Lele Acquarone: gli archivi dell’illustrazione made in Italy
Ha un debole per Comme des Garçons. «A me piace la struttura. So che è completamente fuori moda, ma non sopporto lo styling esagerato». Le sue illustrazioni di moda sono forse le più iconiche degli ultimi trent’anni. Lele Acquarone è giornalista e artista. Nata a Torino, ma cresciuta a Milano («Non sono un’espansiva milanese. I torinesi mi accusano anche per l’accento che mi sono procurata in questi anni»), ha sempre interpretato la creatività secondo la sua visione, chiara e decisa, mai deviata dalla realtà. La sua rubrica Scrapbook su Vogue Italia, diretto all’epoca da Franca Sozzani, ha fatto sognare le amanti della moda di tutto il mondo.
Come è nata la sua passione per la moda?
LA: «Forse questa attitudine l’ho presa da mia mamma, che vestiva in modo chic: in quegli anni si andava in sartoria per farsi confezionare gli abiti».
Quando ha iniziato a lavorare nell’universo moda?
LA: «Quando sono stata a Parigi per imparare il francese, vivevo insieme a una mia amica che avevo conosciuto in Inghilterra. Un giorno, su Vogue UK, è uscito un bando per ragazze sotto i 30 anni, per un’assunzione di sei mesi nella loro redazione. Ho partecipato con un’amica e sono stata scelta per la selezione finale, ma non sono stata presa. Mi hanno dato però una menzione speciale».
Quando, invece, ha iniziato a disegnare?
LA: «Da bambina. Non ho fatto corsi particolari: quando ero piccola andavo da una pittrice, il sabato, a imparare. Ero molto dilettante quando ho iniziato, facevo schizzi. I due grafici Felice Perini e Luca Stoppini mi hanno aiutata molto; ho fatto il mio tirocinio da Vogue Italia».
Ama molto illustrare a china.
LA: «Sì. E rigorosamente a mano. Prima utilizzavo il pennellino, ora utilizzo i colori con il contagocce, perché il tratto è più intenso, più vivo, più incisivo».
Lei è anche giornalista. Come vive il mix di immagini e testo?
LA: «Mi piace molto questo miscuglio. Per i miei Scrapbook, sono sempre partita dal disegno del titolo. La graphic novel mi appassiona: è una condensazione di testo e immagine, una forma espressiva molto concentrata. A cui aggiungere una sana dose di ironia e humor, che non può mai mancare».
Ha lavorato molti anni con Franca Sozzani. Cosa si ricorda di lei?
LA: «Franca mi ha sempre rispettata. Riguardo il lavoro, mi diceva: “Tu sei libera”».
Come definirebbe il suo lavoro?
LA: «Faccio degli schizzi. Il pittore Tullio Pericoli, nel suo libro-intervista “I pensieri della mano”, spiega che la mano ha una sua sapienza, un suo pensiero. Trovo tutto questo molto interessante: a volte non sei cosciente del disegno che stai facendo. È la mano che decide. Nello schizzo, c’è una freschezza, una spontaneità che viene un po’ raggelata nel disegno finito. I miei disegni, invece, non sono molto finiti».
In questo mondo tecnologico e 2.0, l’illustrazione ritorna a essere preziosa quindi?
LA: «Il disegno è un’espressione primordiale, che non potrà morire mai. Esiste dal tempo delle caverne, è qualcosa di personale. C’è anima in ogni schizzo. Anche Karl Lagerfeld amava disegnare di getto mentre spiegava».
Cosa si ricorda di lui?
LA: «Era una persona molto intelligente e colta. La prima volta che ho conosciuto Karl ero agitata. Era divertente. Una volta mi ha detto: “Le persone vestite in modo strano fanno un po’ paura: nessuno assalirebbe la Piaggi (Anna, ndr)”. Allora, lo stilista lavorava per Chloé e si vestiva in modo anonimo. “Non ho la disponibilità mentale per vestirmi strano”, continuava a ripetermi. Poi, quando è dimagrito, è cambiato. È diventato come un burattino, una maschera. Sai perché indossava i guanti? Sua mamma gli diceva: “Hai delle mani orribili, bisogna che tu le nasconda”».
Disegnerà mai con l’iPad un giorno?
LA: «Magari nel futuro, sì. Ma oggi mi interessa poco il segno dei tablet. Mi spiacerebbe abbandonare la carta, la china, il lato fisico insomma».
Suzy Menkes ha il ciuffo all’insù, Franca Sozzani aveva i capelli biondi e mossi, Anna Wintour ha il suo caschetto. E lei, che segno distintivo ha?
LA: «Preferisco l’anonimato, non amo molto definirmi».