Talking dress: Dima Ayad firma una capsule collection per Marina Rinaldi
«I miei abiti parlano di chi li indossa», così la designer libanese Dima Ayad racconta lo spirito della capsule collection disegnata per il marchio Marina Rinaldi.
Text by CRISTINA MANFREDI
Photography MARCO CELLA
È libanese, ma vive a Dubai dove la sua carriera sembrava aver preso tutt’altra piega. Si chiama Dima Ayad ed è l’autrice della capsule collection F/W 2023-24 di Marina Rinaldi. I modelli sono sette, due dei quali declinati in due tonalità, e sono un concentrato di colore e accenti bling-bling che si armonizzano perfettamente con il DNA del marchio italiano, alfiere, tanto quanto la designer, di una inclusività a 360 gradi.
L’OFFICIEL ITALIA: Come sei arrivata a costruire il tuo brand?
DIMA AYAD: Ho sempre lavorato full time in un contesto slegato dalla moda. Sono stata vice-presidente marketing di Atlantis, il resort all’interno di The Palm a Dubai e non ho alcuna formazione specifica come stilista. In passato soffrivo nel non trovare abiti della mia taglia, oppure di avere a disposizione solo opzioni pensate per donne più mature di me, così ho iniziato a farmi dei vestiti dal mood giovane, più adatto ai miei allora 30 anni. Dopo un po’ amiche e donne della mia famiglia hanno iniziato a chiedermi di realizzarli anche per loro, ma ancora non lo consideravo un lavoro. A un certo punto, ho trovato il coraggio di dare vita a una collezione, andata subito sold out, e da lì mi sono strutturata in un vero e proprio brand nel 2011.
LOI: Da dove nasce questa capsule?
DA: Sono una grande fan del brand e lo indosso quotidianamente. Proprio questa mattina, mentre mi preparavo per uscire ho realizzato che nel mio guardaroba ci sono essenzialmente pezzi miei o di Marina Rinaldi. Durante i miei molti viaggi, ho capito che l’azienda era sempre più interessata alle collaborazioni, da Fausto Puglisi, ad Ashley Graham a Marco De Vincenzo e mi sono detta: perché non io? Frequento spesso il flagship store di Londra e in più occasioni abbiamo chiacchierato en passant di questa possibilità, finché un giorno mi è arrivata una chiamata ufficiale: “Voleresti a Londra per incontrarci?”
LOI: Com’è stata l’esperienza con il marchio, per cui hai già firmato il rinnovo per un’altra stagione?
DA: La loro sede di Reggio Emilia esercita un grande fascino su di me. Io sono abituata a disegnare in ristrettezze, mentre lì ero libera di creare. Per esempio, di norma parto dai tessuti che ho a disposizione, invece al nostro primo meeting mi hanno chiesto su quali tessuti avrei voluto lavorare e dopo poco me li hanno portati da selezionare.
LOI: Qual è il messaggio chiave della collezione?
DA: Sono tutti look che parlano, parlano di te al mondo e al contempo a te stessa. Mi offendono certe passerelle dove in pedana sfilano plus size che poi non verranno mai prodotte. Con il mio stile non passerai mai inosservata e vieni riconosciuta per ciò che sei. Inoltre sono facili da indossare, niente lingerie ad hoc, niente guaine contenitive, te li metti e vai.
«Mi offendono certe passerelle dove in pedana sfilano plus size che non verranno mai prodotte. Con il mio stile non passerai mai inosservata e potrai essere riconosciuta per ciò che sei».
LOI: C’è un capo di punta in questa capsule?
DA: Ne vedo due, il blazer da sera e il caftano. Nella regione in cui vivo i caftani sono sfruttatissimi, io però ho pensato anche all’immaginario californiano degli anni ‘70. Quanto alla giacca, sognavo da sempre un modello da sera che funzionasse bene anche con una T-shirt e i jeans.