L'intervista a Indira Varma
Text by FABIA DI DRUSCO
Photography LEONARDO VELOCE
Styling CAROLINA AUGUSTIN
Vestita di una blusa rossa ricamata che sembra uscita da un quadro di Matisse, una grande libreria alle spalle, Indira Varma spicca contro le pareti di un blu luminoso della stanza. La nostra, via Zoom, è solo la prima delle interviste della giornata, in un momento particolarmente caldo dal punto di vista mediatico per l’attrice, a neppure due settimane dall’uscita della prima puntata della mini serie Disney “Obi-Wan Kenobi” e dalla prima, il 29 giugno all’Harold Pinter Theatre, de “Il gabbiano” di Čechov, messo in scena brevemente, nel 2020, prima della chiusura dei teatri per Covid, al Playhouse Theatre, e di cui si era parlato moltissimo perché aveva segnato il debutto sul palco scenico di Emilia Clarke. Figlia di una graphic designer svizzera e di un illustratore indiano, Varma è cresciuta a Bath. La sua folgorazione per il teatro scatta dopo aver visto recitare Maggie Smith, in uno spettacolo per cui aveva fatto ore di coda per recuperare gli ultimi biglietti disponibili a una sterlina. Ancora prima di diplomarsi alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra viene scelta come protagonista di “Kama Sutra” da Mira Nair, già molto apprezzata dalla critica per “Salaam Bombay!”, candidato all’Oscar e premiato a Cannes, e per “Mississippi Masala”, ma ancora lontana dalla fama presso il grande pubblico che le procureranno “Monsoon wedding”, Leone d’Oro 2001 a Venezia, e “La fiera della vanità” con Reese Whiterspoon.
L’OFFICIEL ITALIA: Com’è nata la tua passione per la recitazione?
INDIRA VARMA: In realtà credo che tutti recitiamo, mettiamo in scena un ruolo. Ogni bambino è un attore. In questo senso più che di vocazione parlerei di continuazione. Da bambina mi piaceva far ridere la gente e come figlia di immigrati avevo bisogno di assimilare tante cose. E cosa è recitare se non passare da un codice all’altro? Mi ero iscritta all’università pensando di studiare francese. E ho fatto la domanda per il Rada. All’ultimo anno di scuola, Mira Nair mi ha fatto fare una serie di provini per il ruolo in “Kama Sutra” che sarebbe poi andato a Sarita Choudhury (la moglie di Saul in “Homeland”, nda). E alla fine mi ha fatto interpretare la protagonista.
LOI: In varie interviste hai dichiarato che dopo quel ruolo eri stata incasellata in uno stereotipo di bellezza esotica eri cevevi una serie di proposte tutte desolatamente uguali.
IV: Esatto. Avevo 20 anni e ci tenevo ad essere io. Avevo ancora una silhouette arrotondata, un po’ di baby fat. E mi avevano obbligata a dimagrire. Odiavo che la gente potesse avere opinioni sulla forma del mio naso. Passare al teatro per cui avevo studiato è stato magnifico: perché il teatro è incentrato su quello che sai fare, e il cinema su quello che sembri. A teatro, recitando Shakespeare, potevo interpretare l’umanità, al cinema ero limitata. Per fortuna ora le cose stanno evolvendo e sono convinta che incoraggiare al cinema e in teatro cast più inclusivi e diversificati stia già cambiando il nostro modo di percepire la società. Ricordo ancora quando Michael Grandage debuttò come direttore artistico del Donmar con “The vortex” di Noël Coward. Era il 2003, io avevo una piccola parte, Chiwetel Ejiofor (il protagonista di “12 anni schiavo” di Steve McQueen, nda) era uno dei protagonisti, e la maggior parte delle recensioni lo ritenevano miscast per l’incongruità di presentare un nero come figlio di due attori bianchi. Ora invece tutti aspirano a essere differenti. Personalmente ho sempre considerato la mia doppia eredità etnica e religiosa una forma di ricchezza.
LOI: Veniamo al presente. Cosa puoi dirci di “Obi-Wan Kenobi”?
