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Express Yourself: l'intervista a Tahar Rahim, l'attore di The Mauritanian

Il pluripremiato Tahar Rahim racconta i suoi nuovi progetti da "Mauritanian" a "The Serpent". Scopri l'intervista all'attore francese

Bomber, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE; pull a righe, DIOR; pantaloni, AZZARO; scarpe, REPETTO.
Bomber, CELINE HOMME BY HEDI SLIMANE; pull a righe, DIOR; pantaloni, AZZARO; scarpe, REPETTO.

Fotografia Raul Ruz

Styling di Simonez Wolf

In questo inizio di 2021 così incerto e unico, Tahar Rahim sta raccogliendo i frutti del suo lavoro sul grande e piccolo schermo. L’attore francese è tra i protagonisti di “The Mauritanian”, basato su “Guantánamo Diary”, memoir best-seller del 2015 scritto da Mohamedou Ould Slahi, che racconta la sua esperienza di vita dopo essere stato imprigionato e maltrattato per 14 anni, nonostante la sua innocenza, nella prigione di Guantanamo Bay. Con un cast stellare che include Jodie Foster, Shailene Woodley e Benedict Cumberbatch, il film ha regalato a Rahim una nomination ai Golden Globe grazie alla sua interpretazione particolarmente intensa. Sul piccolo schermo, invece, l’attore interpreta il serial killer Charles Sobhraj nella serie “The Serpent”, co-prodotta da Netflix e BBC. Questi due progetti e ruoli, agli antipodi tra di loro, confermano la versatilità e la forza attoriale di Rahim, messa in luce nel 2010 quando l’attore francese guadagnò un doppio riconoscimento ai premi César per la sua incredibile performance in “Il Profeta”. Ruoli che lo proiettarono tra talenti upcoming del nuovo cinema francese e internazionale. 

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L'OFFICIEL: Che cosa hai provato nell' interpretare il personaggio del serial killer ?

TAHAR RAHIM: È stato un gioco infernale! Di solito è più difficile per me entrare in un personaggio piuttosto che uscirne. E tutto ciò è stato ancora più difficile nel caso di “The Serpent”. Ho avuto difficoltà a capire come qualcuno potesse cadere nelle grinfie di questo criminale e, soprattutto, è stato molto complicato riuscire a capire la sua estrema mancanza di empatia. Così, invece di raccontarlo partendo dal suo interno, ho lavorato dall’esterno. Ho ascoltato i nastri, letto testimonianze, chiacchierato con chi lo aveva incontrato. L’aspetto fisico mi ha aiutato: il lavoro sulla carnagione, la parrucca, l’età, la fisicità... Infine, mi sono identificato con un serpente, in particolare con il cobra. È un animale affascinante ma all’improvviso può colpire con grande forza.

L'O: Come è nata la tua partecipazione in The Serpent?

TR: Il mio agente americano mi ha parlato della possibilità di partecipare offerta dalla BBC e da Netflix. E interpretare un personaggio criminale, molto cattivo e perfido era una novità per me. Volevo esplorare le mie capacità e mettermi alla prova; quando ho scoperto chi fosse, sono rimasto scioccato perché conoscevo la storia di Charles Sobhraj. Avevo letto il libro di Richard Neville. Sapevo anche che William Friedkin aveva preparato un film sull’argomento con Benicio Del Toro, ma che poi il progetto non era andato in porto...

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L'O: Prima di “The Mauritanian” avevi già lavorato con Kevin Macdonald in “The Eagle”. Come è stato ritrovarvi?

TR: “The Eagle” era il mio secondo film, non parlavo ancora molto bene l’inglese... Quando abbiamo finito le riprese ci siamo ripromessi che avremmo lavorato di nuovo insieme! Quando Kevin mi ha inviato il copione, inizialmente ero preoccupato di essere solo uno strumento per un tipo di film che non mi interessava più di tanto. Ma mentre leggevo la sceneggiatura mi sono commosso e ho capito di essere stato scelto appositamente per quel ruolo. E sono rimasto sbalordito di fronte al suo coraggio di fare questo film, visto che l’argomento di cui tratta rimane ancora molto controverso. Al di là della sceneggiatura, della regia e di Jodie Foster, questa è una storia che vale la pena raccontare. Soprattutto per gridare al mondo la forza e il coraggio di Mohamedou Ould Slahi.


