELE CERULO
Styling SIMONE RUTIGLIANO
Lo scorso settembre Ursula von der Leyen ha presentato Bebe Vio al Parlamento Europeo a Strasburgo come “esempio di ispirazione”, perché il suo coraggio, la sua tenacia, la filosofia che si è data ‒ “se sembra impossibile allora si può fare” ‒, rappresentano al meglio “l’anima dell’Europa”. Apogeo istituzionale di un anno che l’ha vista trionfare con un oro individuale e un argento nel fioretto a squadre alle Paralimpiadi di Tokyo, lanciare due progetti importanti, la Bebe Vio Academy e WEmbrace Sport, e confermare più che mai il suo status di eroina pop, con un account Instagram che la mostra tra Ghali e i Ferragnez, Jovanotti e Zendaya, e ambassador di brand importanti come Nike e Toyota.
L’OFFICIEL ITALIA: Com’è nata la tua passione per la scherma?
BEBE VIO: A cinque anni non conoscevo nemmeno la parola scherma, ma a un certo punto mi sono ritrovata in fila per una prova con altre bambine, e un omone enorme – sembravamo Tom e Jerry perché io ero piccolissima – mi ha messo in mano il fioretto e la maschera. E io sono impazzita, mi sono innamorata, tra poco faccio vent’anni di scherma.
LOI: Eri una bambina prodigio, o niente allora lasciava presagire la futura campionessa?
BV: Anche da piccolina facevo risultati, ho vinto alcune gare, e poi appena vedono che sei forte l’allenatore ti mette sotto. In prima media stavo per mollare, le mie amiche facevano danza, pallavolo e soprattutto stavano molte meno ore in palestra. Meno male che la malattia (nel 2008, a 11 anni, Bebe ha contratto la meningite meningococcica, e le sono stati amputati gli arti, al di sotto del gomito e del ginocchio, nda) mi ha tolto la possibilità di scelta: appena sono stata meglio l’unica cosa che volevo fare era tornare in palestra.
LOI: È pazzesco che tu dica: “meno male”...
BV: Lo dico perché mi sarei persa la cosa più importante della mia vita.
LOI: Com’è stato riprendere?
BV: All’inizio pensavo che sarei riuscita a fare scherma in piedi, non avevo mai visto la scherma in carrozzina. Ero così convinta di tornare in pedana che ci sono rimasta malissimo quando ho capito che non sarebbe stato così, pensavo che quella in carrozzina non fosse scherma, ho persino iniziato a fare equitazione, ma non era il mio sport. Quando ci ho provato per la prima volta mio padre mi ha “scotchettato” il fioretto di plastica alla protesi al braccio: era tutto diverso, la scherma in carrozzina è completamente diversa, siccome sei bloccato, non hai tempo né spazio di aver paura, devi per forza essere cattiva, aggredire, ma le emozioni sono uguali, al punto che mi sono innamorata di questo sport più di prima.
"Al momento della gara non trovo il problema, ma più che altro cerco soluzioni. E sono più forte quando sono in svantaggio, perchè in generale tutta la mia vita è in svantaggio"
LOI: Quali sono le caratteristiche psicologiche di un buon schermidore?
BV: Non c’è una regola assoluta, se guardi i campioni hanno tutti caratteri diversi, fisici diversi; chi fa il risultato è chi c’è in quel momento con la testa. Per quanto mi riguarda, dico sempre che il preparatore atletico è il mio modo fisico di affrontare la scherma, e l’allenatore il mio modo strategico. Mentre se riesco a prendere tutto con leggerezza lo devo alla mia famiglia: viviamo come un team, noi fratelli siamo la squadra, la mamma è il capitano, il papà l’allenatore.
LOI: E le tue caratteristiche personali? Come ti rapporti all’avversario?
