Thom Browne il gioco delle coppie
Che esperienza la prima intervista telefonica con Thom Browne. Il suo personal assistant aveva organizzato tutto alla perfezione, io mi ero preparata con un filo di agitazione all’incontro a distanza con l’allora fresco vincitore del CFDA Menswear Designer of the Year 2006 (premio ottenuto di nuovo nel 2013 e 2016) e personaggio dirompente del menswear del momento. Ero pronta a intavolare filosofiche disquisizioni sul significato recondito dei suoi completi dalla giacca impeccabile, camicia immacolata, cravatta giudiziosa e spiazzanti calzoni tagliati ben sopra le caviglie o addirittura al ginocchio come il più scanzonato dei bermuda, solo che lui elargiva parole col contagocce. Niente a che vedere con le bizze di attori e rockstars troppo nevrotici per articolare un pensiero di senso compiuto, semplicemente Browne racchiudeva il suo pensiero in frasi-bonsai. Quando nel gennaio del 2009 finalmente lo incrociai di persona a Firenze come guest designer della 75esima edizione di Pitti Immagine Uomo mi aspettavo un incontro lampo, di pura sostanza e zero fronzoli. Mi ritrovai davanti un uomo cordiale, sorridente nello spiegare il perché avesse riempito uno degli ampi saloni dell’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche di impiegati retrò, intenti a picchiettare su vecchie macchine da scrivere nei loro stilosissimi outfit grigi. Questo è Thom Browne, preciso fino a sfiorare l’ossessione per la qualità dei materiali e la lavorazione dei capi. Essenziale nell’aver codificato unʼuniforme da terzo millennio, con lo scopo dichiarato di evidenziare e non appiattire la personalità di chi la indossa, azzerando ogni distrazione vestimentaria. Immaginifico per come costruisce l’impianto surreale e ipnotico delle sue sfilate, dove uomini e donne (il womenswear l’ha lanciato nel 2014) vedono le proprie forme esasperarsi in un archetipo, un’idea che cammina, perché la collezione vera e propria, quella che il pubblico compra e indossa con passione, la mostra soltanto in showroom. E dotato di un adorabile sense of humor. L’ultimo défilé fisico, a Parigi nella primavera scorsa, era stato il primo in versione co-ed, con i modelli e le modelle appaiati in passerella e vestiti allo stesso modo. Una fashion arca di Noé in cui accogliere le diverse specie di stile, accompagnate da una serie di bizzarri animali: le borse costruite a regola d’arte, con le forme di giraffe, galline, coniglietti, ippopotami, elefantini, paperelle, ranocchi e soprattutto lui, Hector l’adorato bassotto tedesco di Thom e del suo compagno, il curatore del Costume Institute del Met-Metropolitan Museum of Art di New York, Andrew Bolton. Quello che era nato qualche anno prima come un gioco, ossia dedicare un accessorio al proprio pet del cuore, si è trasformato in un successo di vendita. L’ennesima dimostrazione di quanto Browne riesca a sintetizzare nel proprio lavoro leggerezza e rigore, due caratteristiche più che mai necessarie per affrontare un mondo tanto scombussolato.
Che effetti ha avuto sulla tua creatività la pandemia ancora in corso?
In verità nessuno in particolare, ho però dovuto ripensare tutto il nostro metodo di lavoro. E nel farlo ho apprezzato, come credo sia accaduto a molti, ciò che di buono avevamo in passato. Sono convinto che cercheremo di tornare al più presto alle nostre vecchie abitudini, io per esempio non vedo l’ora di poter rivedere liberamente le persone, senza più dovermi limitare a incontri virtuali.
In queste ultime settimane nelle boutique sono arrivati i capi della F/W 20-21, ossia l’ultima collezione pre-Covid, che messaggio vorresti arrivasse al pubblico tramite loro?
Mi piace portare la gente a riflettere quando si confronta con il mio lavoro, ma non voglio cadere nella seriosità, per questo aggiungo sempre un tocco ironico. Voglio provocare, interessare, anche affascinare. Mi piace ripetere un’idea fino al punto di renderla quasi fastidiosa. La ripetizione crea rigidità, che a sua volta genera una sensazione di incomodo ed è lì che la faccenda si fa interessante.
L’effigie di Hector e degli altri animali è dunque lo stratagemma per non prendersi troppo sul serio?
Ho iniziato a far produrre le prime borse per puro divertimento, ma poi i clienti si sono accorti di quanta cura ci fosse nella loro realizzazione e di come siano anche facilmente interpretabili. Magari all’inizio può intimorire l’idea di presentarsi ad esempio in ufficio con un porcellino al braccio, invece basta portare l’accessorio senza farsi troppi problemi. Gli animali di per sé simboleggiano innocenza e purezza, in questo caso credo rappresentino bene l’autenticità dell’intuizione che sta dietro al prodotto.
In quest’epoca così incerta, che cosa sogna Thom Browne?
Di poter continuare a fare ciò che sto facendo ora. Se mi fermo a guardare la strada percorsa, mi rendo conto di non essere cambiato molto rispetto agli esordi. E sono fiero dei traguardi raggiunti, pur mantenendo sempre i piedi ben piantati per terra. L’unica differenza è che oggi sono un po’ più vecchio e stanco.