Yayoi Kusama: il libro sulla sua vita
Da oggi 23 aprile giornata mondiale del libro esce il libro sulla vita dell'artista giapponese Yayoi Kusama. La biografia della storia di vita dell'artista giapponese famosa in tutto il mondo per le Yayoi Kusama Infinity Rooms è curata dall'autore britannico Robert Shore
Spesso definita "la regina di pois ", i retroscena della vita dell'artista Yayoi Kusama sono sempre state velate di mistero, mentre le sue iconiche Infinity Rooms, enormi sculture di zucche hanno trafitto il cuore di milioni di persone. Un look iconico: un caschetto rosso/aranciato bob caratteristico, abiti colorati, spesso replica delle sue opere, è conosciuta in tutto il mondo eppure come ha fatto a lasciare il Giappone rurale e diventare una delle figure più importanti del mondo dell'arte e della moda - ricordate la collaborazione Yayoi Kusama x Louis Vuitton nel 2012? L'autore Robert Shore nel libro "Yayoi Kusama" edito da Laurence King parte della collana "Living Artists", si tuffa profondamente nella vita di uno dei più enigmatici finora leggendari artisti contemporanei. Questa biografia Yayoi Kusama tascabile coinvolgente e altamente leggibile di Kusama decostruisce questo personaggio ultraterreno, rivelando la difficile infanzia di Kusama in Giappone, i suoi anni a New York negli anni '60 con Andy Warhol e la Factory, infine, come ha superato la profonda salute mentale lotta per diventare una superstar dell'arte le cui mostre sono le più importanti visitato di ogni singolo artista vivente.
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Se dovesse elencare le cinque migliori scoperte che ha fatto durante il suo periodo di ricerca, quali sarebbero?
Sicuramente la connessione con Warhol, il fatto che dagli anni 70’ si dedichi molto alla scrittura, soprattutto prosa ma anche poesia, la sua passione per la moda che risale alla fine degli anni 60’, che diventa una forma di espressione e di auto-affermazione. Pensate che ha persino creato una sua personale linea di moda che è stata venduta ai grandi magazzini Bloomingdale’s per un certo periodo. Vi è poi il fatto che molte delle sue performance presentino una forma di arte di protesta. E ancora la scoperta della lettera al Presidente Nixon che consiglia di lasciare da parte la guerra e di mettere l’amore al primo posto, è assolutamente coraggiosa e audace. E infine c’è il suo lavoro teatrale, le sue performance teatrali e di body painting. Assolutamente innovative per l'epoca.
Cosa succede negli anni in cui è a New York?
Il punto di inizio è stato il realizzare la fondamentale intersezione tra lei e Andy Warhol nella New York degli anni 60’, una decade fondamentale per Yayoi, che in questo periodo era anche molto propensa a parlare della sua arte che è altamente distintiva. Sono gli anni 60’ che la portano al successo. Lei è arrivata a New York quando spopolava l’espressionismo e cercò di andare oltre. L’America e i contatti l’hanno ispirata moltissimo, lei è arrivata negli Usa alla fine degli anni 50’ e fu una scelta molto contro corrente se pensiamo che il mondo non era globalizzato come al giorno d’oggi. Ha esplorato anche il minimalismo e l’arte pop anche se la sua arte non può essere definita minimalista.
Ci può parlare delle varie fasi della sua carriera e spiegarci quando la sua salute mentale ha iniziato a interferire nella sua arte così come nella sua vita? È stato un momento di svolta o è un problema che ha sempre avuto e che è peggiorato a partire da un determinato momento?
La sua salute mentale sia sempre stato un tema importante per lei e che abbia sempre esercitato un grandissimo auto-controllo. Lei però ha sempre provato a far si che le persone potessero totalmente immergersi nel suo mondo tramite la sua arte.
Parliamo del look estremamente distintivo e avanguardista per quei tempi. Ha sempre avuto un caschetto rosso?
Credo che abbia sempre cercato di proporre il suo lavoro in modo poco commerciale e la sua figura ha sempre rispecchiato questo desiderio. Il suo look ha sempre avuto uno stretto legame con la sua vita privata. Il suo obiettivo era quello di rappresentare un’opera d’arte lei stessa. Penso che ci siano molte somiglianze tra la sua arte e il suo look personale, in modo particolare durante il periodo americano degli anni 60’ dove era più minimale e meno giocoso. Il caschetto coloratissimo arriva nel periodo dell'affermazione. A New York ha i capelli lunghi e poi corti alla maschietto.
Dal ritratto che hai fatto di lei risulta essere un’artista alquanto audace ma anche una donna libera che fa sentire la sua voce, il che è molto interessante considerando soprattutto le sue origini.
