Polaroid da Roma
“Polaroid” è il titolo del loro secondo album –il primo non è mai stato pubblicato-, un lavoro che immortala perfettamente una generazione complicata, quasi infelice, ma non per questo meno sognatrice. Un disco d'amore che non vuol parlar d’amore, che sa di quotidiano e realtà.
M: Non arrivate dal nulla, fate rap da diversi anni. Ripensando a quei tempi: vi aspettavate il successo e l’attenzione che avete ora?
C & F: Quello era proprio l’inizio, eravamo diciottenni e certamente lo sognavamo, ma non ce lo aspettavamo affatto.
M: Ascoltando un pezzo come “Baci e Abbracci” - proprio dei tempi della Molto Peggio Crew - e rapportandolo ai pezzi di “Polaroid” si avverte quello che è stato un percorso di forte crescita. Si può dire dire che questi anni sono stati una palestra?
C & F: Sì ovviamente ci è servita come tale, soprattutto per migliorare i testi, così come pure tutto il rap old school ci è stato utile per arrivare a fare quello che facciamo oggi.
M: Tra l'altro siete riusciti a guadagnarvi sin da subito il rispetto di tutti, sia tra il pubblico, sia tra la gente che fa rap. Forse per la vostra umiltà, perché si capisce che siete veri e che avete sudato per questo successo. A rapper storici come Cenzoù (rapper napoletano, oggi con i Sangue Mostro) piace moltissimo il vostro lavoro. Vi aspettavate questo rispetto dal mondo del rap, che può, a prima vista, sembrare come un mondo chiuso, arido e inavvicinabile.
C & F: Grazie! Siamo contentissimi di sentire queste parole. La gente ha raccolto il nostro messaggio e ha capito che non era un progetto campato per aria ma che davvero c'è stato e c'è tanto, tantissimo lavoro dietro. Per quanto riguarda Cenzoù (e in generale l'old school del rap): la sua “Stai come il Merlo” “ci fa volare”, come diciamo a Roma. Noi non ce l’aspettavamo e - come ti dicevo - ci fa immensamente piacere, anche perché la nostra musica è una cosa diversa rispetto al rap classico. Sapere che un rapper di quella scuola ci apprezzi ci rende davvero felici. Anche la scena romana ci sembra abbia apprezzato, non ci siamo confrontati ancora con tutti, ma sembra abbia apprezzato.
M: Avete portato una forte dose di cantautorato nel rap, facendo da anello di congiunzione tra il rap e la musica indie: vi ritrovate in questa cosa ?
C & F: Guarda, sicuramente c'è una componente indie, come c'è una componente trap. Diciamo che in “Polaroid” trovi dentro un po’ tutte le nostre influenze, poi ci hanno messo questa etichetta “indie-trap” anche perché usciamo su Bomba Dischi. Sicuramente è vero che ci sono delle influenze indie, però se prendi ad esempio un pezzo come “Noccioline” le influenze sono più trap, è un filo più spezzato. Quindi diciamo che abbiamo preso influenze un po’ dappertutto. Fondamentalmente noi facciamo rap, poi, ovvio, abbiamo varie influenze, ogni tipo di pezzo è diverso e ha un carattere e un colore tutto suo. E’ vero, ci ritroviamo in questo discorso dell’anello, ma crediamo sia anche più ampio il discorso sulla nostra musica.
M: Il rap è un mondo abbastanza autarchico, spesso si autoimpone certi canoni, a volte per pura auto-ghettizzazione: devi essere B-boy, le rime sono queste vanno fatte così, etc. Ad un primo ascolto di “Polaroid” può sembrare non sia un rap purissimo, poi conoscendo meglio il disco ti accorgi che il flow c'è eccome. Voi come vi siete rapportati a questa autarchia, se cosi si può definire?
C & F: Il rap sta cambiando molto, anche se guardi all'America ci sono un sacco di nuove influenze, nuove cose, è in costante evoluzione. A noi piace il rap “purista”, ci siamo cresciuti e noi stessi come dicevamo prima abbiamo fatto quella roba. Poi sicuramente ci siamo evoluti e abbiamo cercato di dare un tocco più nostro, più personale alla faccenda del rap, cercando di uscire un pò dai canoni classici. In un’altra intervista sono venuti fuori i Sangue Misto: loro parlavano della loro generazione, dei centri sociali, della rabbia, ora le tematiche sono altre.
