Fashion

Donatella’s Manifesto: l'intervista a Donatella Versace

Back to glam, back to eleganza. Donatella Versace conquista Los Angeles con uno show stellare e traccia le coordinate per il futuro della Medusa. «Versace è un unicum, è lusso vero. Voglio fare in modo che questa maison rimanga rilevante nel fashion system e nella conversazione culturale globale». 

Donatella Versace insieme a tutte i modelli della F/W 2023-24 a Los Angeles in un ritratto realizzato ad hoc per L'OFFICIEL.
Donatella Versace insieme a tutte i modelli della F/W 2023-24 a Los Angeles in un ritratto realizzato ad hoc per L'OFFICIEL.

«Il mio sogno per Versace? Vorrei poter fare quello che ho fatto nella collezione presentata in passerella a Los Angeles. Scherzi a parte voglio riuscire a far capire che cosa è Versace oggi, ed è un unicum nel panorama globale. È lusso vero. Voglio fare in modo che questa maison rimanga rilevante non soltanto nella moda, ma in generale nella conversazione culturale globale». Donatella Versace è un fiume in piena di emozioni e di pensieri, reduce dal successo del mega show che, pochi giorni prima degli Oscar, ha svelato nella Città degli Angeli il nuovo volto della Medusa. Davanti a un front-row stellare, da Elton John a Dua Lipa, passando per Miley Cyrus, Cher, Anne Hathaway, Lil Nas X, Demi Moore, Channing Tatum, Pamela Anderson, la famiglia Hilton al completo, Simone Ashley, Lucien Laviscount o l’italiano Marco Mengoni, sulla terrazza del Pacific Design Center un cast di über model, capitanato da Gigi Hadid e chiuso da Kendall Jenner con Naomi, Vittoria Ceretti o Emily Ratajkowski, ha dato vita agli oltre 80 look in pedana. Una sola la password di stagione, bussola del nuovo corso della griffe. «Questa stagione avevo voglia di lusso. Credo che la semplicità, rappresenti il vero lusso oggi: un tessuto speciale, unico, prezioso, e un taglio perfetto. Niente ricami, niente sovrastrutture, niente orpelli. Ma architetture, tagli e forme. Se dovessi racchiudere questa stagione, e il mio lavoro futuro per la maison, in una parola direi che è l’essenza del lusso».

L'OFFICIEL ITALIA: Un mega show a Los Angeles e un manifesto estetico di rinnovata eleganza. La citazione di una collezione storica della maison, la “Hollywood glamour” del 1995 e un line-up di celebrities. Che cosa rappresenta il glamour per te oggi?
DONATELLA VERSACE: Versace è sempre stato un brand per donne forti che non hanno paura di uscire, di esporsi ed essere glamour, donne che credono in sé stesse. Le attrici hanno esattamente questa confidenza che io cerco, perché per recitare nei panni di un’altra persona devi essere molto brava.

Scorri verso il basso per scoprire tutta l'intervista di Donatella Versace

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Cher, Marco Mengoni, Dua Lipa, Elton John, Lil Nas X e Miley Cyrus alla sfilata di Los Angeles.


LOI: Quanto è difficile vestire una celebrity?
DV: Sono tutte molto timide, insicure in genere. Guardi un film e pensi il contrario. Quando gli metti un abito addosso loro recitano, quando escono con un abito poi sono regine. È una trasformazione incredibile. Tutti i veri artisti sono insicuri, però poi li vedi uscire trasformati perché entrano in quella parte.

LOI: Perché le star amano così tanto Versace?
DV: Perché Versace ha sempre esaltato il corpo di una donna. Io stessa ho sempre creato donne forti, sicure di sé stesse. E belle. Anche trasformandole. 

LOI: C’è stato un momento speciale o un personaggio in particolare che ti ha aiutata a crescere nel tuo percorso creativo?
DV: Sono stata molto fortunata, ho incontrato artisti meravigliosi e vissuto momenti che non avrei mai immaginato. Ho molti amici dotati di grande talento, vederli immersi nel lavoro o semplicemente conversare con loro è una fonte d’ispirazione e di crescita continua.

