Design

L’intervista all’architetto Laura Gonzalez

Il mix tra artigianato, arte contemporanea, carta da parati a motivi floreali, estetica neoclassica e influenze etniche, ha portato l'architetto parigino Laura Gonzalez: in tutto il mondo, con progetti ambiziosi e cool.

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Ritratto di Laura Gonzalez, foto Matthieu Salvaing.

Biot, Vallauris, Fondation Maeght. Laura Gonzalez, nata a Parigi, trascorre l'infanzia nel sud della Francia. «Figlia unica, i miei genitori mi portavano ovunque. Loro adoravano l'arte e le sale d'aste, ed è li che mi sono appassionata alla ricerca di oggetti particolari». Disegna e realizza ceramiche, senza pensare immediatamente all'architettura. «I mie genitori amavano moltissimo i tessuti, la mia camera era ricoperta dei grandi fiori di Pierre Frey che io detestavo perché non potevo attaccare poster. L'ufficio di mio padre era invece tappezzato di un motivo cashmere, ogni stanza della casa era molto carica, massimalista, chiaramente ispirata all'Algeria, dove lui era nato». Piano piano l'idea dell'architettura si è imposta. Apre la sua agenzia Pravda Arkitect qualche mese prima di laurearsi a l'Ecole Nationale Supérieure d'Architecture Paris-Malaquais, «una scuola diversa dalle altre con degli atelier come quelli della coreografa Carolyn Carlson, davanti a cui avevo dovuto danzare nella Cour du Mûrier per mettere in sintonia l'espressione corporale e l'architettura. Ho ugualmente studiato sei mesi a Belle Arti, dove ho seguito dei corsi di disegno di nudo. Poi sono andata in Cina tre mesi e due a Venezia, per la tesi. L'argomento? Immaginare un museo a Punta della Dogana, ben prima che François Pinault vi installasse la sua collezione affidando la creazione dello spazio a Tadao Ando».

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Il suo primo lavoro importante è il mitico locale notturno Le Bus Palladium, «una esperienza di creazione completa, ben più interessante e creativa della progettazione di un appartamento parigino. Avevo un budget molto ristretto e ci sono riuscita recuperando cose in giro e mischiandole tra di loro». Con suo padre proprietario di alberghi e ristoranti, lei ha sempre frequentato l'universo dell'ospitalità, per cui ha realizzato molti progetti, come il ristorante Dar Mima appena aperto, o La Coupole, passando per Lapérouse o l'hôtel Saint James. «Ho sempre adorato rifare questi luoghi mitici, risvegliare queste belle addormentate, anche se naturalmente ho realizzato molti progetti anche da zero. A volte cerco di convertirmi ai colori neutri, ma poi torno sempre ai tappeti, ai tessuti, ai divani colorati. Per me sono espressione della gioia di vivere, e penso che in questa società sempre più stressante si abbia bisogno di colori che facciano sognare. E il mio savoir faire, il saper mischiare cose molto diverse tra loro e saperne ricavare una armonia. Bisogna sempre trovare l'equilibrio, se no si rischia il troppo vecchio, il troppo kitsch, il non abbastanza moderno».

 

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In ordine, due scatti della Galerie Laura Gonzalez. L'Hotel Saint James Paris, foto Matthieu Salvaing. Poi, l'expo Splendor di New York, foto Denise Behrens.

I suoi mentori sono Renzo Mongiardino, Madeleine Castaing, Dorothy Draper, Jacques Grange, Veere Grenney e lo studio Peregalli, per la loro maniera di lavorare con i classici. «Adoro il classico, anche se me ne sono liberata con il mio stile più colorato». Lei che era abituata a viaggiare moltissimo, oggi che ha tre figli lo fa di meno, piuttosto viaggia attraverso i libri. «Ogni progetto amplia la mia biblioteca di almeno 40 volumi, dal romanzo alla biografia passando per i libri d'arte. In questo momento sogno di andare in Giappone, sto realizzando un hotel a Parigi in rue du 4 Septembre, che sarà di un gusto giapponese massimalista. Attualmente sta lavorando su una quarantina di progetti, il più audace dei quali è la realizzazione di Printemps a New York. E situato in un edificio Art Déco di Wall Street. Non sarà un department store piuttosto un concept store gigante. Sto lavorando anche sul Mandarin Oriental di Maiorca in un edificio anni '70 assolutamente folle, e su una boutique Cartier di Miami, la cui facciata è stata disegnata da Diller Scofidio, autore della High Line a NY. Facciamo pochi appartamenti, la mia agenzia è di 45 persone, non abbiamo il tempo di farlo, casomai ci dedichiamo alle case di vacanza, è più divertente. Sto anche lavorando a un libro con Rizzoli, su dieci anni di stile che uscirà ad autunno». In materia d'arte, apprezza particolarmente Claire Tabouret, ama i mobili, ma non si considera una designer.

Su 45 persone che lavorano per me, 38 sono donne. Portiamo un altro equilibrio, una sensibilità differente e i clienti ci cercano proprio per questo. Una generazione di architetti donna sta arrivando e io sono fiera di farne parte.

- Laura Gonzalez

«Disegnare mobili è per me una piccola ricreazione, lavoro con degli artigiani, facciamo tutto in Francia, non produciamo pezzi in stock ed esibiamo tutto nella nostra galleria di rue de Lille, mettendoli in scena e immaginando delle scenografie una volta l'anno». Come è cambiato il lavoro nel corso degli anni? «Ho conservato una linea di equilibrio grazie anche ai budget, ai tipi di cantieri che si sono evoluti nel tempo e all'esperienza. Ci sono meno barriere creative, ma soprattutto più libertà, un nuovo campo di esplorazione artistica, con nuovi materiali, anche riciclati. Secondo me sono le materie che si utilizzano a determinare lo stile». L'architettura è stata per anni un affare di uomini, far parte di un cambiamento fa di lei una designer impegnata? «Impegnata lo sono, su 45 persone che lavorano per me, 38 sono donne. Portiamo un altro equilibrio, una sensibilità differente e i clienti ci cercano proprio per questo. Una generazione di architetti donna sta arrivando, e io sono fiera di farne parte».

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