In mostra a Parigi il fascino (e il lusso) dell’uniforme
«Nel 2017 avevamo presentato una mostra, “Dans la peau du soldat”, incentrata sul quotidiano della vita militare. E avevamo realizzato che le condizioni di vita nell’esercito per quanto riguardava le funzioni basilari, mangiare, dormire ecc non si erano poi tanto evolute dall’epoca dei Romani in poi», spiega Olivier Renaudeau, conservatore del patrimonio del Musée de L’Armée e curatore della nuova mostra Les Canons de l’Elegance (fino al 26/1/20). «Oggi invece vogliamo mostrare il superfluo, celebrare le varie arti decorative, dall’oreficeria all’archibugeria, che hanno contribuito al fasto dell’esercito dal ‘500 ad oggi». I pezzi esposti sono eccezionali a vario titolo, a partire dalla spada di Luigi XVI tempestata di 2200 pietre del tesoro della corona e utilizzata dal marito di Maria Antonietta solo una volta, per l’apertura degli Stati Generali nel 1789. Rubata, recuperata e data per scomparsa, è stata identificata nella collezione del museo, ormai ridotta alla lama in acciaio blu ornata di gigli incisi e dorati. O un elmo e uno scudo cinquecenteschi in pendant, detti della chimera, dove il casco, magnificamente cesellato all’esterno e sovrastato dal mitico animale, rivela un interno altrettanto sontuoso in raso azzurro tutto ricamato d’oro. O ancora l’incredibile gualdrappa ingioiellata del cavallo di un mamelucco, spoglia della battaglia delle Piramidi, costituita da oltre 1360 placche d’argento decorate di corallo e lapislazzuli. Se, come afferma Napoleone: «Si finisce per diventare l’uomo della propria uniforme», si capisce come mai le uniformi fossero un manifesto in grado di attrarre nell’esercito intere generazioni. La mostra si articola per temi e materie, i metalli, l'avorio, le piume, allinea decorazioni, armi, necessaire da viaggio, uniformi e accessori vari. Con l’apparizione delle armi automatiche e della polvere senza fumo, durante la prima guerra mondiale le uniformi abbandonano colori sgargianti ed eccessi decorativi, e passano al kaki e ai colori camouflage, quelli che verranno ripresi dalla controcultura anni ’60 e recuperati da stilisti come Raf Simons, il cui giubbotto da pilota si adatta alla visione della città considerata come un campo di battaglia nella collezione Riot riot riot FW 2001.