LOI: Quale è oggi il tuo rapporto con le celebrities?
DV: È un rapporto molto personale, intimo. Se non le conosco non posso lavorare con loro. Non riesco a pensare come poterle vestire. Il miglior lavoro con un talento nasce dallo scambio. Con Dua Lipa, per esempio, siamo amiche e questo mi aiuta a capire cosa creare per lei. Con le nostre celebrities cerco di avere un legame speciale, ascoltando le loro parole, le loro emozioni, le loro paure. Devono andare in scena davanti al mondo e un abito può diventare un aiuto per regalarti più sicurezza, donarti un piccolo super potere.

LOI: Le donne hanno ancora bisogno di sentirsi forti indossando un abito?
DV: Le donne sono forti, sono diventate molto forti ma un abito può renderle ancora più forti e sicure, come una corazza che le protegge dal mondo. 

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Lady Gaga alla serata degli Oscar in uno dei look Versace F/W 2023-24. Anne Hathaway nella campagna Versace Icons collection.


LOI: Tra i personaggi famosi di oggi chi ti piace? C’è qualcuno che ti ha conquistata per quello che ti ha trasmesso?
DV: E molto difficile sceglierne una sola In questo momento forse Doja Cat. È una persona che non smette mai di pensare, di osare, di spingere i confini, di sperimentare. È una ragazza eccezionale, intelligentissima e con un senso della moda incredibile. Ma quello che mi conquista di lei è la sua capacità di trasformarsi con il vestito. Osa. È una donna che osa. Osa un po’ come Madonna faceva nei primi anni del suo lavoro. La adoro. È una delle ragazze più intuitive e più creative che ci possano essere in questo momento.

LOI: In tutto il tuo percorso creativo hai tratteggiato un’idea di donna precisa. Come definiresti oggi la donna Versace?
DV: In una parola luxury. È una donna che indossa un guardaroba fatto di architetture, di tagli, di tessuti. La perfezione. Quando una donna con un abito si sente bella, confident, forte in un abito perfetto, è il miglior regalo che possa ricevere. E allora vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro. La mia donna oggi? Non ce n’è una: sono tante, non è mai la stessa. Un giorno può essere Dua Lipa e il giorno dopo può essere una signora di una certa età, pazzesca, che ama trasmettere una femminilità potente. Quando scegli Versace è perché ti regala un piccolo sogno, di lusso, di perfezione, di forza. Davvero non c’è una sola donna Versace… Se ce ne fosse una sola mi arrabbierei. E lo stesso vale per l’uomo. Non amo parlare di un uomo o di una donna ma di una comunità.

LOI: E tu, ti senti una donna Versace?
DV:  Io sono Versace. Ma in realtà anche io ho tantissime insicurezze. Non le faccio vedere, ma ne ho. Dopo anni di lavoro, mi chiedo se un abito sarà abbastanza bello. Ho sempre un po’ paura, anche durante le sfilate temo che qualche cosa vada storto. Quando c’era Gianni, lui mi diceva: «Ma figurati, andrà benissimo».

LOI:
E tu, come superi la paura?
DV: Chiudo gli occhi e penso di essere in un altro posto, poi li riapro e vado avanti. Sogno di essere nel posto che amo di più: il mare. Questa immagine è la cosa che mi calma, che mi aiuta ad andare avanti. 

LOI: Quale è il momento che ti fa più paura?
DV: Dieci minuti prima dell’inizio di ogni sfilata penso sempre che si sia rotto un abito o che una modella stia male. Vado un po’ nel panico. Non è mai successo, è una paura inesistente ma mi prende tutte le volte. Ogni sfilata ti porta a confrontarti con il mondo. Indubbiamente quello che faccio mi piace, ma “agli altri piacerà?”, mi chiedo sempre. Siamo Versace e quindi dobbiamo per forza dimostrare di essere qualcosa di grande. 

LOI: Quanto è difficile essere Donatella Versace?
DV: Difficilissimo (ma mentre lo dice ride, nda). Vorrei non essere riconosciuta, le persone mi chiedono un selfie e io mi vergogno, sono timida. Non è difficile essere Donatella Versace, è difficile essere il direttore artistico di un’azienda con questa storia. Non puoi sbagliare, devi capire i giovani, il fermento che c’è in giro, sia intellettuale che digitale. Soprattutto quello digitale è stato una rivoluzione.

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Kristen McMenamy in uno scatto dall'archivio de L'OFFICIEL PARIS n. 797 del 1995.

«Versace ha sempre esaltato il corpo della donna. Io stessa ho sempre immaginato delle donne forti, sicure di sé. E belle. A volte anche trasformandole».

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Bozzetto di Donatella Versace per la F/W 2023-24.


