Divenuta Global Beauty Director di Estée Lauder tre anni fa, Violette Serrat, per tutti Violette, makeup artist di talento, già protégée di Carine Roitfeld, YouTuber e beauty influencer, si è trasferita da Parigi a New York. Con regole di ingaggio molto chiare: «Lavoro solo con il team sviluppo prodotti, non c’è mai stata una discussione con il marketing per sapere se i miei prodotti avrebbero venduto o meno. Avevo dichiarato fin dall’inizio al management di Lauder che non volevo essere costretta a un branding troppo rigido. Ho detto loro: io devo essere il vostro wild child, perchè credo che l’interazione con il pubblico debba essere genuina, perché possa funzionare sul serio si deve sentire il battito del cuore. Ne ero tanto più convinta perché quando avevo iniziato a sperimentare su YouTube, tutti (in particolare le donne) mi dicevano di insistere meno sulla felicità, di rallentare, di mostrarmi meno femminile. Io invece ho deciso di rimanere ancorata alla sensorialità femminile, al piacere del makeup, dei profumi, dei fiori, della lingerie di seta... e di mantenere un tono comunicativo sempre gioioso.
Quando hai accettato l’incarico ti sei tuffata nella vita e negli archivi di Estée Lauder...
Estée era convinta che la bellezza fosse prima di tutto una scelta consapevole e un modo di porsi, sosteneva: «Beauty is an attitude!» Quando ho letto questa frase mi sono detta: ecco è esattamente questo, il trucco non deve servire a renderti presentabile, a farti sentire “adeguata”, ma a valorizzarti, dovrebbe costituire una celebrazione di se stesse. Più imparo a conoscere il lavoro di Estée, più la sua modernità continua a shockarmi. La sua filosofia non era vendere prodotti ma vendere un look, alla sua cliente diceva: ti do quello di cui hai bisogno, invece che quello di cui io credo tu abbia bisogno. E adoro i suoi packaging originali, così speciali, davvero bellissimi.
Trasferirti a New York ha cambiato il tuo approccio al beauty?
Quando sono arrivata in America corrispondevo al perfetto cliché della donna francese, ero molto convinta e fissata su questo tipo di estetica, le donne americane invece sono molto aperte, molto curiose, qui non c’è quello snobismo tipicamente francese. Mi sono aperta, sono meno “irrigidita” nella mie idee di partenza, anche se i trends continuano a non piacermi.
Come definiresti lo stile dei tuoi tutorial? Nella comunicazione del beauty ritieni più importante Instagram o YouTube?
Lo stile dei miei tutorials è effortless, non troppo serio. Non si tratta mai di come correggere i tuoi difetti, ma di celebrare un mood, uno stato d’animo, un momento particolare, la tua unicità. Al momento preferisco Instagram a YouTube che richiede un processo di editing che porta via molto tempo. So che tutti sono ossessionati da TikTok, ma non ho intenzione di mettermi a ballare al telefono per corrispondere a quello che funziona sulla app in questo momento. Devo trovare un modo di approccio giusto per me e ci sto ancora pensando. Tramite i social mi confronto con le esigenze e i desideri delle donne vere, e ormai penso a loro anche quando lavoro per gli editoriali: spero in questo modo di aver aiutato un po’ Lauder a entrare in intimità con il consumatore…
Il tuo Instagram è molto elegante ma atipico rispetto a quello di altri makeup artists star, con una serie di ossessioni ricorrenti, immagini di fiori di Irving Penn, quadri di Rothko, infinite sfumature di rosa e beige, tanto glitter, Jean Shrimpton, Jane Birkin, Kate Moss…
Naturalmente mi è stato detto da molti addetti ai lavori di riempire il mio account di selfie e tutorial, di metterci meno arte, ma io non sono a caccia di like.
È un momento di grande protagonismo femminile nel mondo della moda, come in quello del makeup: c’è una generazione di nuove imprenditrici, ci sono delle superstar donne dell’immagine, ma con l’eccezione di Lucia Pica da Chanel, di Lisa Eldridge da Lancôme e di Linda Cantello da Giorgio Armani, i grandi brand, Dior, Givenchy, Guerlain, YSL continuano a puntare su makeup artists uomini. Tu stessa, da Lauder, sei succeduta a Tom Pecheux. C’è una differenza nel tuo approccio alla creazione del makeup in quanto donna?
Vorrei vivere in un mondo dove essere donna o uomo non fa differenza. Se fossi di un’altra generazione potrei dire che siccome mi trucco praticamente ogni giorno posso comprendere meglio le necessità delle donne, ma la realtà è che il makeup è finalmente accessibile a tutti. C’è ancora della strada da fare ma ci siamo quasi. Ma sono ovviamente felice che ci siano più donne in posizioni di rilievo nelle grandi compagnie: quando ho iniziato 15 anni fa non era affatto così.
Hai firmato recentemente una capsule in collaborazione tra Lauder e Kith Women...
Le collaborazioni ti permettono di raggiungere un pubblico prima irraggiungibile, ma sono interessanti e credibili solo quando nascono da un autentico amore per gli altri brands. Quello che mi piace di Lauder è la chiarezza: non è un brand che cerca di essere qualsiasi cosa, non è un brand che rincorre ogni trend di cui si perderà traccia in pochissimo tempo. Soprattutto, ho sempre la certezza che i prodotti che lanciano sono stati testati con la massima cura.
Da makeup artist hai realizzato, in particolare per lʼedizione francese di “Vogue” e con Ben Hassett, delle immagini oustanding. Qual è la tua preferita?
Non mi piacciono le cose impeccabili, troppo perfette, mi piace che ci sia sempre qualcosa di dissonante. Ben e io siamo come partner in crime, la prima volta che ho lavorato con lui ero una ragazzina, ma a lui non importava chi fossi, di chi fossi stata l’assistente, con chi avessi lavorato. Grazie a Dio, perché avrei avuto ben poco da mostrargli, fortunatamente gli era piaciuta una storia che avevo fatto.
Quali sono state le figure/influenze chiave della tua formazione?
Rothko, Kandinsky, Monet: sono una fan del Neoclassicismo e del Rinascimento italiano.