M: In effetti i Sangue Misto portavano il finire dell'urlo delle posse, mentre voi fotografate un certo decadentismo figlio di anni e generazioni sicuramente diverse.
C & F: Non ce la sentiamo di paragonarci ai Sangue Misto, che sono un’altra cosa. Sicuramente è vero che abbiamo fornito un ritratto della nostra epoca, in cui di fatto c’è del decadentismo che è innegabilmente presente nei nostri pezzi, ma non è una cosa studiata. Penso che nemmeno i Sangue Misto volessero inizialmente fare un ritratto della loro epoca, credo fosse una cosa spontanea tanto per loro quanto lo è per noi.
M: E’ incredibile come “Polaroid” riesca a fissare nel tempo luoghi, stati, sentimenti. Come avviene il processo di scrittura?
C & F: Abbiamo due approcci differenti: io (Franco) ho un approccio più cervellotico, mentre Carlo è più istintivo - anche caratterialmente - questo ovviamente si trasmette nella scrittura. Tutti e due quando giriamo per strada e vediamo qualcosa che ci interessa lo annotiamo, poi cerchiamo di far quadrare il tutto incrociando un po’ le cose, immedesimandoci ognuno nel mood dell’altro e del pezzo che vogliamo scrivere. Io (Carlo) sono sempre molto istintivo, capita che possa scrivere in giro direttamente, così come di notte tranquillo a casa.
M: C’è molta leggerezza nel vostro album, quasi a dire "prendiamola con filosofia, questo è il mondo, andiamo avanti” siete d'accordo?
C & F: Bravo! Noi ci limitiamo solo a raccontare, siamo osservatori non diamo giudizi, non ci interessa farlo, ci limitiamo a descrivere quello che ci sta intorno.
M: Anche perché poi la necessità mi sembra sia quella di catturare il tempo o l'immagine. E' un processo da grandi osservatori quali siete, ma che richiede di stare sempre sul pezzo, evitando che la fotografia diventi lo scatto di qualcosa passato. Come lo evitate questo rischio?
C & F: Le immagini che diamo sono comunque spesso immagini di vita quotidiana, storie successe e storie che possono succedere. Non ci spaventa la questione tempo perché in fin dei conti la nostra forza è più quella di andare a fotografare stati d'animo che vivono in queste immagini di quotidianità, il malessere e la malinconia non hanno un tempo, non sono cose secondo noi che perdono valore con il passar del tempo.
M: Il vostro è un disco d’amore che non vuole parlare d’amore. Allora perché non amate farvi definire come dei romantici?
C & F: Il punto è che secondo noi non c'è soltanto quello. Sicuramente l'amore è una parte importante nella vita di ogni persona, negarlo sarebbe stupido. L'aspetto romantico c’è, ma se veniamo definiti solo per quello ci va un pò stretto.
M: Non parlate mai di moda, non toccate argomenti come “bling bling” o sneakers. Ci sono tre riferimenti in tutto il disco e sempre come osservazioni verso le ragazze: la polo Stone Island, le scarpe Jeffrey Campbell e le adidas.
C & F: Non guardiamo molto a queste cose. Quando scriviamo citiamo magari questo o quel brand, perché ti aiuta a immaginare qualcosa, a inquadrare meglio la situazione o a definire meglio l'immagine che ti sto raccontando.
M: C’è tanta Roma nel vostro lavoro, mentre scrivevate “Polaroid” vi siete posti la domanda "questa cosa come verrà presa fuori Roma"? Riuscirà ad arrivare a tutti?
C & F: Si ce la siamo posta, ma crediamo che se parli di te stesso e lo fai con il cuore in mano arrivi anche a chi viene da fuori Roma ed è completamente diverso da te. Sono cambiati anche i tempi, ormai è molto più vero che tutto il mondo è paese. Anche solo tra Roma e Milano, che sono così diverse, ci sono infiniti punti di contatto, le differenze sono sempre meno. Alla fine il vissuto dei ragazzi è lo stesso in ogni città.
Video diretto da Beatrice Chima
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