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Serie illimitata

Remake, prequel e saghe a puntate di supereroi sembrano tradire una profonda crisi creativa del cinema. Mentre nelle serie per il piccolo schermo si sperimenta ed esplora. Ma è davvero così? No. Lo dimostra “Twin Peaks”, insieme sequel e upgrade dell’originale. Quando la tv diventa cinema e il cinema si fa tv
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Una scena tratta da “Guardiani della galassia vol.2.” Foto Marvel Studios 2017

 

di Rocco Moccagatta

“Star Wars” sequel e prequel, Marvel movies, “Wonder Woman”, James Bond movies, “Pirati dei Caraibi”, “Fast & Furious”. Mai quanto nelle ultime stagioni lo spettatore cinematogra co si trova risucchiato in un maelstrom di saghe e franchise sempre più costruiti secondo principi e strutture seriali, quasi come fossero altrettanti episodi di quelle serie tv che, nel contempo e con altre pre gurazioni e aspettative, frequenta ormai assiduamente sul piccolo schermo (non importa se tv o computer). Hollywood, insomma, si scrive e si legge da più parti, preferisce reiterare formule e concept sicuri già rodati, cedendo il primato dell’originalità creativa e della libertà di sperimentare proprio a quel medium televisivo (ormai da intendere in senso lato), a lungo vissuto e praticato, spesso attraverso le proprie dependance industriali dedicate, come suo succedaneo in tono minore. È innegabile: le grandi saghe cinematogra che contemporanee prendono in prestito dai formati seriali strategie e caratteristiche (la continuity orizzontale, la progressione narrativa, il senso di attesa della prossima puntata) e si presentano come appuntamenti periodici, rinnovati e mantenuti attraverso una vera e propria macchina industriale attiva a 360 gradi, in sinergia con altri formati naturalmente predisposti, come i comic book supereroistici Usa. Non è propriamente una novità: già i serial del cinema muto degli anni 10 e 20 del 900 presentavano molti di questi elementi, gli di una

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Qui sopra e in alto, l’attrice Gal Gadot, protagonista del film “Wonder Woman”. Foto Warner Bros.

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I protagonisti della serie televisiva “The Exorcist” prodotta da Fox

 

nascente industria culturale impegnata a spalmare su più media personaggi e mondi. Che questo, oggi, sia sempre e comunque sintomo di decadenza e confermi uno stato di creatività bloccata per il cinema, è, però, vero no a un certo punto, almeno oltre l’evidente indulgenza delle major, soprattutto in momenti di crisi e di stasi, verso le pratiche di sequel e di remake (l’altra tendenza ricorrente, conseguenza di periodici bisogni di aggiornamento tecnologico e di riformulazione di storie e situazioni). Ma, è altrettanto vero, oltre la super cie, che, proprio in questo cinema serializzato, spesso si resta sorpresi dalla consapevolezza e capacità di variare formule e imprinting (non è forse vero che “I guardiani della galassia” è riuscito a mettere d’accordo critica e pubblico, declinando

in maniera originale il concetto di superhero movie e persino rinnovando il genere della space opera?). Si pensi, poi, all’altra metà del cielo, a quelle serie
tv che sembrano aver sottratto al cinema il primato della qualità. Non si può dubitare che, a fronte di una serializzazione del blockbuster hollywoodiano, le ction seriali hanno avuto la possibilità di sondare

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Johnny Depp in “Pirati dei Caraibi - La Vendetta di Salazar”. Foto Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved

 

ed esplorare interessi e concept sempre più speci ci e di nicchia. Però, a loro volta, nelle ultime stagioni, hanno sempre più manifestato il bisogno di uscire dal ghetto dei target di ultra-nicchia, e, per farlo, si sono spesso rivolte alla serializzazione di lm di successo. Con un ventaglio ampio di possibilità e di esiti, anche oltre le operazioni più semplici e immediate (“Arma Letale”, “The Exorcist”): “Fargo” è l’occasione di rielaborare continuamente in stagioni autoconclusive (e con tenui legami reciproci) il lm omonimo dei Coen; “Dal tramonto all’alba”, invece, o re al suo sfruttamento parassitario dell’uno sull’altra, ma una relazione biunivoca, che si con gura quasi come un face o continuo tra un cinema che diventa sempre più seriale (nel bene e nel male) e una serialità televisiva che deve sempre più recuperare memorie e brand cinematogra ci. Non sarà dunque un caso, che in questo status quo fortemente liquido e in evoluzione, il nuovo “Twin Peaks” di Lynch/Frost scompagini le carte e rimetta tutto in discussione. Contemporaneamente sequel e reboot/upgrade della serie tv di più di 25 anni fa, che, allora, nasceva dal cinema (la rma

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A sinistra, dall’alto, l’agente Cooper di “Twin Peaks” interpretato dall’attore Kyle MacLachlan e il regista David Lynch che è anche attore. Foto Showtime. A destra, dall’alto, due scene tratte da “Fast & Furious 8”. Foto Universal Pictures

 

stesso dominus Robert Rodriguez la possibilità di espandere mitologie e cosmologie del lm originale, raccontandone il prima e il dopo; “Westworld” (un romanzo, prima ancora che un lm) trasforma il concept nerd di partenza (un parco di divertimento per adulti popolato di androidi) in ri essione complessa sui con ni dell’identità. E gli esempi potrebbero continuare a lungo. A confermare, così, che tra cinema e serie tv non c’è un rapporto a senso unico, di di Lynch, ma anche il pilot girato in 35 mm, come vero e proprio lm, riplasmando l’estetica televisiva dell’epoca) e al cinema poi tornava (il prequel “Fuoco cammina con me”), conferma l’inutilità e l’improponibilità oggi di con ni e barriere tra grande schermo e tv. Concepito come un lm in 18 parti, ma destinato esclusivamente al piccolo schermo, è tv che diventa cinema e cinema che si fa tv. E videoarte, e animazione, e mille altre cose ancora.

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