Riapre il Museo del Design Italiano in Triennale, l'intervista a Marco Sammicheli
Con l’ampliamento del Museo del Design Italiano e le mostre “Droog30”, “Text” e “Lisa Ponti. Disegni e Voci” Triennale ospiterà da Aprile - in concomitanza col Salone Internazionale del Mobile e la Milano Design Week 2023 -uno spaccato sul design italiano, in un dialogo tra passato e presente volto a celebrare il centenario di un’istituzione-laboratorio che custodisce il meglio della cultura materiale italiana attraverso mostre assolutamente da non perdere.
Text by ALESSANDRO VIAPIANA
La volontà di costruire consapevolezza attorno a una disciplina che non è solo estetico-formale ma racconta anche l’evoluzione dei comportamenti della società. La necessità di valorizzare la cultura materiale, ovvero l’insieme dei valori della creatività e della trasformazione di questa - attraverso l’uomo e le imprese – in oggetti d’uso.
La Triennale che ci racconta Marco Sammicheli, curatore del settore design, moda e artigianato di Triennale Milano e direttore del Museo del Design Italiano, è un luogo che parla alla curiosità di tutte quelle persone che desiderano capire perché, ad esempio, «uno specifico divano in schiuma di poliuretano con un'isola davanti alla seduta, non è solo un modo disobbediente per sedersi, ma anche un modo rivoluzionario per aggiungere comfort a un ideale che da borghese diventa universale». «"Non m’importa che questa poltrona sia usata da un tal visconte", diceva Magistretti della sua “Carimate”, "m’interessa che sia disegnata per tanta gente, faccia lavorare tanta gente, venga usata da tanta gente"», descrivendo con una frase il carattere militante del design italiano, che amplifica istanze sociali e sopperisce a bisogni primari.
E di design militante parlerà "Droog30. Design or Non-design?”, anzi “protestante”, così «come lo descrisse Andrea Branzi nel visitare la mostra del 1993 in via Cerva, esprimendo l’atteggiamento del collettivo olandese di ribaltamento dei paradigmi per costruirne di nuovi, come tra protestantesimo e cattolicesimo durante la Riforma». Nel lasso di tempo intercorso dal suo debutto nel mondo del design, i componenti di Droog Design (droog in olandese significa “asciutto, secco”) hanno «certificato l’inizio del Design olandese come fenomeno» e sono diventati campioni del design contemporaneo. I curatori Maria Cristina Didero e Richard Hutten - quest’ultimo membro stesso con Marcel Wanders, Hella Jongerius, Tejo Remy, Jurgen Bey, Gijs Bakker e Renny Ramakers del collettivo - «ci consegnano una fotografia storica di Droog, creando un meccanismo», che sfrutta il digitale, a contrasto con l’origine analogica del collettivo, «col quale far dialogare gli addetti ai lavori e il pubblico, per ragionare attorno all’eredità di questo gruppo».
Collezione che si rinnova ed amplia, grazie ad acquisizioni e a un fruttuoso lavoro di ricerca negli archivi della Triennale, pur rimanendo nella “Curva”, spazio espositivo originale progettato da Muzio, che la ospita a partire dal 2019. «Un fiume di oggetti che parte dagli anni ‘20 e arriva alla contemporaneità», come lo descrive Marco Sammicheli. «Il Museo avrà una scansione cronologica che rispecchia l’importante centenario che celebra Triennale, partendo dal 1923 fino a un’idea di contemporaneo molto metamorfica». Tantissimi oggetti che raccontano la vita quotidiana e l’evoluzione dei comportamenti attraverso la cultura materiale. Una delle nature generative del design italiano è stato la cultura degli interni: «lungo lo spazio il visitatore troverà la ricostruzione di sei ambienti» tra cui Casa Manusardi di Figini e Pollini, Casa Albonico di Mollino, una sala computer degli anni ’50 progettata da Ettore Sottsass, Mario Tchou e Tomas Maldonado, un bagno di Antonia Campi, un garage con una serie di mezzi di trasporto simbolo, dalla Vespa alla Fiat 500.
L’allestimento, curato da Paolo Giacomazzi prevede l’esposizione di molte opere d’arte «che aiuteranno ad assaporare la peculiarità del contesto italiano», da Oddone Rosai a Giorgio Morandi, da Mario Sironi a «Harry Bertoia, un ragazzo friulano che parte per l’America e diventa un campione del design americano. Di lui abbiamo in esposizione una scultura sonora, perché oltre ad aver disegnato arredi per Knoll, non dimentica mai la sperimentazione, nella quale attraverso metalli e suoni evoca gli anni duri, ma così cari, della campagna friulana». Tra la “Lady” di Zanuso del 1951, all’avanguardia per l’imbottitura della seduta in gommapiuma e cinghie elastiche e il design per la Metropolitana di Milano di Albini, Helg e Noorda, tra le lampade dei fratelli Castiglioni e il “Pratone” Gufram, tra la “Tizio” di Sapper, che reinterpreta la lampada da tavolo con una serie di pesi e contrappesi, e la “Catilina” di Caccia Dominioni, il visitatore si troverà ad osservare oggetti che sono «immersi nella storia ma allo stesso tempo l’hanno cambiata» come dice l’architetto e designer Andrea Branzi.
