Creative Dialogues: Glenn Martens e Francesco Vezzoli
Una conversazione su arte, moda, politica, società e futuro tra Francesco Vezzoli, uno degli artisti italiani contemporanei più conosciuti al mondo, e Glenn Martens, talento belga oggi direttore creativo della sua Y/Project e del brand Diesel fondato da Renzo Rosso.
Text by GIAMPIETRO BAUDO & SIMONE VERTUA
«Sono un tuo grande fan Glenn… Sono rimasto impressionato quando sono venuto a vedere l’ultimo tuo show per Diesel, perché oltre all’abbigliamento, penso che negli ultimi anni e con le vostre sfilate sia tu che Renzo (Rosso, fondatore di Diesel, ndr) abbiate raggiunto un nuovo livello nel rendere la moda accessibile al grande pubblico. È una forte dichiarazione politica. Provengo dal mondo dell’arte che è un po’ oppresso dalle piccole mafie, dalle gallerie e dai critici potenti. E tu e Renzo avete invece aperto le braccia a chiunque volesse vivere l’esperienza della moda. È diventata come il calcio, ma in senso positivo. Congratulazioni». Francesco Vezzoli non trattiene l’entusiasmo all’inizio di questa conversazione via Zoom tra lui, uno degli artisti italiani contemporanei più affermati a livello mondiale, e Glenn Martens, designer tra i più rilevanti della nuova generazione, oggi direttore creativo di Y/Project e di Diesel. «Grazie! È vero. Penso che la moda e l’arte siano abbastanza simili in questo senso. A volte è abbastanza difficile far passare certi concetti e ogni azione, sia uno show o una campagna pubblicitaria, è sempre più politico di quanto possa sembrare. E questo è sicuramente ciò che sto portando avanti con Diesel: avere una voce alternativa in questa grande industria della moda, oggi un po’ satura. Quando ne abbiamo discusso con Renzo volevamo proporre qualcosa di diverso, di totalmente unico».
L'OFFICIEL: Tutti e due state approcciando il vostro mondo cercando di portare un messaggio nuovo, abbracciando la vostra comunità, Francesco, per l’arte e Glenn per la moda, con un linguaggio differente, provocatorio. Come affrontate il vostro mondo di riferimento?
FRANCESCO VEZZOLI: Mamma mia, con i farmaci. Sarò molto sincero, nella maggior parte dei casi il mondo dell’arte è diventato come un gigantesco centro commerciale per ricchi. Stiamo per avvicinarci a una Biennale di Venezia, che non è più solo la Biennale di Venezia, le case di moda stanno organizzando cene e sponsorizzando mostre. Sembra il Festival di Cannes, la notte degli Oscar di Hollywood e il Super Bowl tutto insieme. È positivo perché non possiamo lamentarci quando il capitalismo prende il possesso di un campo creativo, ma allo stesso tempo, sembra di viverlo un po’ come se fosse una violenza. Ho appena finito un’intervista in cui mi hanno domandato: “Sei preoccupato per la relazione tra la Biennale e il nuovo corso politico?” e ho risposto: “Non lo sono perché a Venezia ci sono più di dieci fondazioni private che possono dare alla città un’offerta culturale variegata. E a questo punto la Biennale non sarà più un evento egemonico, è la città stessa che diventa un centro per la cultura”. Questo è positivo e immagino sia lo stesso per un designer, se vuoi visibilità, se vuoi occuparti di progetti più grandi, devi sopravvivere in un ambiente più competitivo. Non vorrei che sembrasse una lamentela, ma per fare i nostri progetti, dobbiamo sopportare un sistema che è diventato complesso.
GLENN MARTENS: È sempre lo stesso dilemma: dobbiamo vendere per poter costruire un sogno e avere la libertà di sviluppare la creatività e la propria arte. Naturalmente devi anche giocare al gioco del capitalismo e vendere magliette per celebrare la creatività nelle sfilate. La moda non è l’arte, ma per avere il privilegio di soddisfare le mie idee artistiche, devo vendere un sacco di denim e un sacco di T-shirt, cosa che non mi dispiace affatto. Penso che la differenza più grande tra me e Francesco, è che io lavoro sui prodotti più che sull’arte. E penso che non dovremmo mai dimenticare che quando si parla di moda si tratta di realtà e di prodotti. È un business.
LO: Quali sono oggi le relazioni tra moda e arte? Sono due ambienti che si stanno muovendo ed evolvendo in modo indipendente?
GM: Dal mio punto di vista la moda ha una mission precisa: far sentire le persone potenti nei vestiti che indossano, farle sentire come vogliono essere percepite. Mentre per l’arte c’è un po’ più astrazione dalla realtà. Rimango sbalordito dall’arte che mi porta via dalla mia esistenza reale, mi fa sognare e mi fa entrare in una sorta di paese delle meraviglie che esiste nel mio cervello.
