Sienna Miller e Twiggy: due icone a confronto
Photography Tom Munro
Styled by Cathy Kasterine
Dopo un anno vissuto come gatti chiusi in casa, Sienna Miller porta gli Uggs. Per essere chiari, l’attrice nata in America e cresciuta in Inghilterra, è sempre stata un’appassionata dei controversi stivaletti di shearling, ma ora che siamo entrati in una nuova era dei bootie-pantofola alla Frankenstein, la sua scelta è toccante. Come tutti, Miller ha dovuto adattare i suoi ritmi, ha fatto da insegnante a sua figlia Marlowe, mentre cercava comunque di girare film durante la pandemia. “Wander Darkly”, che ha debuttato lo scorso anno al Sundance Festival, è forse la sua interpretazione più potente degli ultimi tempi. Diretto da Tara Miele, la storia analizza un trauma attraverso la decostruzione del rapporto tra due giovani genitori. «È stato molto intenso, ma quasi catartico», spiega Miller, protagonista insieme a Diego Luna, parlando del film che è un ritratto sincero delle memorie distorte, emerse dolorosamente di fronte alla macchina da presa. In un altro punto della città non lontano, Dame Lesley Lawson, che ha cambiato la storia della moda con il nome d’arte Twiggy, è anche lei in pantofole. Ne hanno di cose da raccontarsi queste due amiche di lunga data le cui vite hanno più di un parallelismo, perciò vale la pena di darsi appuntamento per una video chat. In tempi di precauzioni e adattamenti, è bello sapere che presto ci si ritroverà anche di persona, probabilmente con delle scarpe diverse.
JOSHUA GLASS: Siete amiche da tempo, ricordate il primo incontro?
SIENNA MILLER: Stavo girando Casanova a Venezia con Leigh Lawson, il marito di Twiggy, intorno al 2002 o 2003. È stato amore a prima vista, vero? Andavamo per la città insieme, cucinavamo arrosti per pigri pranzi della domenica, siamo diventate una gang.
TWIGGY: Tu e Leigh siete stati carini a farmi entrare in quella dimensione.
SM: Ti volevamo a tutti i costi!
T: Ricordo quando ti ho incontrata, Sienna, la ragazza meravigliosa che sarebbe poi diventata la nostra figlia surrogata (ride). Certo tu hai già una mamma deliziosa che io adoro e un papà, ma noi siamo i tuoi genitori di rimpiazzo, quando loro non ci possono essere. Prima della pandemia, avevamo mille impegni e non eravamo riuscite a vederci per uno o due anni, ma il bello di un’amica vera è che quando ti ritrovi, ricominci esattamente da dove ti eri interrotta, no?
JG: Sienna, come giovane aspirante modella all’inizio della tua carriera a Londra, quanto ti ha influenzata la figura di Twiggy?
SM: Ogni donna o ragazza inglese è stata influenzata da Twiggy, perché rappresenta lo spirito di Londra in un’epoca che, per me, è stata la più eccitante da vivere. Era qualcosa di totalmente nuovo e rimane un’icona. Nella moda di oggi ci sono ancora tantissimi riferimenti alle sue immagini, non oso nemmeno pensare cosa significhi essere una modella di quel livello. Io ho iniziato la carriera considerandola una porta di ingresso alla recitazione, che è sempre stato il mio obiettivo. Poi certo mi sono fatta un taglio alla Twiggy, le ho copiato il make-up. Non ho “assaltato” il guardaroba, il che è una follia, anzi dovrei proprio farlo, vero Twiggs? Nel tempo lei è diventata un’attrice sublime, la migliore mamma e la migliore nonna.
T: Oh sei così dolce, ma anche tu non te la sei cavata male, no? Se mi guardo indietro, ho vissuto un momento storico in cui era incredibile essere giovane. Il sistema di classi tipico inglese stava cambiando e all’improvviso era diventato ‒ diciamo trendy- essere working class nei film, nella moda, nella musica. Credo sappiate chi erano i Beatles?
