L'Officiel Art

L'Italia secondo Francesco Vezzoli: la racconta l'artista contemporaneo

L'artista contemporaneo italiano, in una costante rivendicazione della nostra eredità e identità culturale, ripercorre la commistione tra intrattenimento e politica che caratterizza il Bel Paese dagli anni '70 ad oggi. 

person human face apparel clothing

Testo Caroline Corbetta
Artworks e didascalie Francesco Vezzoli

Quand’ero piccolo e i miei genitori andavano in edicola a comprare Il Manifesto e altri giornali di sinistra, mi chiedevano “Tu cosa vuoi? Io rispondevo: “Tv Sorrisi e Canzoni”. D’altronde i miei mi portavano ai cineforum a vedere i film di Pasolini ma poi passavo ore a casa delle nonne a guardare la Carrà e Mina in TV». Politica e spettacolo sono le specialissime lenti bifocali con cui, da allora, Francesco Vezzoli, divenuto nel frattempo star dell’arte celebre a livello globale, legge il mondo e l’Italia, interpreta la Storia e la cronaca. Era proprio intitolata “Party Politics. L’intrattenimento della politica, la politica dell’intrattenimento”, la sua mostra per la Fondazione Giuliani di Roma la primavera scorsa. Una serie di foto recuperate dall’artista spulciando negli archivi della cronaca mondana e politica della Capitale anni ’80 che appaiono come perturbanti, e a tratti esilaranti, anticipazioni dell’oggi. Immagini argutamente titolate dal giornalista politico Filippo Ceccarelli, in cui si vedono ritratti insieme il presidente Pertini e Sandra Milo, Sophia Loren e Pajetta, uno dei capi storici del PCI, Moana Pozzi e Giuliano Ferrara e altre strane coppie che mettono in scena quell’irresistibile e omologante combinazione di esibizionismo e potere, già denunciata negli anni ’60 e ’70 da Pier Paolo Pasolini (il poeta-regista cui Vezzoli ha dedicato un importante corpo di opere) e diventata la cifra della contemporaneità.

SELF PORTRAIT AS A SELF PORTRAIT (AFTER RAFFAELLO SANZIO) 2013 Raffaello Carrà: due miti in un caschetto. "Il mio nome d'arte fu un'idea del regista Dante Guardamagna, appassionato d'arte, che associò il mio vero nome, Raffaella, che ricorda il pittore Raffaello Sanzio, al cognome dell'artista Carlo Carrà". Da un'intervista a Raffaella Carrà.

Di (s)cene simili il nostro artista è stato testimone in prima persona dalla fine degli anni ’90, avendo frequentato proprio quei salotti in cui si ritrovano politici e gente di spettacolo, e gente di spettacolo che farà politica, e li ha osservati «da dietro a una finestra, come Tonio Kröger», chiosa lui, animato da una bruciante curiosità nei confronti delle dinamiche di relazione tra le persone che, a suo dire, sono sempre le stesse nel corso dei secoli. «A me piace pensarmi come un Petronio, come un autore satirico. Il punto sta nel quanto ti avvicini al soggetto e quanto poi te ne allontani», dice oggi Vezzoli che continua col ricordo di una cena di una quindicina d’anni fa «in cui c’erano Gianfranco Fini, Alberto Arbasino e Susanna Agnelli e io guardavo tutto questo mondo che interagiva senza farsi troppi problemi su chi stesse da quale parte. Essendo l’artista ambizioso per natura piuttosto si chiede chi durerà di più. E io sapevo che volevo essere Arbasino, perchè la politica è passeggera ma l’arte resta». Osservare e narrare, attraverso i linguaggi apparentemente antitetici del ricamo e del video. I primissimi ricami, coi volti delle dive del cinema rigate da lacrime di lurex, erano come fotogrammi delle più complesse narrazioni filmiche che l’artista andava immaginando. Come la serie dei cortometraggi di debutto della “Embroidered Trilogy (1997-99)” tra cui “Il sogno di Venere”, firmato da Lina Wertmüller («che, oggi, finalmente riceve l’Oscar dopo essere stata, nel 1976, la prima donna regista candidata»), con Franca Valeri vestita Capucci che balla al ritmo di una canzone dei Kraftwerk. Chi scrive ricorda come se fosse ieri il debutto della videotrilogia in una galleria milanese a fine anni ’90, dove un’addetta ai lavori inglese, bollando il lavoro come “troppo italiano”, aveva involontariamente centrato il punto della poetica vezzoliana. «Provenendo da una nazione che aveva inventato quasi tutto, tanto valeva mettersi in gioco coi giganti che mi portavano sulle spalle». Tra questi, Lucio Fontana cui Vezzoli ha dedicato uno dei suoi primissimi ricami (1996).