LOI: Ti sei portata molto velocemente in linea con il mondo digitale…
DV: Se c’è una cosa nuova, voglio essere la prima a essere lì e, soprattutto, a capirla. Il mondo digitale ci condiziona molto. Va accettato, è una nuova realtà cui bisogna abituarsi. A me piace tutto ciò che è evoluzione. Non sono nata nell’era digitale, ma capisco che questo sia il mondo di oggi.

LOI: E come sta cambiando la moda? Hai vissuto periodi meravigliosi…
DV: Ho vissuto dei momenti incredibili che non si ripeteranno mai più, perché il mondo è cambiato. Ma le emozioni… che meraviglia. La paura, con Gianni, che era sempre più insicuro di me, e io che gli davo forza, ma non è che ce l’avessi davvero. Facevo finta. Se penso a quei momenti, non vorrei essere nostalgica, ma la moda italiana e internazionale è nata in quei momenti, chi ha saputo fare moda negli anni ’90 c’è ancora.

LOI: E oggi com’è cambiata? C’è molta immagine, Instagram, il marketing…
DV: Ho insistito sulla sartorialità, non intesa come vecchio stile ma come tecnica per provare delle cose nuove. Ho ancora il mio atelier qui nel mio ufficio, adoro le donne che ci lavorano e la sfilata di Los Angeles è molto incentrata su questo. È molto atelier, non considerato come l’alta moda, ma come modo di costruire l’abito affinché sia perfetto.

LOI: Ecco, lo show di Los Angeles... Come è nato questo progetto?
DV: Per questa stagione avevo voglia di un cambiamento. Anche se adoro Milano, che ha fatto passi da gigante come metropoli e come città di moda con una risonanza globale, avevo voglia di sperimentare un environment differente, nuovo. Anche di fare qualche cosa all’aperto con un contatto più diretto e forte con la natura. Ho avvertito l’esigenza di essere vicina a uno scenario unico, extra, speciale. Per questa ragione ho pensato a Los Angeles, che è una città che adoro e a cui sono legata profondamente.

LOI: Che cosa rappresenta questa città per te?
DV: Tanto, vado spessissimo a Los Angeles. Amo le due anime che racconta. Quella più glamorous, del cinema e delle celebrities. Ma anche quella della natura, dei ragazzi che vanno a fare sport sulle spiagge. Sani, belli, atletici. Mi piace questa idea di una città popolata da persone che si curano, esternamente e internamente. È una città che combina, meglio di qualunque altra, la sua anima metropolitana e quella naturale. È una città che vive di opposti: il relax più totale da una parte, la mondanità estrema dall’altra.

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Foto di archivio da L'OFFICIEL PARIS n. 794, n.800, n.798, n.801, tutte del 1995.


LOI: Quanto c’è di Donatella Versace nella Città degli Angeli?
DV: Sono venuta spesso qui per fare vacanze perché sono legata a doppio filo a questa città, racconta di me in maniera profonda. La dimensione privata, intimistica e salutare. Il volto più mondano, quello che è illuminato dai riflettori. E poi è una città generosa, che regala ispirazioni. Grazie a un fermento creativo sotterraneo che sta donando punti di vista innovativi sull’arte, per esempio, sulla scultura o sulla letteratura. Los Angeles è una factory a cielo aperto, un punto di incontro per creare il nuovo… o quantomeno sperimentarlo. Los Angeles è un laboratorio dove provare a scrivere il futuro.

LOI: Che messaggio estetico hai voluto raccontare con questa collezione?
DV: Sono partita molto semplicemente da una parola… Eleganza, pensando che questo show è avvenuto pochi giorni prima della notte degli Oscar. Pensando all’eleganza delle attrici icona del grande schermo. Che avevano una vita personale abbastanza privata e che quando calcavano il red carpet erano pronte a incarnare un fascino mozzafiato, uno chic incredibile. Ho sempre pensato che quello fosse il vero glamour di Los Angeles. E nel percorso creativo ho guardato indietro a una collezione creata da Gianni del 1995. Per raccontarla avevamo fatto un servizio fotografico con Richard Avedon proprio a Los Angeles, con due supermodels come Kristen McMenamy e Nadja Auermann. Ho avvertito il bisogno di qualcosa di più strutturato, più sartoriale, più dressy per questa stagione.

