Arte immersiva: “Aura. The Immersive Light Experience” a Milano
“Aura. The Immersive Light Experience”, a Milano, è un evento multimediale in cui l’arte celebra l’unione tra umano e tecnologia. Ne parliamo con l’autore Anderson Tegon, fondatore e direttore artistico di Pepper’s Ghost. E lo raccontiamo in questo shooting speciale con l’attrice Jenny De Nucci come protagonista.
Phography MATTEO STROCCHIA
Il biglietto d’ingresso altro non è che la chiave di David Lynch che in “Mulholland Drive” apre la scatola blu. Qui e ora però non si tratta solo di guardare cosa c’è dentro perché per vedere bisogna entrarci fisicamente nella scatola. La prima sensazione nel buio sarà quella di una cesura, si lascia un mondo e si accede a una dimensione altra. Un sipario che si apre, l’oscurità che precede l’inizio di una proiezione, la tenda che si scosta per accedere a una mostra. Poi le luci si accendono e sono giochi multicolori, coni di luce, musica, pioggia di stelle, onde sonore, pixel pulsanti ed elementi naturali che nascono e crescono animando lo spazio attorno noi. Grazie al motion tracking chi entra nella sala nera della mostra viene riconosciuto e tracciato e diventa parte dell’opera stessa mentre un sistema di real time render lo adatta in tempo reale alla situazione.
L’OFFICIEL ITALIA: Come possiamo definire “Aura”: è una mostra, un’installazione multimediale, uno spettacolo magico?
ANDERSON TEGON: Sicuramente il concetto identificativo è quello della mostra. A me però piace chiamarla esperienza. Ed è a tutti gli effetti un’esperienza immersiva. Quando mi capita di accompagnare gli spettatori la prima parola che mi viene in mente è quella di luogo. “Aura” è innanzitutto un luogo dove le persone possono incontrarsi in un altro mondo, in un’altra realtà. La prima sensazione che tutti provano è quella del distacco dal mondo esterno. Essenzialmente chi va a vedere una mostra pensa alla relazione classica dove c’è un quadro e un visitatore posto frontalmente, a una certa distanza, che osserva l’opera. Qui l’esperienza è completamente diversa: tu spettatore sei all’interno dell’opera, sei parte attiva dell’opera stessa.
LOI: Quanto la condizione umana ai tempi del Covid ha contribuito o ha modificato il concetto della mostra?
AT: L’esperienza della pandemia ha messo in gioco le nostre certezze e ha indirizzato magari anche soltanto a livello inconscio le dinamiche creative. Il concetto di interazione ha assunto sicuramente nuovi significati. E la nostra intenzione è stata in primis quella di rimettere le persone al centro, rendendo visibile la loro parte più autentica, l’aura nel senso storico- artistico del termine, è quell’alone luminoso che circonda le figure dell’arte sacra. Una volta rivelate a se stesse tramite la luce è stato sorprendente vedere come cambiavano anche gli atteggiamenti relazionali sia tra persone dello stesso nucleo familiare sia tra estranei. L’essere parte di questo luogo, qui e ora, spinge gli spettatori a creare nuove forme di relazione e il tutto contribuisce alla creazione di “Aura”.
LOI: Si può dire che lo spettatore è in realtà uno spett-attore?
AT: Lo spettatore non è più solo il fruitore dell’opera ma ne è parte attiva. Il correre del bambino che provoca lo stesso riflesso anche nel padre, ma anche il solo sedersi sul pavimento luminoso, contribuiscono a modificare l’opera collettiva che non è per ciò mai la medesima.
LOI: L'esperienza è di tipo immersivo. Nello spazio dove i visitatori entrano, che ruolo ha il suono e perché non è sottoposto alla medesima interazione?
AT: Con la musica abbiamo voluto creare un certo tipo di atmosfera. Abbiamo anche pensato che come nel caso della luce pure il suono potesse essere modificato dai comportamenti degli spettatori. Ma la nostra intenzione principale era quella di focalizzare l’attenzione sulla luce e quindi abbiamo concluso che in questo contesto la musica rischiava di essere un elemento di disturbo.
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LOI: Per usare una similitudine, “Aura” è più simile a camminare sulla tavolozza dei colori di un pittore o a essere centrifugati nella rotazione di un caleidoscopio?
AT: Sin dal principio, l’intenzione di Pepper’s Ghost è stata quella di porre la creatività e l’inventiva umana al centro di ogni sua attività rendendo la tecnologia un mezzo artistico, esattamente comparabile al pennello di un pittore. D’altro canto ricordo bene i caleidoscopi in vendita sulle bancarelle di Venezia, la mia città, e in effetti c’è un momento topico in cui il rimescolamento dei colori prende una forma unica e una luce bianca produce il risveglio di un enorme viso che spalanca gli occhi. È però sempre l’interazione tra l’agire del pubblico e l’elaborazione tecnologica che conduce al disvelamento e alla personificazione dell’aura: l’unico momento in cui la figura creata è anche sempre la medesima, a significare che pur nella diversità degli atteggiamenti e dei gesti di chi partecipa al rito c’è comunanza e identità.
LOI: In greco antico, aura significa "soffio" e in senso spirituale si traduce con l'idea di una radiazione luminosa. L'esperienza di “Aura” è dunque anche mistica?
TA: Quello che abbiamo trovato interessante è stata proprio l’idea che l’aura sia l’unione di luce, colore e figura. Quando poi siamo andati ad approfondire il tema ci siamo accorti di quanto, in senso spirituale, l’aura ci circondi non per dividerci dall’esterno ma per mettere in evidenza la nostra comune autenticità. Così come per la cornice nei confronti del quadro, il margine non è solo elemento di separazione ma anche di connessione. A quale mondo propriamente appartiene lo spazio occupato dall’aura? Al mondo esterno o alla figura come sua emanazione? All’uno e all’altro, e a nessuno dei due. Nel mentre l’aura ci protegge dall’esterno e favorisce un’interazione più profonda tra individui.
Team Credits:
STYLING Giulio Martinelli
HAIR E MAKE UP: Marco Servina;
HAIR E MAKE UP ASSISTANT: Giovanni Romeo;
Stylist Assistants: Virginia Papalini e Chiara Buccelli.