BV: Io sbaglio tantissime cose a livello di strategia. A livello fisico so di essere inferiore, mi mancano troppi pezzi, tanti movimenti della mano non li posso fare. Ma sono molto veloce e soprattutto faccio tutto con il cuore, so che al momento della gara non troverò il problema, ma più soluzioni. In generale, sono forte quando sono in svantaggio, perché tutta la mia vita è in qualche modo in svantaggio. E adoro fare il lavoro di squadra, perché so che in qualsiasi momento c’è qualcuno pronto ad aiutarmi.
LOI: Chi sono gli atleti che ammiri?
BV: A livello di cattiva in pedana non c’è nessuno meglio della Vezzali, a livello di tecnica e tattica nessuno è meglio di Arianna Errigo, a livello di crederci tanto, chi più di Daniele Garozzo che, dopo l’oro vinto a Rio, non aveva fatto grandi risultati negli anni precedenti a Tokyo, dove non era il favorito, ma è arrivato secondo?
LOI: Come riassumeresti le tappe fondamentali della tua carriera?
BV: Ho un ricordo forte di Varsavia, ai Campionati mondiali Under 18 nel 2011, perché avevo 14 anni ed era la mia prima gara internazionale e per arrivarci ho fatto 12 ore di macchina con la mia famiglia: ho perso quasi tutti i match nei gironi, ma il mio allenatore ci credeva tantissimo, continuava a dirmi di non pensare al risultato finale, ma a un match alla volta, e alla fine incredibilmente vinsi l’oro. La medaglia cui tengo di più in assoluto è il bronzo del terzo posto a squadre a Rio 2016, a livello individuale l’oro di Tokyo, perché fino a quattro mesi prima stavo così male che nessuno pensava che avrei partecipato. È stato vedere il mio preparatore atletico crederci così tanto che mi ha fatto capire che era possibile, anche se io fino all’ultimo match non ci speravo. Importantissimo è stato perdere ai miei primi mondiali assoluti a Budapest, nel 2013, ho perso subito e malissimo, mi sono messa a piangere per tre ore... Altro momento indimenticabile nel 2014, ai Campionati Europei Assoluti di Strasburgo, olimpici e paralimpici insieme. Quando sono scesa in campo per la prima gara a squadre, eravamo sotto 31 a 40, e dato che si arriva a 45 praticamente la gara era già persa, però io ho vinto due match e ribaltato tutto. Invece all’ultimo mondiale prima dell’olimpiade stavamo vincendo a squadre, ma in semifinale ho perso 10 a 4 contro una ragazza di Hong Kong e continuavo a piangere perché mi sentivo in colpa nei confronti di tutti.
LOI: Parallelamente all’esplosione della tua carriera, gli sport paralimpici stanno godendo di una sempre crescente visibilità, mentre l’idea di inclusione è diventata il nuovo parametro del politicamente corretto, un mantra per la società e per i brand...
BV: Il primissimo evento che ha fatto il botto nella storia delle paralimpiche è stato Londra 2012, grazie soprattutto a Pistorius e Zanardi. Ero andata a seguirle per vedere com’era dal vivo, e per fare il tifo, perché ero una fan scatenata di quelli che oggi sono miei compagni di squadra. Londra ha cambiato la mentalità tecnica, Rio ha dato molta visibilità agli atleti. Per me esserci è stato pazzesco, dopo Rio tutto è diventato quasi facile. In Italia a cambiare la cultura della disabilità e le regole in tavola è stato Luca Pancalli, passato da atleta paralimpico a presidente del Comitato Italiano Paralimpico nel 2012.
LOI: Quando la gente ha cominciato a fermarti per strada?
BV: Presto, già dopo il programma televisivo “Invincibili” di Marco Berry (2010). Il secondo grande botto in termini di notorietà è stata la cena a casa di Obama due settimane dopo Rio. Ci tengo a sottolineare che ero lì a rappresentare lo sport paralimpico, mi piace presentarmi come testimone della cultura della disabilità, non mi interessa la visibilità di per sé. E infatti non si vedono gossip su di me, della mia vita privata non si sa nulla.
LOI: Chi è la persona cui sei più legata, a parte la tua famiglia?