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FINE 2004 "In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industria- lizzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana l'avevo amata: sia al di fuori dagli schemi populisti e uma- nitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque - con i miei sensi - il comportamento coatto del potere dei consumi di ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a un irreversibile degradazione". Da "Il vuoto del potere" ovvero "L'articolo delle lucciole" di Pier Paolo Pasolini per il Corriere della Sera del 1° febbraio 1975.
FINE 2004 "In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industria- lizzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana l'avevo amata: sia al di fuori dagli schemi populisti e uma- nitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque - con i miei sensi - il comportamento coatto del potere dei consumi di ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a un irreversibile degradazione". Da "Il vuoto del potere" ovvero "L'articolo delle lucciole" di Pier Paolo Pasolini per il Corriere della Sera del 1° febbraio 1975.
FINE 2004 "In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industria- lizzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana l'avevo amata: sia al di fuori dagli schemi populisti e uma- nitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque - con i miei sensi - il comportamento coatto del potere dei consumi di ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a un irreversibile degradazione". Da "Il vuoto del potere" ovvero "L'articolo delle lucciole" di Pier Paolo Pasolini per il Corriere della Sera del 1° febbraio 1975.
FINE 2004 "In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industria- lizzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana l'avevo amata: sia al di fuori dagli schemi populisti e uma- nitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque - con i miei sensi - il comportamento coatto del potere dei consumi di ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a un irreversibile degradazione". Da "Il vuoto del potere" ovvero "L'articolo delle lucciole" di Pier Paolo Pasolini per il Corriere della Sera del 1° febbraio 1975.

All’epoca, il ragazzo della borghesia illuminata bresciana, che era stato a Londra per studiare arte alla Central Saint Martins, frequentava ancora personaggi come Malcom McLaren, Vivienne Westwood, i Pet Shop Boys... «Lì ho capito che se mi fossi messo a fare il Leigh Bowery o il punk avrei fatto ridere. Ho capito che quelli bravi davvero sono impregnati del loro heritage e lo dichiarano. Ho capito che un fatto identitario è alla base di qualsiasi atto creativo significativo». Cosi l’opera di Fontana, riprodotta a piccolo punto proprio in quel periodo, rappresentava un gesto fortissimo: autarchico nella tecnica artigianal-casalinga e culturalmente rivendicatorio nel soggetto. In essa c’è la violenza del gesto, del taglio, ma anche la volontà di ricucire, attraverso il ricamo, le dicotomie che hanno caratterizzato il suo percorso esistenziale e la storia del Bel Paese. «Avendo avuto una famiglia stile Giano Bifronte, con i genitori simpatizzanti per il PdUP e le nonne un po’ pop, non avrei saputo a chi e cosa ribellarmi, perciò ho scelto il compromesso. Il compromesso è stata la cifra che ha definito la mia infanzia tanto quanto definisce la nostra Nazione e che, forse, nei tempi di polarizzazione violenta che stiamo vivendo potremmo esportare». Vezzoli, che nel 2013 si è autoritratto come Raffaello, affermando le proprie radici, rivendica la necessità di spezzare la subalternità culturale italiana al mondo anglosassone. «Capisco che non abbiamo solo perso la guerra ma anche la faccia, e questo ha fatto sì che l’Italia si sia vergognata a lungo della propria identità e che l’intellettuale italiano si sia autocensurato, allontanandosi il più possibile da dannunzianesimi e futurismi vari, mentre il piano Marshall culturale, in un’ottica di dominio del mercato, ci ha propinato anche sonore schifezze... Adesso però basta! Siamo in grado di produrre una nostra identità intellettuale e, oltretutto, abbiamo un retaggio incredibile: questo non è sovranismo ma giustizia culturale. Adesso deve arrivare il grande momento, non della rivincita, ma della parificazione, dell’inclusione in un dibattito culturale che metta sullo stesso piano Fontana e Pollock». 