FV: Penso che la moda sia in un momento migliore oggi rispetto all’arte. Perché le cose che Glenn ha appena elencato definiscono un orizzonte nuovo per il designer che è diventato una figura pubblica e politica in grado di fare dichiarazioni: nel momento in cui hai questo potere hai un grande privilegio. Sento che gli artisti oggi sono più simili ai couturier negli anni ’50, ad esempio a Cristóbal Balenciaga. Ci dobbiamo prendere cura dei collezionisti esattamente come le vecchie signore andavano da Balenciaga per farsi fare un vestito. È divertente, ma l’arte dovrebbe essere più democratica. Penso che in un certo senso ora la moda sia più democratica. Sono geloso, in senso buono, di ciò che può fare Glenn: noi siamo più intrappolati nell’essere come giullari di corte per i plutocrati. Tu sei più connesso con le nuove generazioni. Attraverso il tuo lavoro, puoi raggiungere un giovane e ampio pubblico e probabilmente gli dai potere con la tua moda. Io mi ritrovo a cenare con tante persone importanti, ma è un altro modo di fare politica, penso che il tuo approccio sia più diretto: puoi parlare a un vasto pubblico, con le campagne o con gli show. Noi artisti invece siamo ancora intrappolati con la politica delle gallerie e dei musei, poi sì, cerchiamo di far sognare la gente, ma solo se riusciamo a sognare noi stessi.
LO: Come vi siete avvicinati ai vostri mondi di riferimento?
GM: Non ho un vero e proprio background di moda. Sono cresciuto in una piccola cittadina provinciale, Bruges, dove posso dire che non si respirasse la contemporaneità. Da ragazzo dicevo che Bruges era una bella addormentata. Ma sono cresciuto in una piccola perla, circondato dalla meraviglia dell’architettura. E questo ha avuto un impatto incredibile sulla mia estetica. Da bambino ero ossessionato dalla storia, dalle favole. Da un mondo di regine e cavalieri. Da quell’universo un po’ disneyano con un touch drammatico. Ho sempre amato disegnare e mi hanno sempre affascinato i vestiti. In maniera inconscia amavo come raccontassero lo spirito del personaggio che li indossava, la sua forza. Credo che il mio primo ricordo di moda sia proprio questo: mi piaceva capire e studiare come raccontare il carattere dei miei personaggi attraverso i loro abiti.
FV: Quando ero bambino i miei genitori mi portavano a vedere mostre di Arte Povera e Arte Concettuale. I miei non erano collezionisti, semplicemente perché non erano ricchi abbastanza per esserlo, però erano interessati all’arte. E per me fin da bambino c’è stato in qualche modo un avvicinamento con una percezione dell’arte sicuramente in chiave molto contemporanea. Poi a 18 anni ho deciso di lasciare Brescia, non avevo assolutamente le idee chiare però mi piaceva molto l’idea della Central Saint Martins a Londra, mi sembrava una scuola dalla quale erano usciti tanti talenti interessanti e quindi sono entrato con una borsa di studio - era l’epoca pre-Brexit e l’Inghilterra era molto aperta a supportare gli studi - e ho vissuto lì per 4-5 anni. Tra la scuola, la vita e le persone che ho incontrato a Londra è stato naturale pensare che fare l’artista sarebbe stata un mondo in cui poter sperimentare tutti i diversi territori e ho avuto semplicemente una grandissima fortuna, e forse anche la determinazione, di fare degli incontri che mi hanno sicuramente ispirato, da Leigh Bowery a Cerith Wyn Evans. Persone di diversi mondi creativi che mi hanno fatto pensare che io non potevo più tornare indietro e che avrei dovuto assecondare i miei desideri.
LO: So che il processo creativo è diverso: tu Glenn, devi avere nuove idee ogni tre mesi lavorando su marchi differenti. Cosa vi ispira quando create?
GM: Devo creare ogni giorno perché, naturalmente, lavoro con due marchi, e poi ci sono molte campagne, categorie e asset da immaginare, le collaborazioni e via dicendo: è un lavoro non-stop e devo trovare qualcosa di creativo ogni giorno. L’ispirazione inizia sempre da quelli che sono i valori del marchio. Questo è stato un esercizio molto diverso per Y/Project poiché Diesel già esisteva: Renzo aveva creato il suo marchio 40 anni prima del mio arrivo. E io per Diesel lavoro sui valori fondanti del brand. Per Y/Project lavoriamo sui prodotti come punto di partenza, quindi non si tratta tanto di creare un sogno, ma cerchiamo di sorprenderci sempre.