IV: Assolutamente niente, io compaio nel terzo episodio e non voglio spoilerare nulla. Però se hai visto il trailer mi hai già visto con l’uniforme dell’esercito imperiale. Non sono mai stata una fan di “Guerre stellari”, ma come chiunque nella mia generazione la saga mi ha accompagnato tutta la vita, sullo sfondo. Anche senza aver mai visto i film da piccola giocavo a fare la Principessa Leila. È stata mia figlia che ha voluto vederli. Ho accettato di partecipare alla serie Disney perché quale attore non vorrebbe far parte di qualcosa di così iconico? Io di solito recito in contesti più piccoli, molto realistici, e questo mi ha fatto apprezzare ancora di più lo storytelling fantasy della serie, il suo racconto allegorico. E poi mi fidavo della regista, Deborah Chow, che aveva diretto un altro spin off di “Star Wars”, “The Mandalorian” e sapevo dal mio adorato Pedro Pascal quanto fosse bello lavorare con lei. Avrebbe potuto realizzare qualcosa basato esclusivamente sugli effetti speciali, ma è sempre stata disponibile a modificare lo script per definire meglio il personaggio. Mi ha colpito molto il rispetto e l’interesse umano che mostrava a tutti. E ho adorato lavorare con Ewan McGregor, l’attore più gentile, generoso, charming che esista. Divertente anche: quando cominciavamo a ridere non smettevamo più. E un professionista impeccabile, sempre il primo ad arrivare sul set.
LOI: E che puoi dirmi di Tom Cruise? E del tuo cameo in “Mission Impossible 7 - Dead Reckoning”
IV: È stata un’opportunità last minute, mi hanno dato uno script di dieci pagine con due giorni di anticipo e quando mi sono detta preoccupata di non riuscire a memorizzare le battute il regista mi ha detto di non preoccuparmi, che avrebbe risolto tutto in fase di montaggio. Che dire di Tom Cruise? Che è una fortuna che portassimo ancora la mascherina durante le riprese: appena se la toglieva e sfoderava il suo sorriso ero abbagliata. È super carismatico, emana un’energia straordinaria ed è estremamente divertente.
LOI:Prima hai menzionato Pedro Pascal, con cui hai formato una delle coppie più amate dai fans di “Game of Thrones”.
IV: Pedro è super seduttivo, dannatamente sexy, totalmente imprevedibile e con un senso dell’umorismo straordinario... la chimica evidente sul set era la stessa nella vita reale.
LOI: Sei anche nel cast di “Extrapolations”, l’antologia di Scott Z. Burns per Apple tv sugli effetti del cambiamento climatico sulla vita individuale, dall’amore al lavoro, dalla fede alla famiglia. Con un cast impressionante, da Meryl Streep a Marion Cotillard, da Tobey Maguire a Kit Harington.
IV: Tutti noi dobbiamo assumerci la responsabilità individuale di fare quanto possibile a livello personale per contrastare il cambiamento climatico se vogliamo lasciare un pianeta vivibile alle future generazioni. Chi non lo fa è orrendamente egoista, perché in queste condizioni il pianeta sopravviverà forse per noi, ma poi? Come attori la maggior parte delle volte siamo strumenti di storie di altri, quando non marionette nelle mani del regista: portare avanti un discorso che mi sta tanto a cuore è un privilegio. Gli episodi sono ambientati in un futuro vicino, io sono una scienziata diventata un’imprenditrice milionaria che investe in tecnologie avanzate, alle prese con l’ex marito (Edward Norton) con cui condivideva ideali poi mutati nel tempo.
LOI: A teatro hai recitato Shakespeare, Shaw, Pinter, Hare, Noël Coward, hai calcato i palcoscenici londinesi più prestigiosi, dal National Theatre al Royal Court all’Old Vic, nel ’20 hai vinto l’Olivier Prize per “PresentLaughter”, e adesso torni on stage a fianco di Emilia Clarke ne “Il gabbiano” di Čechov. Come alterni cinema, tv e teatro, quale medium ti è più congeniale?
IV: Conosco Emilia dai tempi di “Game of Thrones”, anche se nella serie HBO non abbiamo mai condiviso una scena. Nel 2020 “Il Gabbiano” doveva segnare il suo debutto nell’West End, ma dopo quattro anteprime tutti i teatri sono stati chiusi. Ora finalmente ci siamo. Io mi sono formata come attrice teatrale, a recitare in un film ho imparato direttamente sul set. Sono due cose completamente diverse, a teatro tutto si basa sul testo, e tu sei in controllo. E recitiamo opere che hanno superato il test del tempo e continuano a parlare alla gente. All’inizio leggevo i copioni dei film e mi sembravano spazzatura e odiavo il fatto di non essere in controllo, che il regista potesse tagliare una scena a suo piacimento, o che potesse oggettificarmi in quanto giovane donna. Adesso ho una visione più bilanciata, l’unico problema è trovare il tempo per tutto.
Team Credits:
HAIR: Mike O'Gorman @ SAINT LUKE ARTISTS;
MAKE UP: Jo Frost.