BV: La persona cui voglio più bene al mondo è Martin Castrogiovanni. È il mio fratellone grande da quando non mi conosceva nessuno, mi ha fatto crescere, sono andata con lui in discoteca, quando stavo male mi sono trasferita a casa sua, è una delle poche persone da cui mi sono fatta vedere malata, posso passare ore al telefono con lui.
LOI: Hai scritto dei libri...
BV: Il primo per raccontare le fasi della malattia, per allertare le persone a riconoscerne i sintomi, perché non è facile diagnosticarla, in molti casi se ne ha la certezza solo quando ti rimangono due ore di vita. Se il libro ha contribuito a salvare anche una sola persona, sono contenta. Come quando un signore mi ha contattata per ringraziarmi: “stavo per buttarmi dalla finestra, ho alzato il volume della tv, ti ho sentita parlare e ho capito che stavo facendo una cazzata”. Il secondo è un libro motivazionale: “Come fai?” mi chiedevano, e io ho scritto le cose molto semplici che mi fanno stare bene, il terzo è un romanzo per i giovani sulla disabilità.
LOI: Pensi di scriverne un altro?
BV: Assolutamente no, e non tanto perché la trafila sia tostissima, ma perché tre libri bastano e sono forse pure troppi.
LOI: Un momento unico nella storia della moda in rapporto alla disabilità fu lo show N.13 di Alexander McQueen (S/S 1999) che fece sfilare l'atleta paralimpica Aimee Mullins, con gambe prostetiche di legno scolpite a fiori che sembravano stivali vittoriani. Che rapporto hai con la moda?
BV: Penso che ogni momento brutto della vita possa passare con una borsa o una scarpa nuova. Mi vesto in modo molto semplice, non uso la moda per nascondere ma per esaltare parti di me. Direi che mi vesto a caso, le mie amiche mi prendono sempre in giro. Mi piace molto Maria Grazia Chiuri, e non solo per il suo lavoro da Dior, ma perché concordo con il suo modo di concepire la donna.
LOI: Tokyo ha significato maggiore visibilità anche per lo sport femminile. Per questo numero de L’Officiel ti abbiamo chiesto di nominare le atlete che per te rappresentano la nuova generazione dello sport italiano. Perché hai scelto proprio loro?
BV: Da piccola le grandi atlete sono state un’ispirazione importante, mi piace fare squadra al femminile, insieme portiamo avanti tanti principi, a partire da come fermare la violenza nei confronti delle donne. Mi sento onorata e al tempo stesso in qualche modo protetta dall’idea di far parte di qualcosa di più grande di me. La mia lista... parto da Irma Testa: se sai da dove viene ti metti in ginocchio davanti a lei, è pazzesca, ti dà una forza incredibile! Se penso a Vanessa Ferrari mi vengono le lacrime, ha una classe, un’eleganza, una forza immensa, basta vedere come ha superato i vari infortuni che ha avuto, è piccoletta ma cazzutissima, ne sono follemente innamorata. Arianna Fontana ti fa venire voglia di andare in palestra e spaccare il mondo. Non vedo loro di vedere cosa farà alle olimpiadi invernali (l'intervista a Bebe Vio è stata fatta a Novembre, ad oggi Arianna Fontana l'oro nei 500m di short track e i due argenti nella staffetta a squadre miste e nei 1500m femminili, diventando l'atleta italiana con più medaglie alle Olimpiadi di Pechino). Monica Contrafatto ha lottato per difendere il proprio Paese (militare, ha perso una gamba in un attentato in Afghanistan nda), ma in ospedale vedeva Martina Caironi gareggiare e poco dopo correva con lei a Rio. Vittoria Bianco ha avuto un tumoraccio, ha subito l’amputazione di una gamba, ha lottato contro tutto, e ce l’ha fatta. Giulia Ghiretti è super carina, super timida, estremamente elegante nel muoversi, nel nuotare, ti incanta quando la guardi. Ayomide Folorunso studia medicina perché sa che vuole aiutare gli altri, nello sport lavora sulla frazione di secondo, a livello culturale è una delle atlete migliori in Italia. Chitra Ranieri ha dei genitori pazzeschi, è piccoletta ma è una bomba, se la vedi sciare prendi paura, ti sembra di avere davanti Sofia Goggia, riesce a stupirti ogni volta. Martina Caironi è da anni una delle migliori atlete del mondo paralimpico italiano. Alice Volpi è una delle schermitrici olimpiche che più stimo e punta di diamante della Nazionale di fioretto femminile che andrà a Parigi. Ripensandoci, è una lista davvero figa, di fronte a loro mi sento una nullità.