FV: Io uso la mia professione per non annoiarmi nella mia vita. Mi sono trovato a fare video a Hollywood, ho lavorato con il teatro e ora sono concentrato sulla Biennale di Venezia dove sto prendendo il controllo del Museo Correr, una delle istituzioni museali più importanti di Carlo Scarpa in cui sono conservati i capolavori più importanti del XIII e XIV secolo. È certamente una grande sfida. So che alcune persone della generazione più giovane pensano che io lavori in un modo antiquato, perché voglio sempre sorprendermi, sorprendere il pubblico o fare qualcosa come una dichiarazione, ma non posso pensare in altro modo. Quindi ciò che ha detto Glenn è musica per le mie orecchie. Significa che stiamo ancora mettendo il cuore nella nostra professione. Questa paura della noia è un segno di grande onestà.
LO: Quanto è importante il tempo nel vostro percorso di creazione?
GM: Penso sia il fattore positivo, ma anche negativo della moda: è tutto molto veloce ma è facile diffondere un messaggio, comunicarlo, raggiungere una audience velocemente con Instagram, i social media o le sfilate. Ma devi farlo costantemente perché le persone si annoiano facilmente e vogliono sempre la novità. Quindi, il lato negativo è che è un dono che non finisce mai, è un dono che dura tutto l’anno. Penso che l’arte benefici di un po’ più di tempo di elaborazione per produrre il nuovo. Penso che l’arte richieda molta più riflessione, e più emotività perché è una forma elevata di creatività, mentre la moda, in fondo, è produzione.
FV: Io lavoro di notte perché ho bisogno del momento in cui nessuno chiama, nessuno invia e-mail, nessuno manda messaggi su WhatsApp… In quelle ore di silenzio posso fare il mio lavoro, posso ricamare, posso essere completamente solo e prendermi il tempo per creare qualcosa che possa trasportare le persone in un altro luogo. Penso che verosimilmente invece Glenn lavori durante il giorno e che lavori con efficienza e organizzazione. Forse gli piacerebbe essere al mio posto, io invece vorrei essere al suo posto. E questo è una bella cosa.
GM: Si dice che l’erba del vicino è sempre più verde, ed è vero. A volte sogno di avere più tempo per riflettere o semplicemente che avere più tempo sia una cosa straordinaria. Penso a quando ho lavorato sulla haute couture insieme a Jean-Paul Gaultier e penso che sia stato uno dei lavori più emozionanti che abbia mai portato avanti, perché lavori sullo stesso abito per settimane ed è così bello avere il tempo per riflettere. Non c’è un vero valore commerciale, è pura creatività, è haute couture.
LO: Se poteste scegliere, invece di diventare un designer e un artista, che cosa avreste voluto essere?
GM: Mi sarebbe piaciuto essere un architetto o giardiniere paesaggista. Credo che ci sia qualcosa di molto meditativo e riflessivo nel vedere le piante crescere ed evolversi: mettere le mani nella terra ti connette alla realtà. Credo che uno dei più grandi problemi sia che la mia vita trascorre velocemente e non ho mai il tempo di riflettere davvero su ciò che sto facendo. Sono sempre in viaggio. Sono stato tre anni da Diesel ed è passato in una frazione di secondo. Mi sembra di non avere il tempo per godermi davvero ciò che sto facendo perché sono sempre di corsa. Questa idea del giardinaggio sarebbe piuttosto piacevole, ti costringe a vivere nel presente e a goderti la vita.
FV: Beh, ti do un suggerimento, dovresti convincere Renzo a finanziare un gigantesco nuovo giardino per Milano, dovresti progettarlo tu.
GM: Sarebbe bello! Sarebbe il mio giardino personale. Immaginarlo, crearlo, piantarlo. Vedere i fiori e le piante crescere. Lavorare sudare… riconnettersi con la terra. Avere un progetto in cui celebrare la lentezza. E per te, Francesco, se non fossi un artista, qual è il tuo sogno?
FV: Non so! Forse essere un fashion designer, sarebbe divertente. Potrebbe essere bello.
GM: Siamo attratti dagli opposti. Mi piace davvero l’idea che Francesco stia sveglio tutta la notte a lavorare sulla sua arte a casa da solo, è un po’ come la mia idea sul giardinaggio. È il privilegio di poter pensare e prendersi il tempo per fare qualcosa. E lui, all’opposto, vorrebbe invece la mia frenesia.
FV: Sai, il ricamo o il giardinaggio sono cose per vecchiette. In cui la lentezza del trascorrere del tempo ha un ruolo fondamentale.
«Gli artisti oggi sono più simili ai couturier dei ’50s. Ci dobbiamo prendere cura dei collezionisti come le vecchie signore che andavano in atelier per farsi fare un vestito». Francesco Vezzoli
LO: Qual è il momento della vostra carriera di cui siete più orgogliosi?
