Kennedy Yanko is moving weight
Il successo folgorante dell’artista basata a New York e le cui opere sono entrate in collezioni private e musei, è dovuto a un cambio di rotta. E all’“incontro” con la grande artista dell’astrattismo Hilma af Klint.
Text by ALEXIS SCHWARTZ
Photography CELESTE SLOMAN
Styling LIZZY ROSENBERG
Per Kennedy Yanko tutto è iniziato nel 2018, non la sua carriera d’artista, quanto un nuovo capitolo – il vero capitolo, quello che stava cercando. Dopo quasi una decade di pelli dipinte effetto marmo intrecciate con oggetti trovati in giro o modellate con la gomma, avvertiva una mancanza. Perciò, nel 2018, ha versato la pittura sulla pelle. «È meraviglioso, soffice, reattivo e diretto. La sensualità è l’esperienza della vita; è come percepisci i tuoi sensi ed è l’intero processo del creare». Nel sintonizzarsi con il suo corpo e nel lasciarlo alla guida della nuova palette di colori appena scoperta, finalmente era riuscita ad arrivare al risultato desiderato. Kennedy Yanko, 33 anni, ha avuto un successo folgorante dal 2019, quando ha fatto il suo ingresso in collezioni private e permanenti come DeWoody, Espacio Tacuarí e Art Bunker e ha esposto ad Art Basel Miami Beach come una degli artisti residenti del Rubell Museum. A Soho è stata fermata per la strada da personale di servizio che proclamava di voler arrivare un giorno a possedere una sua opera, mentre BMW e Louis Vuitton l’hanno scelta per delle collaborazioni. Raramente gli scultuori astrattisti, specialmente se sono donne, ottengono tanto successo di pubblico e critica; ancora più raro è che vengano riconosciuti in ristoranti della New York downtown come il Sant’Ambroeus. Yanko rompe le regole e punta a quello che probabilmente è a tutt’oggi uno dei suoi progetti più felici: una reattiva mostra a due con la madre dell’arte astratta Hilma af Klint (1862-1944).
Nel 1911 Vasilij Kandinskij presentava con orgoglio il primo pezzo di arte astratta – uno che aveva fotografato per segnare il momento canonico della sua genesi. In pochi sapevano che la sensitiva svedese Hilma af Klint lo aveva battuto, arrivandoci cinque anni prima. Nel 1920 l’astrattista Paul Klee era stato criticato per la bizzarria della sua pittura dal tratto infantile – il dipinto di af Klint Group IV, The Ten Largest, No. 1, Chil- dhood, risale al 1907. L’icona Bauhaus, la leggendaria collezione “Omaggio al quadrato: apparizione” di Josef Alber del 1959, di fatto, deriva da un quadrato dorato di af Klint del 1916. E gli scarabocchi di Cy Twombly che hanno toccato all’asta i 69.5 milioni di dollari? Quasi una copia carbone dei ghirigori di af Klint del 1896. È una rivelazione scomoda per molti storici dell’arte e la dirompente nota a piè di pagina è stata problematica anche quando il MoMA si è rifiutato di editare la mostra del 2012 “Inventing Abstraction 1910-1925” (Il sito del museo riporta erroneamente il 1911 come anno inaugurale dell’astrattismo). Eppure, il portare alla luce af Klint ha offerto un’esaltante possibilità di riscrivere la storia – con o senza il MoMA – e al contempo creare spazio, capacità di comprensione e di richiesta del pubblico di astrattisti intuitivi, tipo Kennedy Yanko.