SM: Erano cinque giusto? I Fab Five (ride).
T: Avevo sedici anni quando è successo tutto. Una piccola studentessa dall’aspetto buffo e le gambe magre. È da lì che deriva il mio soprannome, ero una Mod e per essere Mod dovevi avere o i capelli molto corti, oppure lunghi con la riga in mezzo, come me, e portare gonne grigie a pieghe sotto al ginocchio e le Hush Puppy, celebri scarpe marroni stringate. Con le gambe che mi ritrovavo, di certo sembravo Olivia. Mi truccavo come una bambola di pezza con le ciglia spiky e un giorno una mia amica mi chiese di posare per degli scatti beauty, che doveva realizzare per un magazine con cui lavorava. Diceva che ero troppo bassa per fare la modella, ma che avevo una faccia interessante, così mi aveva spedita da Leonard, un salone molto posh a Mayfair. Mi ricordo che stavo lì seduta quasi in lacrime all’idea di dovermi tagliare i capelli e quando Leonard (Lewis) arrivò ero troppo spaventata per dire qualcosa. Dopo di che, il fotografo Barry Latagan mi fece dei primi piani che vennero fuori davvero bellissimi. Leonard mise quegli scatti in bianco e nero nel suo salone e dopo un po’ una giornalista li vide. Due settimane dopo mio padre nell’aprire il giornale si trovò davanti la doppia centrale che recitava: “Twiggy, il volto del ’66”. Da lì, tutto è cambiato.
JG: Sienna hai mai vissuto una trasformazione simile a quella di Twiggy da Leonard, che ti ha cambiato in modo profondo e inaspettato?
SM: Non so se c’è stato un momento così preciso, ma per il mio secondo film, “Alfie”, mi tagliarono i capelli con una frangia anni ’70, un po’ come quella di Twiggs oggi. Era uno stile molto bohemien che si abbinava alla perfezione con gli abiti bohemien che amavo indossare allora. Credo sia diventato il “mio look” per un bel po’.
T: Ha sicuramente segnato il momento in cui la gente ha iniziato a seguirti per il tuo stile personale, perché, Sienna, diciamocelo, sei una delle donne più stilose in circolazione. È un po’ come negli anni ’60: tutti volevano sapere cosa indossavi – chi indossavi – per copiare il tuo look. E davvero, tu interpreti meravigliosamente gli abiti che porti, voglio dire, i vestiti ti amano. Il fatto è che né tu né io l’avevamo nei nostri piani, non credo si possano pianificare le cose che ci sono successe.
SM: No, non puoi, è un allinearsi allo spirito di un determinato tempo proprio al momento giusto.
JG: Siete passate con successo dalla moda al cinema e avete interpretato dei ruoli indimenticabili. Penso a Polly Browne, per te Twiggy. E per Sienna, a Tippi Hedren. Dopo avere dato corpo a donne così diverse, ce n’è qualcuna che vi è in qualche modo rimasta di più addosso?
T: Beh, Sienna, tu hai fatto molte più cose di me. Amo ogni suo personaggio, non solo perché le voglio bene, ma perché è un’attrice maledettamente brava. Soprattutto in Gran Bretagna, a volte è difficile essere riconosciuta come una persona di talento, quando sei bellissima, sei d’accordo con me Sienna?
SM: L’idea è che tu non possa essere brava in più di un campo.