Sì nella società giapponese le donne fanno fatica a esprimersi e a maggior ragione in quegli anni non era facile essere un'artista donna in un mondo popolato da uomini. Anche quando arriva a New York è pienamente consapevole di essere un outsider, ma questo non la ferma e tantomeno la spaventa. Apprezzava molto la società psichedelica e in generale la community di artisti che si era creata a New York negli anni 60’. Yayoi è sempre andata contro corrente quando necessario, senza tradire mai la sua vera natura. Si è sempre battuta ad esempio, contro la sessuofobia, retaggio della sua adolescenza in Giappone, che sfocerà poi nei Naked happenings organizzati alla fine degli anni '60, opere pro-sex e pacifiste (come testimoniano gli interventi contro la guerra in Vietnam) che la incoroneranno "regina degli hippies" senza mai essere dichiaratamente femminista.
Perché la sua ossessione sono le zucche?
Ha sempre a che fare con la sua vita personale. Durante la sua giovinezza, la città natale di Kusama, Matsumoto non è stata influenzata dalla seconda guerra mondiale e aveva abbondanti scorte di cibo, in particolare la sua famiglia, che possedeva terreni coltivati. Le forme delle zucche, che hanno sempre riempito il suo magazzino, hanno incantato la ragazza. Mentre le zucche nutrivano la popolazione in tempo di guerra, nutrono anche la musa dell'artista. Kusama esplora i concetti di ripetizione e infinito posizionando zucche mutanti nelle stanze degli specchi, creando una sensazione inquietante che abita le nostre menti. Le zucche kabocha fanno parte del vissuto di Kusama, sono divenute un alter-ego vegetale dell’artista, che ha affermato di aver trovato conforto nelle loro forme colorate, fin da quando era bambina.
Cosa ci racconti delle sue relazioni. Vive ora in isolamento da anni e si sa poco o nulla della sua vita amorosa. Sappiamo se abbia frequentato qualcuno negli anni 60’?
Si, anche se non si sa con certezza la natura della sua amicizia con Donald Judd. Se avessimo passeggiato per il centro di Manhattan nel 1962, avremmo visto gli artisti Yayoi Kusama e Donald Judd trascinarsi dietro una poltrona di grandi dimensioni lungo l'isolato. Quel pezzo di arredamento trovato sarebbe diventato la base per una delle prime e più iconiche sculture di Kusama: Accumulation No. 1. (1962), una forma massiccia rivestita di accrescimenti imbottiti a forma di fallo. Il lavoro è diventato un esempio della Pop Art e un punto culminante delle recenti retrospettive di successo di Kusama. Rappresenta anche una forza più sottile nella pratica di Kusama: la sua amicizia con il pioniere della scultura minimalista. E poi ci sono diverse storie di cui si parla e Yayoi stessa definisce amori platonici come quello con l'artista Joseph Cornell, ma io credo che non fossero così platonici in quegli anni.
YAYOI KUSAMA BIOGRAFIA
Nel 1958, a 29 anni, Kusama fugge dal Giappone e da una famiglia che la opprime– in valigia, sessanta kimono e duemila fra disegni e dipinti da vendere.
Approda a New York, che dopo gli inizi fatti di stenti la consacra – anche grazie al supporto di Andy Warhol – come una delle artiste più innovative del suo tempo e come la regina degli hippie e del pacifismo, icona delle lotte contro il sessismo e il tradizionalismo, anche se non farà mai parte del movimento femminista.
In quel periodo Yayoi Kusama arriva al cuore del suo linguaggio artistico e lo espande oltre lo spazio bidimensionale della tela, iniziando a dipingere puntini su puntini, processo creativo che essa stessa chiama “obliterazione”, fino a esplodere in tutto il suo potenziale artistico. Sino al 1973, anno del suo rientro in Giappone, la sua produzione è intensissima, l’approdo a performance provocatorie e osé in cui il corpo umano entra a far parte dell’opera d’arte e diventa esso stesso – attraverso il body painting di cui Kusama è negli anni Sessanta geniale esponente – oggetto artistico da fruire, divengono segno distintivo dell’artista.
Dopo aver invaso le gallerie e dominato la scena artistica per tre lustri, Kusama trova il coraggio di tornare in Giappone nel 1973: iniziano episodi che minano la sua stabilità (“depersonalizzazione”, le avevano detto gli psichiatri), sino al ricovero volontario nell’ospedale psichiatrico di Seiwa, dove tenta il suicidio. Per quasi vent'anni si perdono le su tracce, nessuno dall'America al Giappone parla più dell'audacia dell'artista che nel frattempo aveva trasformato le sue paure e le sue ansie in paesaggi astratti ricchi di colore. Nel 1987 il Giappone la riabilita con una retrospettiva presso il Museo d’arte del Kita-Kyushu a Fukuoka. Due anni più tardi è la volta degli Stati Uniti: il CICA di New York le dedica “Yayoi Kusama: A Retrospective”, curata da Alexandra Munroe e Bhupendra Karia. L’evento colloca Kusama al posto che le spetta nella Storia dell’arte contemporanea e il 1993 è la volta della sua seconda partecipazione alla Biennale di Venezia.