SCHIZZO PER LA TELEVISIONE CHE PIANGE 2017 "Non gioco più/ me ne vado/ non gioco più/ davvero/ La vita è un letto sfatto/ io prendo quel che trovo e lascio quel che prendo/ dietro di me". Da "Non gioco più" di Mina del 1974.

Un sentimento identitario che l’ha portato ad intraprendere un lavoro di ripresa della statuaria classica, a partire da una personale al Jeu de Paume di Parigi a fine 2009 in cui ha ritratto Eva Mendes, «all’epoca massimo sex symbol di una Hollywood “alta” che poi s’é sposata Ryan Gosling, altro archetipo», come una novella Paolina Borghese del Canova. «Quando lo scultore neoclassico scolpisce la Ebe» rievoca Francesco, «la mette su una piattaforma girevole e con un’anforina dorata in mano e i critici dell’epoca dicono “No, no, non si può! Troppo kitsch!”. E invece sarebbe stata bellissima anche la Paolina che gira, come in una vetrina della Rinascente». Vezzoli ripercorre avanti e indietro i secoli, condensandoli, per tornare sempre al presente dove, tra citazione e invenzione, scardina convenzioni estetiche e convinzioni morali(stiche). Come con l’intervento alla Biennale di New Orleans del 2011 al centro della postmoderna e involontariamente surreale Piazza d’Italia, progettata da architetti americani negli anni ’80. In quella che definisce, col suo gusto per i giochi di parole, «il post-modern un po’ sbagliato dei para-Memphis». Vezzoli ha collocato una statua policroma in stile “Musa di De Chirico” con le fattezze di Sophia Loren: «Volevo giocare proprio col discorso identitario e avendo sempre pensato che De Chirico sul problema dell’identità culturale fosse completamente risolto, essendo uno che citava costantemente il passato classico, lui era perfetto. Poi, dovendo trovare una figura per incarnare la Musa, ho scelto la donna italiana del Novecento più famosa al mondo». 

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LA NUOVA DOLCE VITA (FROM THE TRIUMPH OF PAOLINA BORGHESE TO EVA MENDES) 2009 L'indiscreto fascino della borghesia: "Camillo, vorrei pregarvi di farmi un piacere... so che talvolta consentite a qualcuno di vedere la mia statua di marmo. Sarei lieta che questo non accadesse più, perché la nudità della scultura sfiora l'indecenza. È stata creata per il vostro piacere ed è giusto che rimanga nascosta agli sguardi altrui". Da una lettera di Paolina Borghese al marito, 1818.
LA NUOVA DOLCE VITA (FROM THE TRIUMPH OF PAOLINA BORGHESE TO EVA MENDES) 2009 L'indiscreto fascino della borghesia: "Camillo, vorrei pregarvi di farmi un piacere... so che talvolta consentite a qualcuno di vedere la mia statua di marmo. Sarei lieta che questo non accadesse più, perché la nudità della scultura sfiora l'indecenza. È stata creata per il vostro piacere ed è giusto che rimanga nascosta agli sguardi altrui". Da una lettera di Paolina Borghese al marito, 1818.