T: Sì. Personalmente, Ken Russell mi ha cambiato la vita. Era il miglior regista in circolazione in Inghilterra quando mi ha scritturata per “The Boy Friend”. Tutti gli dicevano: “Ma non sa cantare” e “Non sa ballare” e “Non sa recitare”, ma lui non ci ha badato. E senza di lui io non avrei mai provato a fare altro, se non la modella. Se trovi una persona che davvero crede in te, allora le cose funzionano. Penso però che l’esperienza che più mi sono portata dietro sia “My One and Only”, lo spettacolo a Broadway totalmente diverso da qualunque altra cosa fatta prima. Girare un film fa paura, ma da un certo punto di vista è un’estensione delle dinamiche da modella. Sienna, sai che uno dei tuoi ruoli che ho preferito è quello di Edie Sedgwick (in “Factory Girl”)?
SM: Un personaggio che davvero mi sono portata dietro. Le persone imperfette sono sempre più interessanti, perché più sfaccettate. Con Edie, era semplice comprendere dal punto di vista psicologico perché si comportava in quel modo, ma era anche divertente interpretarla, perché era così magnetica e viveva in un mondo così interessante. Incontrare una come Brigid Berlin, che nella Factory ci aveva vissuto, beh avrei potuto stare ore ad ascoltare tutte quelle storie. Ho continuato ad andare in giro con i collant oppure i body per almeno tre mesi dopo la fine delle riprese, non volevo scuotermi di dosso quella sensazione.
T: La prima volta che andai a New York, nel 1967, mi portarono a conoscere Andy Warhol e ne rimasi molto spaventata. Era così diretto, così schietto e io l’unica cosa trasgressiva che facevo era fumare sigarette. C’erano ragazzi ovunque, una luce fioca e un sacco di musica, poi quell’uomo, con il volto pallido e i capelli grigi che sembrava un cadavere, mi venne vicino. Ricordo che quasi gli dissi: “Non mi piace qui, voglio andarmene”. Quella è stata la mia prima e unica esperienza alla Factory, dove in effetti incontrai Edie Sedgwick!
SM: Sai cosa dicevano se venivi tirato dentro: “Puoi restare, ma non puoi mai andartene”. Era lo spazio di una performance artistica, che Warhol aveva progettato in modo da poter osservare la gente mentre implodeva e si auto-distruggeva, un punto di vista affascinante, se sei un sadico.
JG: Parlando di personaggi imperfetti, Sienna, nel tuo nuovo film, “Wander Darkly”, si racconta molto del mettersi in discussione, del non potersi fidare della propria memoria e delle emozioni. Questo tipo di paura o apprensione ti ha in influenzata una volta fuori dal set?
SM: Ogni volta che mi metto alla prova dal punto di vista creativo, c’è sempre una vocina dentro di me che cerca di tirarmi giù, è quello il demone da combattere. Quando recito a teatro, sono sempre uno straccio la notte prima del debutto. È qualcosa che prende il sopravvento, non so. Andare in scena o avere un ruolo importante in un film, lo paragono a una sensazione particolare, indelebile. È come se dovessi buttarmi fuori da un aereo: odio l’idea in sé, ma il sapere di averlo fatto e di essere arrivata sana a terra, mi dà soddisfazione. Sono molto stimolata da tutte le cose che mi terrorizzano, per me è una lotta continua. E per te Twiggs?
T: Superare le incertezze e le paure è ciò che porta a un risultato migliore. A volte incontri gente che ti dice: “Oh non sono mai nervosa”, e di solito non vale un granché.
SM: Alla base di tutta la mia creatività, c’è l’insicurezza. E la verità è che mi attrae il lato oscuro delle cose, una fatto strano, dal momento che mi considero una persona molto solare, sul lavoro però non funziona così.
T: È bello esplorare entrambi gli aspetti della personalità. Non ho mai avuto modo di indagare dimensioni più cupe, mi piacerebbe.
SM: Oh, allora dirigerò qualcosa di dark e ti arruolerò nel cast.
T: Mi piacerebbe, sai ora che sono una donna matura, vorrei fare qualcosa in cui non mi mettono una buffa parrucca grigia addosso. Vorrei qualcosa di molto vero, potremmo essere madre e figlia, tu saresti perfetta come figlia.
