Andreas Kronthaler: «Vivienne Westwood era un’eroina coraggiosa»
Allievo, e poi marito di Vivienne Westwood, il direttore artistico del brand british racconta il rapporto della coppia con l’arte e la legacy di Queen Viv.
Sceglie con cura le parole, si ferma volentieri a riflettere prima di rispondere, ti tratta con una gentilezza mai di maniera. Andreas Kronthaler, austriaco con una prima formazione da orafo, nel 1988 conosce Vivienne Westwood all’Università delle Arti Applicate di Vienna dove lui studia Industrial design e lei insegna. Un incontro che lo porta l’anno successivo a raggiungerla a Londra e nel 1992 a sposarla, dopo che la collezione primavera estate 1991, Cut & Slash, aveva segnato l’inizio della loro collaborazione artistica, interrotta solo dalla morte di Dame Viv nel dicembre del 2022. Oggi Kronthaler rimane il direttore artistico del brand che porta avanti nel segno iconoclasta della fondatrice. Un marchio molto amato anche dalle nuove generazioni alla vigilia di una serie di appuntamenti internazionali, tra cui "Vivienne Westwood: The Personal Collection" un'asta Christie's di 272 lotti provenienti dal guardaroba personale di Vivienne Westwood che sarà offerto in un'asta dal vivo (Parte I) il 25 giugno, con una vendita online (Parte II) in contemporanea dal 14 al 28 giugno. Un brand dove il rapporto con l’arte rispecchia fedelmente la passione che Andreas condivideva con la moglie.
L'OFFICIEL ITALIA: Come vivi l’arte a livello personale?
ANDREAS KRONTHALER: Fatico a parlarne, ci sono persone che di sicuro ne sanno molto più di me, diciamo che l’arte per me è qualcosa di essenziale e non saprei farne a meno.
LO: È una presenza quotidiana?
AK: Cerco di dedicare quanto più tempo mi è possibile all’arte. Sono appena stato a una mostra a Londra al Courtauld Institute. Si tratta di “Frank Auerbach: The Charcoal Heads” (visitabile fino al 27 maggio, ndr) e ho trovato incredibile il modo in cui ritraeva i suoi amici a carboncino.
LOI: C’è qualche artista o periodo che ami in particolare?
AK: Difficile rispondere, forse prediligo la pittura, specie quella a olio, e di tutte le epoche. Ci sono dei giorni davvero fortunati in cui guardi qualcosa e ti entra dentro, ti tocca. A volte, invece, durante una visita ci passi davanti senza badarci. Ma anche in quel caso, è sempre un bene trascorrere del tempo in un museo o in una galleria, perché sono luoghi silenziosi, in cui è più facile calmarsi, entrare in contatto con se stessi.
«La storica Janet Arnold negli ’80 pubblicò il libro, “Queen Elizabeth’s Wardrobe Unlock’d”, per noi davvero seminale».
LO: Quanto, invece, l’arte influenza l’universo Vivienne Westwood?
AK: Molte delle collezioni si sono ispirate al XVIII secolo, un periodo fondamentale sotto molti aspetti e amatissimo da Vivienne. Il corsetto altro non è che la rivisitazione di quelli settecenteschi, resa attuale dagli inserti stretch sui fianchi. Il primo lo inventò negli anni ’80. Ci sono stati spesso richiami anche al periodo elisabettiano. Grazie alla ritrattistica dell’epoca, la storica Janet Arnold sul finire degli anni ’80 fece uscire un libro, “Queen Elizabeth’s Wardrobe Unlock’d”, per noi davvero seminale.
LO: Anche nella prossima collezione invernale ci sono forti richiami all’arte?
AK: Proprio così. Mi trovavo a Milano e ho visitato la mostra dedicata a Giovan Battista Moroni, pittore rinascimentale che avevo già incrociato in passato a Londra, dato che il suo celebre “Sarto” è esposto alla National Gallery. All’epoca, avevo copiato il modello, poi realizzato in pelle, ma nel frattempo me ne ero scordato. Nel ritrovarmi davanti Moroni, il mood di stagione ha fatto click. Fino a quel momento ero stato dubbioso sul come svilupparlo, all’improvviso ho capito che dovevo ritornare al tema scaturito dalle sue opere, ma con un approccio differente. Moroni è stato importantissimo per come ha osato dipingere, lui per primo, persone normali e non solo re e regine.