LOI: La moda oggi ha bisogno di lasciare lo streetwear per abbracciare un’idea di eleganza classica?
DV: Sì, c’è bisogno di tornare alla sartorialità e pensare un po’ meno streetwear. C’è bisogno di vero glamour, quello non appariscente, quello che non è fatto soltanto di paillettes e di sfavillii. Avevo voglia di vestire davvero la donna regalandole una silhouette carica di fascino.

LOI: Il tuo manifesto sembra essere basato su un ritorno all’essenza della sartorialità…
DV: Bisogna lavorare su una nuova idea di sartoriale, quello che anche le giovani donne vogliono. L’essenza della moda, di una giacca, un abito, tagliato alla perfezione per valorizzare il corpo. Eliminando quegli orpelli “estetici” che possono derivare dallo styling. Anche io l’ho fatto in passato, ma questa stagione per me il focus è sull’architettura dell’abito.

«C’è bisogno di tornare alla sartorialità e pensare un po’ meno streetwear. C’è bisogno di vero glamour, quello essenziale e meno appariscente».

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Backstage della sfilata di Los Angeles F/W 2023-24.


LOI:
E su un ritorno al lusso…
DV: La parola lusso in passato è stata abusata. Luxury ha un significato preciso, soprattutto nel mondo della moda. E Versace è una maison luxury. La semplicità, credo che questo rappresenti il vero lusso oggi: un tessuto speciale, unico prezioso e un taglio perfetto. Questa stagione avevo voglia di lusso. Niente ricami, niente sovrastrutture, niente orpelli. Ma architetture, tagli e forme. Se dovessi racchiudere questa stagione, e il mio lavoro futuro per la maison, in una parola direi che è l’essenza del lusso.

LOI: Se dovessi scegliere un capo e un colore per raccontare la tua idea di eleganza oggi cosa sceglieresti?
DV: Il nero prima di tutto come colore simbolo. E poi un little black dress, un’icona intramontabile che anche Gianni ha riletto, ripensato, ricreato diverse volte. Chiunque vuole nel suo armadio un piccolo abitino nero perfetto che la fa sentire bellissima. Questo è il vero lusso di oggi. Che non è l’alta moda. Ma è un ritorno alle radici di questa maison. Il vero lusso per me oggi è nella perfezione di una silhouette. Nella costruzione di un abito.

LOI: Hai citato spesso l’archivio e la storia della maison come ispirazione di questa stagione… Come interagisci con la storia di Versace?
DV: Non ho bisogno di andare in archivio per ricordarmi la storia di Versace: è tutta nella mia testa. Preferisco il mio ricordo alla realtà. Non ho nemmeno preso i capi quando ho iniziato a creare questa stagione. Ho preferito raccontarli alle sarte dell’atelier e ai ragazzi del team creativo per lasciarli liberi di rileggere il passato con lo sguardo e il pensiero di oggi. Mi piace vivere nel presente e scoprire il futuro con gli occhi di una bambina curiosa.

LOI: In questa direzione si inserisce anche il progetto Versace Icons collection che avete appena lanciato con Anne Hathaway come icona-testimonial?
DV: Questo progetto racconta i nostri pillars. Ho selezionato una serie di essentials di lusso, con un fit perfetto e capaci di valorizzare la bellissima e straordinaria semplicità delle silhouette Versace (tra i capi iconici di questa collezione compaiono il tailleur pantalone “DV”, una sorta di divisa della designer, e l’abito nero dal fit perfetto ispirato alla collezione Atelier Versace S/S 1995, nda). Le donne che vestiamo, poliedriche e modelli d’ispirazione, raccontano di come Versace le faccia sentire consapevoli, sicure di sé e splendide. Proprio come dovrebbe sentirsi un’icona. Abbiamo scelto di lavorare con Anne Hathaway, di cui sono una grande fan, sia del suo lavoro ma soprattutto di lei come persona: è una grande star, una businesswoman, una donna creativa ma soprattutto un’anima speciale. E tutto questo la rende una perfetta Versace icon.

LOI: In tutti questi anni di carriera ti sei mai sentita “arrivata”?
DV: Il momento più bello è quello che non si è ancora vissuto! Non penso al passato. Sono sempre stata entusiasta del futuro, di ciò che deve ancora venire. E comunque, neppure oggi mi sento “arrivata”. Non credo che succederà mai, fortunatamente. Ho tante cose da dire, tante idee e ancora più progetti. Una vita non basterà a realizzarli tutti. O magari sì, vedremo

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