Una «scelta archetipale», come la definisce Vezzoli da cui sono scaturiti anche dei ricami, perché lui non ha mai smesso di ricamare. Ogni sua mostra, che è il frutto della collaborazione di diversi specialisti, è sempre affiancata dalla pratica solipsistica del ricamo. Come quella in apertura a fine novembre dove, attraverso la lente del decadentismo, dimensione estetico-intellettuale che il nostro maneggia con molta voluttà e altrettanta lucidità, rilegge parte della collezione del Musée d’Orsay di Parigi. O anche “TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Raiˮ un’altra mostra/opera d’arte totale curata nel 2017 per la Fondazione Prada di Milano. In quest’ultima, attraverso opere d’arte del periodo e materiali degli archivi storici Rai, Vezzoli ha tentato un racconto conciliatorio «del decennio più violento e scisso della storia italiana». Tra i lavori derivati da questa mostra i ricami eseguiti su riproduzioni di poster femministi dell’epoca con slogan originali che sembrano appartenere più alla logica seduttiva dello spettacolo che alla lotta politica. E che assumono significati ancora più paradossali nell’accostamento, che abbiamo voluto evidenziare in queste pagine, con le copertine ricamate dei 45 giri di musica pop tratte da “The 7" Series” (2010) come “Tripoli 1969/Lasciatemi amare chi voglio” di Patty Pravo o “Maledetta Primavera” di Loretta Goggi. Titoli cantati da icone al femminile che, accostati a rivendicazioni femministe, creano un cortocircuito semantico tipicamente vezzoliano che ci dice di quell’epoca molto di più di un saggio di sociologia. L’artista, ricostruendo una TV che, nonostante la censura politica, sapeva anche dare spazio al talento di Ronconi, Fellini o Bertolucci, ha rivendicato un ruolo fondamentale della cultura italiana ma ha anche affrontato il tema dell’impegno politico degli artisti. «Nel decennio preso in considerazione nella mostra alla Fondazione Prada, l’artista è volontariamente dissociato dal potere ma impegnato politicamente. Ricordiamocelo! Anche un artista come Schifano faceva quadri per salvare i conti del Manifesto. Gli artisti in quegli anni erano politici, nell’unico modo in cui si può esserlo. Mentre oggi alcuni artisti sono talmente ricchi che potrebbero finanziare dei partiti ma non lo fanno, anzi, si tengono a debita distanza dalla politica, a parte qualche vuoto proclama, perché non vogliono alienarsi le signore imbellettate con la Kelly di Hermès che vanno ad Art Basel Miami e Pernambuco». Inutile tentare di districare politica e pop, cronaca e paradosso, esperienza personale e storia sociale nell’opera di Vezzoli che, come individuo, prima ancora che da artista, è intimamente interessato ad osservare il mondo senza snobismi e a trovare delle chiavi di lettura attraverso collegamenti fulminanti e illuminanti. «Trovo interessante che oggi il politico, per agganciare il suo popolo, debba passare attraverso il salotto di Carmelita D’Urso che cercando il successo televisivo è diventata una pedina fondamentale dello scacchiere politico. Magari voleva presentare il Festival di Sanremo e invece è finita che un passaggio da lei vale centomila voti. Per i politici e per i teledivi, d’altronde, un voto è un voto, uno spettatore è uno spettatore – e su questi non c’è la giuria di qualità come a Sanremo».

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THE 7“ SERIES - TRIPOLI 1969/LASCIATEMI AMARE CHI VOGLIO (TRIPOLI 1969/LET ME LOVE WHOMEVER I WANT) 2010 “Tripoli, bel suol d’amor/ Ti giunga dolce questa mia canzon! / Sventoli il tricolore/ Sulle tue torri al rombo del cannon!/ Naviga, o corazzata/ Benigno è il vento e dolce la stagion/ Tripoli, terra incantata/ Sarai italiana al rombo del cannon!”. (“Tripoli bel suol d’amor”, Giovanni Corvetto, 1911).
THE 7“ SERIES - FELICITÀ TÀ TÀ (HAPPINESS-NESS-NESS) 2010 Brigate Rosa.“Com'è bello far l'amore da Trieste in giù/ L'importante è farlo sempre con chi hai voglia tu/ E se ti lascia lo sai che si fa?/ Trovi un altro più bello/ Che problemi non ha!”. (“Tanti Auguri”, Raffaella Carrà, 1978).
THE 7“ SERIES - SEI UNA BOMBA (YOU ARE A BOMB) 2010 Piove: governo ladro. “Se sei giù perchè ti ha lasciato/ Se per lei sei un uomo sbagliato/ Se non sei mai stato un artista... / O non sai cos'è una conquista”. (“Comprami”, Viola Valentino, 1979).
THE 7“ SERIES - MALEDETTA PRIMAVERA (DAMN SPRING) 2010 Il Ribaltone. “Voglia di dare un calcio a tutto/ Di rimanere a letto/ Voglia di sogni e di sciocchezze, voglia/ Di fumo e di carezze/ Voglia di giorni senza date, voglia/ Di incontri e di sbandate/ Voglia senza nome né perché/ Voglia di una vita, vita che non c'è!”. (“Voglia”, Loretta e Daniela Goggi, 1978).
THE 7“ SERIES - MARGHERITA NON LO SA (MARGHERITA DOESN'T KNOW) 2010 “In un vortice di polvere/ Gli altri vedevan siccità/ A me ricordava/ La gonna di Jenny/ In un ballo di tanti anni fa/ Sentivo la mia terra/ Vibrare di suoni, era il mio cuore/ E allora perché coltivarla ancora/ Come pensarla migliore”. (“Il suonatore Jones”, Fabrizio De Andrè, 1971).