"Fare sport da piccoli, anche se non te ne accorgi, ti cambia la vita: lo sport come la musica, è una medicina per abbattere le barriere, siano religiose, di genere, legate alla sessualità o alla disabilità"
LOI: I tuoi genitori hanno fondato nel 2009 art4sport, per consentire l ’accesso a protesi studiate per lo svolgimento dell ’attività sportiva ai ragazzi che hanno subito amputazioni, e tu hai lanciato recentemente due iniziative importanti, la Bebe Vio Academy e WEmbrace sport.
BV: L’Academy, in partnership con Nike, è un programma triennale gratuito di sport inclusivo per ragazzi tra i 6 e i 18 anni, dove lo sport è visto come uno strumento di integrazione sociale e realizzazione personale, fondamentale per abbattere le barriere fisiche e psicologiche. L’Academy è il mio sogno da sempre, non c’è tanto sport paralimpico in giro, io ho avuto la fortuna di innamorarmi della scherma, ma per trovare il proprio sport i ragazzi devono poter provare più discipline: qui possono dedicarsi a calcio, atletica, basket in carrozzina, sitting volley e scherma in carrozzina. Abbiamo capito che era fondamentale mettere insieme ragazzi con disabilità fisiche e normodotati perché questo significa instaurare un meccanismo di integrazione. Fare sport da piccoli, anche se allora non te ne accorgi, ti cambia la vita: lo sport, come la musica, è una medicina per abbattere le barriere, siano religiose, di genere, legate alla sessualità o alla disabilità. Per il momento l’Academy è solo a Milano, ma sogno di portarla ovunque. WEmbrace sport deve diventare una specie di bollino di eccellenza da conferire al ristorante, l’autobus, l’evento che abbraccia i disabili. In realtà è un marchio di riconoscimento che va oltre la disabilità, si può abbracciare la diversità a livello green, di genere.
LOI: Ti sei mai pensata in politica? Per ovviare all’assenza e ai ritardi delle istituzioni nell’abbattimento delle barriere (architettoniche e non)?
BV: In politica assolutamente no, al massimo potrei vedermi presidente del comitato paralimpico.
LOI: Cosa ti auguri per il futuro?
BV: Il 2020 per tanti è stato orribile, per me è stato bellissimo, ho potuto godermi la famiglia, la tranquillità di non viaggiare. Il 2021 è stato traumatico, rischiare un’ulteriore amputazione e la morte, sapere di far star male gli altri perché sto male io (Bebe ha contratto un’infezione da stafilococco aureo, nda)... sono sicura che il 2022 sarà migliore, difficile sia peggiore. Vorrei aprire altre Academy a Roma, a Napoli, in Sicilia, a Milano è fin troppo facile... Con art4sport seguiamo 42 ragazzi, e vorrei portarne sempre di più ai Giochi Paralimpici di Parigi. Mi piacerebbe riuscire a laurearmi, sono iscritta a Comunicazione e relazioni internazionali, vorrei fare un master a New York alla Columbia. E poi ho comprato la mia prima casa, sempre a Trastevere dove vivo già adesso, dove mi trasferirò a marzo e mi assumerò la responsabilità di sentirmi grande.
Photography Creative Partner Jasmine Jessica De Pretto
Hair & Make up Mimmo Laserra
Production Vittoria Alicicco
Styling Assistant Simona La Via
Location Galerie Rolando Anselmi