Alcova alla Milano Design Week 2023: l'intervista a Joseph Grima e Valentina Ciuffi
L'anno scorso Alcova ha fatto scoprire al pubblico del Salone (e ai milanesi) il Centro Ospedaliero Militare. Quest'anno è il turno dell'Ex-Macello di Porta Vittoria. I fondatori di Alcova ci raccontano la loro avventura nel mondo del design e cosa ci dobbiamo aspettare alla Milano Design Week 2023.
Text by FABIA DI DRUSCO
L'hanno scorso Alcova ha fatto scoprire al pubblico del Salone (e ai milanesi) il Centro Ospedaliero Militare, prima ancora una fabbrica di cashmere e un ex panettonificio. Quest'anno è il turno dell'Ex-Macello di Porta Vittoria, un immenso complesso costruito tra il 1912 e il 1914 e definitivamente dismesso nel 2005. L'utilizzo di spazi inediti e altamente suggestivi è solo una delle ragioni del successo della manifestazione arrivata alla quinta edizione. Ne parliamo coi fondatori, Joseph Grima, direttore creativo della Design Academy di Eindhoven (e già direttore del New Museum di New York e del Museo del Design Italiano) e Valentina Ciuffi, curatrice e direttrice creativa di Studio Vedêt. «Il progetto è nato dalla constatazione che i nostri amici, persone che stimavamo, designer con una spiccata vocazione sperimentale facevano fatica a trovare uno spazio espositivo a Milano. Il nome deriva dalla prima location in un'ex fabbrica di panettoni in quella che è oggi l'area di Nolo: si trattava della Cova, azienda familiare successivamente divisa in due rami, di cui uno diventato di proprietà di LVMH. Quindi non potevamo usare il nome tout court, e abbiamo deciso di trasformarlo in Alcova, perché ci sembrava interessante l'accostamento semantico fra uno spazio di 3000 mq, privo in molti punti del tetto, un nome invece evocativo dell'intimità», racconta Ciuffi. Lo scouting di nuovi spazi, il rivelare la città a sé stessa, il senso di meraviglia suscitato negli spettatori sono la cornice attorno all'esposizione vera e propria, prodotta da una rete di professionisti ampliatasi nel tempo, ma già ben delineata fin dagli inizi grazie alle connessioni in ambito istituzionale di Joseph e a quelle più legate alle gallerie di collectibles di Valentina. Il loro modus operandi? «Annunciamo la location e ci arrivano le richieste, su cui esercitiamo una curatela nel doppio senso di selezione e combinazione tra brand e spazi, pur restando ovviamente Alcova una realtà commerciale», spiega Ciuffi. Tra le realtà più interessanti della nuova edizione, che metterà in scena una settantina di progetti, Valentina cita l'Atelier LUMA, la piattaforma di ricerca legata alla Fondazione Luma di Arles, che coinvolgerà i visitatori in un viaggio sullo sviluppo dei materiali, e le installazioni site specific di POLCHA e Objects of Common Interest. Novità di quest'anno, Alcova Project Space, «dove selezioniamo giovani designer che indagano su temi che consideriamo direzioni di ricerca del design contemporaneo, nello specifico la natura aumentata, il neorealismo digitale e il primitivismo post apocalittico, un filone di indagine quest'ultimo incentrato sul ritorno a forme primitive che rappresentano l'instabilità del momento e anche un'alternativa alla perfezione della produzione industriale», racconta Grima. «E per la prima volta avremo anche un concept store, attivato insieme al duo milanese di fashion designer Older, specializzati in uniformi e anti-fashion, che hanno ideato una linea specifica per Alcova». Convinti del potere attrattivo di Milano come capitale del design, Ciuffi e Grima si considerano tra i propulsori dell'ondata di energia che ha investito la città negli ultimi anni, dando vita alla nascita di altre realtà simili alla loro, in un circolo virtuoso tra Fiera e Fuori Salone che non potrebbero esistere l'una senza l'altro. Se alla Milano Design Week si vedono tantissimi progetti straordinari, la città come integra queste novità nel suo tessuto? A livello di locali ad esempio? «Milano è in una fase di trasformazione incredibile, il livello di Hotels e ristoranti si sta alzando e avvicinando a quello di altre capitali europee e internazionali, ma in Italia non esistono ancora città come Parigi o Madrid che si siano scrollate di dosso completamente il classico».