Sul passaggio dall’immaginario televisivo estremamente sofisticato di quarant’anni fa a quello nazional-popolare di oggi, appiattito sulla ricerca del consenso, Vezzoli fa un commento visivo. Si tratta del ricamo, realizzato apposta per concludere l’iperbolico viaggio in soggettiva attraverso la storia d’Italia di queste pagine, sull’immagine di una giovane Barbara (Carmelita) D’Urso in topless tratta da un numero di Playboy del 1981. A parole l’artista ha molto altro da aggiungere «Gore Vidal in Caligola diceva: “Every moment in history is dark”. Io, invece, direi: “Every moment in history is a different moment”. Ogni momento rispecchia un passaggio. Così dopo gli anni ’70 sono arrivati gli anni ’80 dove è avvenuto il ribaltamento chiave con lo spettacolo, che ha assunto più potere della politica e l’affermarsi di personaggi come Berlusconi, Grillo e Schwarzenegger nel mondo dello spettacolo che sarebbero poi passati alla politica. Credo che sia stato un cambiamento da analizzare più in termini psicoanalitici che politici. Dopo la Guerra più o meno fredda, Il Vietnam e il terrorismo la gente ha detto: “Basta sangue”. C’è una bellissima scena in "Buongiorno, notte” di Bellocchio in cui i terroristi che stanno facendo la guardia a Moro guardano in TV il varietà “Ma che sera!” con la sigla con la Carrà che canta “Come è bello far l’amore da Trieste in giù”. Ecco, dopo un TG deprimente, con la gente a casa piena di paura e di odio, arrivava lei, così erotica. Lì qualcosa è svoltato. Nel bene o nel male siamo tutti ambiziosi, gli artisti più degli altri, e anche se non lo confesseremo mai, vogliamo tutti essere riconosciuti e ricordati. E visto che se fermi la gente per strada e chiedi chi era il ministro degli Interni nel 1978, nessuno lo sa, mentre se dici “Come è bello far l’amore...” tutti rispondono “Carrà!”, ecco, io direi che da un certo momento storico in poi tutti, gli italiani hanno preferito essere Raffaella Carrà piuttosto che Mariano Rumor»

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BEPPE GRILLO, ZUCCHERO, GIANLUCA VIALLI, ENZO BIAGI, VIT- TORIO GASSMAN, GIULIO ANDREOTTI, CORRADO. LE SETTE VITE DEL TELEGATTO 2019
THE HOLY TRINITY (HOMAGE TO FRANCESCO SCAVULLO'S MEN) 2003 "Quel senso di aridità desolata e di stupore, che resta nell'uomo dopo uno spargimento inutile di pianto... Il pianto è un fenomeno passeggero, ogni crisi deve risolversi, ogni eccesso è breve; e l'uomo si ritrova esausto, quasi direi disseccato, più che mai convinto della propria impotenza, corpo- ralmente stupido e triste d'innanzi alla realtà impassibile... ". Da "L'Innocente" di Gabriele D'annunzio del 1892.
DISCO POMIPIDOU (ADRIANA ASTI) 2018 Il fantasma della libertà/ Memorie di Adriana: "La noia, potrei morirne. Ma non la noia in sé, bensì le persone noiose. O certe cene. Questo è perché io sto benissimo da sola, anche adesso". Da un testo di Adriana Asti.
PARTY POLITICS - FURBIZIA E FASCINO DEGLI SGUARDI OBLIQUI (GIANNI DE MICHELIS E ISABELLA ROSSELLINI) 2019 Le opere di queste due pagine sono state realizzate per la mostra "Party Politics. L’intrattenimento della politica, la politica dell’intrattenimento", alla Fondazione Giuliani di Roma. I titoli sono stati commissionati da Fran- cesco Vezzoli allo scrittore e giornalista Filippo Ceccarelli.

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