SM: Si! Iniziamo a pianificarlo!
T: Benissimo, tu scrivi la storia.
JG: L’ultimo anno è stato diverso da tutto e una conseguenza inaspettata della pandemia è l’incredibile fascinazione per il passato. I creativi stanno rivisitando le proprie opere precedenti, i designer guardano ai grandi classici. Che ne pensate?
T: Ricevo ancora lettere dai fan, molte sono donne più o meno della mia età che sono cresciute insieme a me, oppure teenagers, tra i 16 e 24 anni, ossessionate dai Sixties e dalla moda, dagli abiti, dalla musica e dall’arte dell’epoca. E mi è successo anche negli anni ’80 e ’90, pensavo che nel tempo tutto sarebbe scemato, invece no. Non so perché il passato risuoni così tanto tra i giovani.
SM: Gli anni ’60 sono stati culturalmente incredibili, una rinascita che non credo si potrà mai replicare. In generale però, credo che la cultura moderna sia satura di informazioni e uno degli aspetti positivi della pandemia è che siamo stati forzati a rallentare, a fare il punto su quanto stiamo consumando. Gli stilisti di maison come Gucci, con cui lavoro spesso, stanno riducendo i volumi delle loro produzioni. Le persone aprono gli armadi per cercare cose da indossare di nuovo e non parlo solo per metafora. Non abbiamo necessità di consumare a certi ritmi, il pianeta vive in una situazione di grande precarietà.
T: Ci domandiamo se c’è un essere superiore a noi ignoto che abbia orchestrato il tutto per dirci: “Aspettate un attimo, ragazzi, bisogna rallentare”. Ho letto che certe zone degli oceani si stanno ripopolando perché si sono ridotte le interazioni con noi umani e che gli uccelli hanno preso a volare in zone prima popolate.
JG: Pensando di poter tornare alle nostre vite di prima, c’è qualcosa del vostro passato che oggi vorreste riconsiderare?
SM: Faccio fatica a meditare di questi tempi, ma è un’abitudine positiva che vorrei recuperare. Se parliamo di moda, appena finirà questa situazione, credo che mi scatenerò. Prima tutti erano così attenti a quello che indossavo che mi sentivo abbastanza a disagio. Ora indosso sempre jeans e maglione, mentre ho tante cose mai portate. Quando sarà passato tutto, avrò bisogno di brillare un po’.
T: Io nemmeno i jeans metto, ho passato l’ultimo anno in tuta, mi piacerebbe tornare a vestirmi con cura.
SM: Tanti si connettono su Zoom senza nemmeno i pantaloni, noi almeno li abbiamo. Mi domando se al termine della pandemia vivremo una situazione tipo anni ’20, quando la loro pandemia finì e all’improvviso i capelli e le gonne si accorciarono.
T: Se potessi rivivere un’epoca, mi tufferei nei Roaring Twenties.
SM: Scott e Zelda a Parigi, Hemingway, Sartre e Simone de Beauvoir, te l’immagini?
T: Viaggiavano tutti molto, ma sulle navi. E si mettevano in tiro per la cena, erano sempre in abito da sera.
SM: Dovremmo riprendere quell’abitudine. Quando non ci sarà più il lockdown, vengo da te e ci mettiamo in ghingheri per cena.
T: Oh che bello, organizzeremo una cena di gala.
SM: Oppure una cena anni ’20 da me e un black-tie dinner da te?
T: Adoro, affare fatto.
MAKEUP Wendy Rowe Caren
HAIR Earl Simms Caren
MANICURE Jenni Draper Premier
VIDEO DIRECTOR Ivan Shaw
EXECUTIVE PRODUCER Sarah Thompson
CASTING Lauren Tabach-Bank
DIGITAL OPERATOR Bruno Conrad
PHOTO ASSISTANTS Tom Hill, Russel Higton, and Shane Ryan
STYLIST ASSISTANT Benjamin Canares