Su un volo di rientro da Stoccolma nel 2019, Yanko aveva tentato una comunicazione: «Avevo avuto solo un no». Ma dopo un anno di lavoro, ha riconsiderato il tutto: «Sentivo che avrebbe potuto aver cambiato idea. Il modo in cui mi muovo attraverso il lavoro, in cui accetto i suoi dipinti, come elaboro i suoi scritti, e le informazioni che ottengo non mi sembrano in alcun modo bloccate. Sento che è un procedere fluido, senza sforzo, tutto sta accadendo». E tutto, in questo contesto, è forse il miglior lavoro di Yanko mai realizzato finora. Ridotti in scala i pezzi della sua mostra al Rubell Museum sono palpabilmente magnetici, vibrano di un’energia che può turbare l’osservatore. C’è una notevole armoniosità delle opere che suscita nude emozioni. Dal punto di vista accademico, non sappiamo da dove derivi fisicamente la coscienza – un dibattito in cui Yanko è desiderosa di lanciarsi. Sebbene alcuni scienziati ritengano che inizi e finisca nel cervello, altri sostengono che riguardi l’intero corpo. Yanko, sostiene «Non ho prove scientifiche, ma direi che inizia nel corpo. La sento nel mio stomaco, la sento sul ginocchio. (Il punto Zu San Li di acupressione che si ritiene abbia il potere di ringiovanire in perpetuo). Dalla sua testa, dalle spalle, ginocchia e punta delle dita, Yanko costruisce il suo lavoro – attende momenti di espansione e contrazione per guidare le sue mani. Ecco perché si è identificata così tanto in af Klint che attribuiva i suoi dipinti a “forze esterne”, canalizzate attraverso il suo corpo per dirigerne le pennellate. «Quando lessi di af Klint, era la prima volta nella mia vita di artista auto-didatta che scoprivo qualcuno il cui processo mentale era simile al mio – usare il corpo come un contenitore. È così avvalorante sapere di un’altra artista con un metodo di lavoro simile. Sebbene io non canalizzi le energie perché non sono sensitiva, ho diversi modi per raccogliere informazioni e sensibilità differenti nel mio corpo che mi aiutano a lavorare. Per anni mi sono mossa in un’esistenza fuori dal mondo perché era ciò di cui avevo bisogno per farlo funzionare. Dovevo esserci, dovevo essere presente e ora sto iniziando a entrare in uno spazio più morbido. Nel fare questo lavoro per Hilma e nello studiare diversi artisti mistici ho avuto modo di riconnettermi con ciò che ha dato origine al mio lavoro in prima battuta».
"Per diversi anni ho funzionato in un'esistenza fuori dal mondo... ora sto iniziando a entrare in uno spazio più morbido"
Le sue scelte di materiali di ferro e di pittura agiscono come protoni ed elettroni, legandosi ionicamente per creare una singola struttura atomica. «Perché i nostri cervelli decidono di focalizzarsi sulle polarizzazioni?» Domanda Yanko: «Sono affascinata dal momento in cui c’è armonia nel cuore. Cosa accade quando riconosciamo l’oscurità e la luce della mente e la necessità di entrambi, di quanto siano inseparabili.» C’è un preciso scopo nel suo processo, un dogma metafisico in cui l’intenzione e la produzione esistono in una continuità lineare. «Penso alla qualità atomica del lavoro di tutti i tempi. Trasmetto la mia intenzione al pezzo, creo quel momento di atomizzazione, quel momento in cui entrambe le cose si uniscono». Bisogna cercare di connettersi con l’ineffabile “Uno” del Neoplatonismo, non con il dualismo – il punto è intrinseco per la comprensione del suo lavoro. E forse una ragione in più per cui si mantiene un legame tra Yanko e af Klint: entrambe hanno atteso di poter mettere le cose in chiaro. Nel suo testamento, af Klint stabi- liva che i suoi lavori non venissero esposti prima di 20 anni dalla sua morte – ce ne sono voluti 75. Fino alla mostra del 2018 “Hilma af Klint: Paintings for the Future” al Solomon R. Guggenheim Museum, era sconosciuta la portata del contributo di af Klint alla storia dell’arte. Al termine, si sarebbe rivelata come l’exhibition più vista nella storia del Guggenheim con oltre 600mila visitatori per le 165 opere esposte. È stato un reset culturale che ha spostato il paradigma dell’astrazione e ha istigato una caccia ad artisti con una forma mentis simile. L’impatto era stato grande, eppure poco distante da lì Yanko guardava con calma le sue prime pelli monotono asciugarsi, ignara della futura armonizzazione che presto avrebbe sentito e delle porte che avrebbe aperto. «Durante quel processo, ho chiesto: hai chiarezza nelle tue opinioni concrete? E sei chiara? Sei consapevole e costantemente in contatto con il tuo stato di vibrazione per essere in grado di reagire man mano che cambia? E io sono lì? e la risposta è si, onestamente sono proprio lì».