L'O: 
Mohamedou Ould Slahi ha visto il film?

TR: Sì, e gli è piaciuto. È stato davvero un sollievo, avevo il terrore di deluderlo. Ho dovuto scavare dentro di me per poter capire quello che aveva provato, il dolore, la vergogna. Il primo giorno di riprese ho rifiutato le manette di gommapiuma per indossare quelle vere e ho mantenuto le ferite fino alla fine delle riprese. Questo dà già un’idea concreta di ciò che ha dovuto sopportare durante la sua prigionia! E poi ho seguito una dieta drastica per il ruolo. Questo stato di esaurimento e di paura continuo mi ha permesso di scavare in profondità nelle mie emozioni.

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L'O: Per interpretare al meglio Mohamedou Ould Slahi hai anche dovuto imparare la lingua hassaniyya, che ti ha premesso di arricchire ancora di più la tua cultura poliglotta, da cittadino del mondo...

TR: Durante le riprese ho parlato libanese, gallico antico, armeno. Mi diverte molto questa varietà culturale. Prima di diventare un attore volevo andare in giro per il mondo alla ricerca della mia vocazione. L’amore per tutto ciò che è straniero, l’amore per le altre culture è la più grande ricchezza di cui possiamo nutrirci. Nel palazzo dove sono cresciuto, c’erano persone provenienti da ogni parte del mondo. Eravamo un grande mix, abbiamo assaggiato piatti di etnie differenti, abbiamo ascoltato le storie di padri e nonni immigrati che ci hanno raccontato dell’Asia, dell’Africa, del Maghreb, della Francia di una volta... Tutto questo ha nutrito il mio io di oggi.


L'O:
 Come stai vivendo il momento attuale e la pandemia in corso?

TR: Non posso e non voglio lamentarmi. Molti stanno attraversando l’inferno per poter salvare anche noi. Mi godo la possibilità di avere accanto mia moglie e i miei figli, i miei amici, di avere una casa e un lavoro. Questo è ciò che conta di più, sempre. Certo, mi mancano alcune gioie quotidiane: il mio caffè, la mia palestra. Ma per tirarmi su guardo i concerti sul piccolo schermo: Michael Jackson, Stevie Wonder, gli U2, Marvin Gaye, Bob Dylan...

LOH : “The Serpent” e “The Mauritanian” trattano e raccontano in modo diretto la cattiveria e la brutalità del mondo. Al cinema, quali sono state le scene violente che ti hanno impressionato di più?

TR: Ce ne sono due, molto diverse tra loro. La prima mi ha messo profondamente a disagio perché è stata eseguita alla perfezione nel suo essere grottesca: è la scena dell’estintore nella pellicola “Irréversible” di Gaspar Noé, dove una testa viene maciullata e colpita ripetutamente... era tutto così realistico. La seconda è invece in “Django Unchained” di Quentin Tarantino e mostra il personaggio di Jamie Foxx che frusta uno dei fratelli Brittle. Dopo aver visto queste scene razziste e violente in tutto il film, lo spettatore capisce davvero la barbarie di quel periodo storico.

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LOH : E quali sono le scene d'amore che ti sono rimaste in mente?

TR: Mi piace quando c’è qualcosa lasciato all’immaginazione, al mistero. C’è la scena de “Il piccolo grande uomo” di Arthur Penn, con Dustin Hoffman e Faye Dunaway, dove i loro piedi si intrecciano: è meraviglioso e poetico. Ricordo anche la scena sulle scale di “A History of Violence” di David Cronenberg, perché non si tratta solo di una sessualità cruda, che a me non interessa, ma anche della rivelazione psicologica di un personaggio.

LOH: Ti piacerebbe passare dietro la macchina da presa o scrivere un film?

TR : Ci ho provato qualche anno fa ma non ero pronto. Sono troppo esigente e non mi sento ancora in grado di prendere decisioni con un punto di vista definito. Almeno non ancora...

CAPELLI Ludovic Bordas
GROOMING Anne Bochon
ASSISTENTE FOTOGRAFICO Enzo Farrugia
ASSISTENTE STYLIST Seraphine Bitard

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