Negli anni l'artista ha sofferto spesso di allucinazioni e aveva la sensazione di essere avvolta dai pois, che improvvisamente annullavano - obliteravano direbbe lei - se stessa e la realtà. Particelle "nate da dentro" che si moltiplicavano e venivano riassorbite. La sensazione di essere intrappolata nella maglia di una rete infinita darà vita anche alle Infinity rooms, dove specchi o altre superfici riflettenti esasperano la percezione dello spettatore, in un effetto 3D pittorico coinvolgente e a tratti ossessionante.
Altrettanto importanti sono le Soft sculptures , accumulate le une sulle altre fino a saturare gli ambienti espositivi; la forma di queste sculture, ispirate ai genitali maschili, è un evidente tentativo di esorcizzare l'attrazione-repulsione nei confronti dell'educazione sessuale impartitale in Giappone, così come il senso di insofferenza, abuso e sporcizia che l'aveva traumatizzata negli anni della adolescenza.
Oggi, novantenne, Yayoi Kusama vive per volontà personale nell’ospedale psichiatrico di Seiwa e dipinge quasi quotidianamente.
YAYOI KUSAMA OPERE
Nel 1959 crea i suoi primi lavori della serie Infinity Net, delle grandi tele lunghe quasi una decina di metri. Negli anni ’60 si dedica all’elaborazione di nuove opere d’arte, per esempio Accumulatium o Sex Obsession. A partire dal 1967 Kusama realizza numerose performance provocatorie e osé dipingendo con dei pois i corpi dei partecipanti o facendoli “entrare” nelle sue opere. A New York, nell’ambiente artistico del Village di Manhattan, Kusama aveva il suo studio nello stesso stabile in cui lavoravano Larry Rivers, Claes Oldenburg, John Chamberlain, Donald Judd e Joseph Cornell. Andy Warhol aveva la sua «factory» a due passi.
Kusama fu la creatrice dei «polka dot» o pallini bidimensionali multicolori , su tele e murali, ma sui corpi nudi di uomini e donne. Questa espressione artistica influenzo' generazioni di pittori, da Lichtenstein in poi. I «polka dot» culminano infine nelle opere di Damien Hirst.
Infine tornata in Giappone, a partire dal 1977, Kusama per scelta personale ha preso alloggio nell'ospedale psichiatrico Seiwa, dove ha sempre detto di trovarsi bene e dove inizia a scrivere poesie e romanzi surreali. Nello studio a Shinjuku dipinge da allora tutti i giorni. Opere prodotte dopo il ritorno in Giappone, sono i «giardini fallici» e le protuberanze (pustole, escrescenze, gibbosità) di stoffe o altri materiali, che caratterizzano quadri e oggetti, con esplicito riferimento sessuale fallico o vaginale. Recentemente l’artista continua a rappresentare l’infinito attraverso sculture a tutto tondo e sale accessibili ai visitatori.
Nel 1993 produce per la Biennale di Venezia un’abbagliante sala degli specchi con inserite delle zucche, che diventano un suo alter ego Infinity Mirror Room. Da questo momento Kusama inventa altre opere su commissione, per lo più fiori giganti o piante colorate. Le sue opere sono esposte in vari musei importanti a livello mondiale in mostre permanenti, come per esempio il Museum of Modern Art di New York, Walker Art Center nel Minneapolis, al Tate Modern a Londra e al National Museum of Modern Art di Tokyo. Si fa conoscere dal grande pubblico per la collaborazione con Peter Gabriel nel video "Love Town" (1994), in cui tutte le sue ossessioni - pois, reticolati, cibo e sesso - finiscono nel mondo ipertrofico della canzone dell'ex Genesis.
La collab con LOUIS VUITTON arriva nel 2012 grazie a Marc Jacobs, direttore artistico Louis Vuitton, con il quale ha svolto una delle più grandi collaborazioni artistiche per la maison francese. Sono stati realizzati numerosi capi d'abbigliamento che riportano gli ossessivi pois, molto grandi e colorati. È stata realizzata anche una linea di borse Louis Vuitton, dove sono stati ripresi i modelli più iconici in cui la classica tela Monogram è stata sostituita con la ben più prestigiosa pelle Monogram Vernis Dots Infinity. Invece altre borse hanno subito un restyling più fantasioso dove i manici, la parte superiore ed il fondo sono stati realizzati in pelle verniciata Dots Infinity, mentre la parte centrale è in nylon Monogram.
Il suo lavoro è presente nelle collezioni dei più prestigiosi musei di tutto il mondo: dal Museum of Modern Art di New York alla Tate Modern di Londra, dal Centre Pompidou di Parigi al National Museum of Modern Art di Tokyo, città dove oggi l'artista vive e lavora. Numerose sculture, a forma di piante e fiori giganteschi, si trovano al Fukuoka Municipal Museum of Art e Matsumoto City Museum of Art in Giappone; Eurolille a Lille, Francia e al Beverly Hills City Council a Los Angeles. Nel 2012 un tour di mostre da Parigi a Madrid, partendo dalla Tate Modern di Londra per arrivare al Withney Museum di New York.