Come Jean-Luc Godard ha ispirato i designer
È morto a 91 anni Jean-Luc Godard, il regista della Nouvelle Vague. Noi ricordiamo il maestro, raccontando quella volta in cui per Celine, Hedi Slimane ha realizzato il suo ritratto.
È morto oggi a 91 anni il maestro della Nouvelle Vague Jean-Luc Godard, con oltre 100 film realizzati durante la carriera, autore del capolavoro "Fino all'ultimo respiro", regista, critico cinematografico e artista a tutto tondo. Lo ricordano ironico e amante del bello, legato a doppio filo, un po' pure inconsapevolmente, alla moda. Nella serie di fotografie "Ritratto di artista" realizzate per Celine dal direttore creativo Hedi Slimane, compare un ritratto in bianco e nero del regista nella sua casa in Svizzera, a Rolle. Attraverso l'obiettivo il designer interpreta Godard 89enne: giacca a righe, camicia bianca e fedora. Come in un film di Godard, tutto è preciso, studiato. Nell'immagine un'aura di quasi religiostià. Egli stesso è '“immagine”, santa, venerata o derisa, (si racconta di come molti appellavano il suo lavoro ironicamente), un'immagine di un tempo che gioca a sua volta con le immagini, rompendole, montandole e rimontandole. Il film è il risultato finale di questo gioco di giustapposizione. Negli ultimi anni della sua vita, Godard ha raramente lasciato Rolle, oggi una nota del giornale Liberation annunciandone la morte diceva che " non era malato, era solamente stanco",; ma pur senza allontanarsi troppo ha sempre voluto connettersi con l'esterno, condividere, a volte in modo faceto, come durante la conferenza stampa di FaceTime, a Cannes nel 2018, per la presentazione del suo film "Le Livre d'immagine" in concorso. Poi c'è stato l'episodio ad aprile 2020, quando la pandemia di Covid-19 era in pieno corso: lui compare con un sigaro in bocca e una canottiera verde, diventando in poco tempo una superstar dei social media per una diretta sull'account Instagram di Ecal, la scuola d'arte di Losanna. Intervistato a casa, in piena reclusione, ha parlato a lungo. Il regista aveva ancora il dono di apparire dal nulla e rendere incisivo, scolpito, tutto ciò che dicesse o facesse. A volte era filante, un po' fumoso, ma come sempre si trovava, ascoltando bene, qualche perla da afferrare.
JEAN-LUC GODARD E LA MODA
Il rapporto tra Godard e la moda è certamente inconsueto e ricco di colpi di scena. Ricordiamo la campagna pubblicitaria per Closed Jeans di Marithé + François Girbaud nel 1987 (“In genere la gente va a lavorare con i pantaloni; sono speciali: lavorano con i pantaloni. Pantaloni, non jeans americani!”). Poi c'è stato il cortometraggio girato durante la settimana della moda di Parigi, "On s'est tous parades", con i suoi commenti godardiani sovrapposti (“Da secoli la moda combatte contro l'eternità”). Più recentemente nel 2019, Virginie Viard, direttrice creativa di Chanel, ha ha disegnato una collezione di chiara ispirazione all'estetica della Nouvelle Vague. Lo spirito di questa collezione, con i suoi tailleur in tweed rivisitati in tute colorate (rosa, rosse o arancioni) era proprio quello di collegarsi alla retrospettiva dedicata a Godard che era in corso nel 2020 alla Cinémathèque française di Parigi. Il cineasta, i cui film hanno ispirato le collezioni di designer come Anna Sui, Rodarte o Band of Outsiders, ha anche collaborato con la Fondazione Prada di Milano. In fondazione fu installato ,riproducendolo pedisseuqamente, lo Studio d'Orphée, il laboratorio, studio di registrazione e montaggio, in cui Godard realizzava i suoi film. Per non parlare della prima moglie e musa del regista, Hanne Karin Blarke Bayer, la modella legata a doppio filo con Coco Chanel; fu la stilista a renderla celebre con il nome d'arte Anna Karina. Nell'autunno del 2007, la designer Agnès b. aveva inoltre dedicato una collezione ad Anna Karina, rivisitando gli outfit emblematici indossati dalla modella e attrice nei film di Godard. Godard, il ritrattista della giovinezza degli anni '60, con le sue peregrinaizoni amorose e morali, ha unito la libertà delle parole a quella dei corpi, rendendo liberi i suo personaggi anche attraverso gli abiti: come dimenticare Brigitte Bardot che dava fuoco a cardigan e gonna nera nel film "Le Mépris" del 1963, tratto dall'ominimo romanzo "Il disprezzo" del 1954 di Alberto Moravia. O Chantal Goya in "Masculin/Féminin" del 1965, con le sue gonne a quadretti e il maglione shetland, diventato poi uno dei capi must-have del guardaroba invernale accessibile a tutti. E poi con il film "Breathless" un giovane Jean-Paul Belmondo inaugura lo statement (perchè di quello poi si tratterà) dell'abito formale ma decadente: giacca aperta, cravatta ampia e cappello portato da un lato. Per non parlare dei cappotti cammello del trio Anna Karina / Claude Brasseur / Sami Frey di "Bande à part" del 1964 che ha certamente ispirato le collezioni dei successivi Rick Owens, Lanvin e Acne Studios. Godard eterno e visionario: il suo cinema è multiplo e multiforme. C'è il dandy malinconico, l'agitatore rivoluzionario, il videoartista, il demiurgo, il voyerista, il provocatore, il misantropo. È il cinema della fiction o dei documentari, dei saggi, è la macchina da presa che realizza spot pubblicitari e video "impegnati". Il puzzle godardiano invita a districarsi tra puntini di sospensione e connessione, giustapposizione e citazione, carnale e spirituale, banale e sublime.