LO: A proposito di osare, che senso attribuisci a questa parola così affine all’estetica di Westwood?
AK: Forse oggi non riguarda tanto l’aspetto, ma il modo in cui affronti la vita. È tutto così diverso rispetto a vent’anni fa, le persone si incontrano sui social media, non faccia a faccia, ci muoviamo proprio su altri livelli. Oggi bado molto a chi resta fedele a ciò in cui crede.
LO: Con Vivienne avevate qualche abitudine legata al mondo dell’arte?
AK: Andavamo spesso per musei e lei era lenta, si soffermava a lungo a studiare quello che aveva davanti. Io, invece, ero molto più veloce, e a fine visita, ci ritrovavamo a confrontarci su ciò che avevamo visto. Lei chiedeva sempre: “Che opera salveresti se scoppiasse un incendio?”
LO: Il vostro è stato un rapporto straordinario. Cosa pensi di averle dato, più di tutto?
AK: Vivienne diceva che apprezzava molto il mio punto di vista, il modo inusuale con cui guardavo alle cose, lo definiva addirittura originale e lo stesso posso dire io di lei. Si approcciava a un tema da una prospettiva del tutto differente, siamo stati complementari, sotto molti aspetti lei era il mio opposto. Sul lavoro tendeva ad aggiungere stratificazioni, finché non decideva il da farsi. Al contrario io vado di sottrazioni per arrivare all’essenza: se ti incontri a metà strada, la relazione è molto appagante.
LO: Qual è l’eredità più grande che vi ha lasciato?
AK: Direi il suo motto: compra meno, scegli bene, fallo durare a lungo. Lì c’è tutto il suo essere un’attivista e una stilista.
«Vivienne era un’eroina coraggiosa. Le persone percepiscono quanto non fosse spaventata nel far sentire la sua voce».
LO: Non ti senti sfiduciato nel portare avanti le battaglie di Vivienne per l’ambiente e i diritti umani in un contesto internazionale tanto complesso e cupo?
AK: Onestamente, sì, però sento di dover andare avanti, prendere coscienza della situazione e non ignorarla. Dobbiamo sentire ciò che abbiamo intorno, filtrarlo e fare il più possibile la nostra parte.
LO: Perché i giovani amano tanto Vivienne Westwood?
AK: Vivienne era un’eroina coraggiosa. Le persone percepiscono quanto lei non fosse spaventata nel far sentire la sua voce, diceva quello che pensava.
LO: Che messaggio potrebbe dare la sua figura alle nuove generazioni?
AK: Parlava sempre dell’importanza di imparare dalla storia. Poteva andare indietro di secoli o addirittura millenni e ne traeva grande ispirazione. È proprio come diceva lei: ciò che metti dentro, è ciò che poi tiri fuori.
LO: C'è qualche progetto specifico che vorrebbe raccontarci?
AK: Christie's sta vendendo una selezione di capi del guardaroba personale di Vivienne per raccogliere fondi a favore di cause benefiche, tra cui The Vivienne Foundation, Amnesty International e Médecins Sans Frontières. L'asta online è aperta fino al 28 giugno. È un progetto a cui tengo molto, perché il ricavato andrà a beneficio delle cause che Vivienne ha sostenuto nel corso della sua vita.
LO: Tornando all’arte, frequenti volentieri la Biennale di Venezia?
AK: Ho un legame fortissimo con quella manifestazione, avevo 16 anni e con un amico decidemmo di visitarla. Era il mio primo viaggio, non ho ricordi precisi se non il momento in cui, nel padiglione centrale, entrai nella sala dedicata a Brancusi. Non sapevo nulla di lui, le sue sculture mi hannno totalmente cambiato la vita. E poi Venezia è così incredibile, il posto perfetto per presentare arte. Ci sono stato di recente e ho una dritta da condividere coi lettori.
LO: Dove ci consigli di andare?
AK: Non perdetevi i sei incredibili dipinti cinquecenteschi del Carpaccio presso la Scuola Dalmata nel sestriere di Castello, tra piazza San Marco e i Giardini della Biennale.