FV: Non saprei, ho avuto così tante vite e così tanti progetti diversi. Forse il vero capolavoro è sopravvivere, e non è una battuta, ma è la realtà. Devi sopravvivere al sistema, convincere le persone a lavorare per e con te. Si tratta di avere una resistenza emotiva. Non credi, Glenn? Forse per te è lo stesso: essere in grado di sopravvivere a tutte le pressioni che ricevi e alle tensioni…
GM: Sì, penso che tu abbia ragione. La moda ha un ricambio molto alto: i direttori creativi vengono cacciati dai marchi e riassunti da altre parti e le mode vanno e vengono. Questo estenuante bisogno di rinnovarsi significa essere sempre al limite. Non bisogna pensarci troppo altrimenti potrebbe diventare spaventoso. Diesel è una potenza con oltre 450 negozi distribuiti in tutto il mondo e con migliaia di dipendenti. Quando inizio a riflettere sull’importanza o sull’impatto che può avere su tutto ciò una mia piccola decisione creativa, il cambio di un trattamento del denim o il passaggio da un denim classico a un denim organico, resto intimorito pensando all’impatto che queste scelte possano avere su molte famiglie. Ma nel frattempo, devo rinnovare, perché le persone si aspettano sempre novità e freschezza dal nostro lavoro! Sopravvivere a questa dicotomia è una grande cosa, sì.
FV: Una delle risposte che Glenn ha dato, ovvero che sente che il suo lavoro è quello di dare potere alle persone, mi ha fatto pensare a una cosa. Qualche sera fa sono andato a una conferenza del filosofo Paul B. Preciado. Secondo la sua teoria in questo momento della storia, la rivoluzione avviene sul corpo. Credo che i designer di moda ne siano i primi sostenitori. L’abbigliamento ha un peso molto più importante degli altri linguaggi rispetto a 30 o 40 anni fa. Quindi Glenn come altri stilisti stanno fornendo strumenti per una vera rivoluzione. E sì, ti capisco, hai una grande responsabilità. Quando non riesci a dormire di notte, posso insegnarti a ricamare, è molto rilassante.
GM: La noia è come il nemico contro cui dobbiamo combattere, ricerchiamo sempre l’eccitazione. Di cosa sono più orgoglioso nella mia carriera? Sempre della mia ultima collezione. Arriverà un momento in cui non lo sarò più e allora sarà arrivaro il momento di ritirarmi e di dirmi: “Ok è il momento di andare a coltivare fiori in campagna”.
«Alla moda auguro un rallentamento: l’intero processo di consumo rapido dei vestiti è troppo inquinante, è troppo gravoso per il mondo». Glenn Martens
LO: Qual è il vostro pensiero sul futuro della moda e del sistema dell’arte?
GM: Ciò che mi auspico veramente è un rallentamento. Penso che l’intero processo di consumo rapido dei vestiti sia troppo inquinante, troppo gravoso per il mondo. Spero che le persone possano tornare mentalmente a come erano, penso ai miei nonni quando compravano i vestiti, compravano correttamente e se ne prendevano cura, li riparavano quando si rompevano invece di buttarli via. L’arte inquina molto di meno, ma la moda oggi è estremamente inquinante. Capisco molto bene che sto lavorando in un’industria capitalista, ma questa moda lenta potrebbe diventare la realtà di domani. Posso dire che il 50% dei miei jeans per Diesel sono biologici, in cotone riciclato. Tutte le mie magliette, di cotone bio, hanno stampe a base d’acqua. Spero di essere parte di questo processo per creare un futuro migliore.
FV: Penso che Glenn abbia appena dato una risposta molto nobile, ma si trova in una posizione diversa. Sento che ci sono già due mondi dell’arte. Da una parte quello fortemente legato alle fiere d’arte, alle gallerie, al mercato e ai collezionisti. Dall’altra c’è un pianeta fatto di gerarchie culturali di direttori di musei, di alcuni critici che hanno una certa rilevanza. Io non so se diventerò mai il re di questo primo mercato, forse preferirei diventare il re dei musei. Non so se questi due mondi si ricollegheranno di nuovo. Non ho questo tipo di ottimismo per il mio campo e sento che il mondo commerciale è dominante in questo momento, e credo che lo sarà per i prossimi dieci o vent’anni. Per quanto mi riguarda, penso che negli ultimi cinque o dieci anni, ho avuto il privilegio di realizzare progetti culturali, perché li ho scelti così o semplicemente perchè li ho resi più culturali con il mio intervento. Ma se qualcuno vuole che diventi il re del mercato, ovviamente, non mi tirerei indietro!