Al tema dell’eredità si lega anche “Lisa Ponti. Disegni e voci”, mostra curata da Damiano Gullì e Salvatore Licitra nella quale vedremo i disegni, - «fusione di sogno, favola e ironia» - realizzati sempre in A4, formato d’elezione, «poiché dentro lo standard il minimo riduce l’immenso a distanza tra i segni», come amava dire la critica e scrittrice, redattrice generale di “Domus” fino al 1979, figlia del più celebre tra i designer italiani, Giò Ponti. Da “Domus” e “Stile”, riviste entrambe fondate dal padre, provengono le voci, i testi che verranno letti nello spazio espositivo. Figlia e padre si ritroveranno nel Palazzo dell’Arte di Muzio, a pochi metri l’una dall’altro, lei con una retrospettiva, lui nella collezione permanente della Triennale.
Il pezzo del Museo del Design Italiano che più sta a cuore a Marco Sammicheli è “Karelia” di Liisi Beckmann, poiché «non è solo una poltrona innovativa per Zanotta, ma come spesso accade nel design italiano ti affezioni al coraggio dei progettisti e degli imprenditori, alla specialità delle figure che hanno reso possibile un prodotto come questo. Il design è l’incontro di due pirati, che hanno a cuore lo stesso tesoro: non decidono di rubarselo a vicenda ma di spartirselo e nella spartizione prende vita l’oggetto». Il viaggio nel design italiano giunge poi «agli anni ’80, e con loro alle avanguardie di Alchimia e Memphis: il visitatore si troverà di fronte a una ziggurat, una struttura che ospita oggetti di vario genere - arredo tradizionale, abbigliamento, di vita quotidiana - per arrivare infine alla contemporaneità, rappresentata da un corridoio costellato di mappe. Con il nuovo secolo il design non è più un fenomeno esclusivamente materiale, ma diventa una costellazione di professionisti con il progressivo allargamento della disciplina al digitale, all’informazione, ai servizi. Mappe disegnate da grandi designer e storici, spesso pubblicate su giornali, grazie al loro potere visivo e infografico ci istruiranno sul presente».
Il corridoio porta fisicamente e concettualmente all’oggi che si declina per Triennale in una grande project-room, un laboratorio denominato Design Platform, che ospiterà mostre tematiche e monografiche. “Text” indaga il testo - attraverso progetti di moda, arredo, grafica, gaming, editoria – in quanto frutto della verbalizzazione del pensiero, attraverso un gesto che parte dall’immaginazione, passa attraverso il braccio e poi per la mano arriva sul foglio. «Quando Vico Magistretti progetta “Kenya” o Gaetano Pesce “Feltri” e sopra la struttura di una sedia montano un tessuto, troviamo questo stesso atteggiamento plastico tanto caro a una grafica di Armando Testa o alla volontà dei fratelli Campana di mettere insieme comunità di persone nella realizzazione di un arazzo, la parola testo deriva dall’idioma latino del tessere, tessere concetti che danno un senso al testo compiuto».
Per la sua opera curatoriale Marco Sammicheli si ispira al lavoro di Germano Celant che «unisce mondi senza classificarli e restituisce un’idea di contemporaneo estremamente ricco di riferimenti e mai orfano della storia» e ci ricorda un lavoro del 1970-77 di Harald Szeemann ed Herbert Distel ora alla Kunsthaus Zürich, “Museo dei cassetti”, un arredo per il quale vennero commissionate a 500 artisti, da Andy Warhol a Enzo Mari, da Getulio Alviani a Mel Ramos, opere in miniatura, posizionate ognuna in un cassetto della scansìa: «Non è solo un’ossessione, non c’è solo la volontà di catalogare, ma si riscontra la precisa volontà di trasferire la conoscenza». Un progetto che diffonde la bellezza di oggetti e valori, rendendola accessibile a tutti, perché come diceva Ettore Sottsass «il concetto della bellezza è alterato, sembra che la possano raggiungere solo quelli che vanno alla Scala, sembra che appartenga a una certa razza o a un certo stato sociale, ma in realtà la bellezza sta nel dare una descrizione più tenera della vita»
La bellezza sta nel dare una descrizione più tenera della vita - Ettore Sottsass