Bruno Munari in mostra a Milano
L'artista e le origini della fantasia. Scopri Bruno Munari, le sue opere, la sua Milano, il suo mondo.
Chi è Bruno Munari? Cosa ci ha insegnato? La risposta che la personale dell’artista meneghino più poliedrico del Novecento ospitata alla Kaufman Repetto sembra darci è la seguente: “A studiare la fantasia”. Un chirurgo dell’immaginazione, questo era Munari – che attraverso una didascalicità surreale ha reso il pensiero creativo una materia di studio. Come non citare le sue macchine inutili, autoteliche nella loro improduttività; oggetti semi-mobili colorati che non hanno altra funzione se non quella di attivare la nostra visione, rendendoci partecipi del processo di formazione del senso degli oggetti e del mondo che li fagocita. Tutti abbiamo bisogno di Una macchina per suonare il piffero anche quando non si è in casa e Munari, infatti, l’ha inventata per noi.
Ognuno vede ciò che sa, questo il titolo programmatico della mostra; sì, perché l’arte è quella cosa sensibile che attiva lo sguardo dello spettatore, una droga estetica in grado di renderci tanto fruitori quanto inventori. L’asse cronologico nel quale si dispiega la mostra va dagli anni Sessanta agli anni Novanta; ma non c’è nulla di più atemporale dell’immaginario e la sequenzialità temporale non può essere un criterio curatoriale quando ci si approccia a Munari. Appena entriamo nella galleria siamo accolti da Flexi (1968-1997), una scultura quasi oleografica e site-specific che s’insinua nel loculo della porta. L’opera più partecipativa è Polariscope (1960), una scatola luminosa di pittura polarizzata colonizzata da geometrie astratte – disegni che siamo invitati a filtrare (e quindi a ri-creare) con lo sguardo attraverso pezzi di plastica rosa; ruotando il filtro è infatti possibile nei 360 gradi di un giro completo generare un’infinità di opere. Non a caso in quegli anni Umberto Eco coniò il concetto di “opera aperta”; lessicalizzando proprio quella libertà cosciente nell’esperienza e nella creazione dell’arte che permea in maniera atavica l’opera di Munari.
La metodicità dell’originale è presente in opere come le Xerografie Originali, in cui la serialità grafica s’incontra e quasi collassa con il caso, ma anche in lavori come i Fossili del 2000 realizzati a partire dagli anni Sessanta, che tentano di costruire un’archeologia del presente portando avanti la lancetta estetica del tempo. Del 1990 è invece Concavo Convesso, una scultura aerea, eterea, in grado di dipingere ombre portate e di ricordarci l’esistenza della luce. Forse l’opera di Munari ha propria questa funzione amarcord, non tanto nei confronti delle cose del mondo quanto della minima deviazione estetica che ci fa meravigliare del loro modo unico di esporsi alla contingenza, consacrandoci come soggetti ricettivi; perché come scriveva in un suo teorema: “L’arte non è il soggetto”.