Les Enfantes Terribles: a confronto Jean Paul Gaultier e Glen Martens
Glen Martens, anima di Y/Project, crea una collezione couture one shot per Jean Paul Gaultier. "Ho voluto che fosse una festa, per rendere omaggio all'heritage creativa e al savoir-faire di questa maison", ha detto il designer belga, che nel 2008 iniziò proprio nell'atelier francese la sua avventura nella moda.
«Sono felice, estremamente felice, follemente felice... Sono io, il mio mondo. E allo stesso tempo è qualcosa che va al di là della mia storia e la proietta nel futuro». Jean Paul Gaultier, enfant terrible della moda francese, che il prossimo aprile festeggerà il suo 70esimo compleanno, è emozionato, seduto nella grande sala dell’headquarter-atelier parigino di rue Saint Martin, che per tanti anni lo ha visto lavorare alla creazione del suo universo. Ora, che si è ritirato dalle scene dedicandosi a progetti collaterali tra tv, cinema, teatro e musical, è qui per celebrare Glenn Martens. Il designer belga, classe 1983 e anima del marchio Y/project è stato chiamato a disegnare la collezione haute couture S/S 2022, seguendo il percorso iniziato la scorsa stagione con Chitose Abe di Sacai. E che continuerà in futuro creando una factory creativa chiamata a rileggere i codici dello stilista francese. «Mi sembra di aver fatto un lifting», scherza Gaultier. «Ho amato questa collezione, il modo in cui ha raccontato le mie donne e il mio universo. L’approccio moderno alle tecniche e al savoir-faire dell’alta moda. Il risultato è davvero oltre quello che potessi immaginare». In pedana 36 creazioni flamboyant. Tenendo a mente gli insegnamenti di Jean Paul Gaultier: «L’haute couture per me è sogno, fin da quando ero bambino e vedevo quelle creazioni spettacolari nelle pagine dei magazine. Il mio primo lavoro, chez Pierre Cardin, è stato proprio nell’atelier dell’alta moda. E quando mi sono spostato da Patou anche lì seguivo la couture. Negli anni, anche quando creavo il ready to wear, ho sempre mantenuto lo stesso approccio, lavorando sulle tele, sui manichini, sulle modelle con prove ripetute e continue. Cercando di rispettare un’idea che mi ha sempre accompagnato: un abito, anche quando fa sognare, deve essere creato per poter essere indossato. La moda deve essere perennemente in contatto con la vita e la realtà. Deve essere una espressione della socità contemporanea. Che cosa è capace di riflettere oggi? una realtà complessa e caotica. Il mio lavoro di designer è sempre stato quello di sentire e percepire quello che succede nella realtà». E questa aderenza alla realtà sembra essere un primo fil rouge capace di annodare il pensiero creativo dei due designer. «L’alta moda per me è sempre stata qualcosa di differente da un sogno astratto», ha aggiunto Gaultier. «Un laboratorio, più che altro. Per inventare forme contemporanee. Per creare abiti capaci di dialogare con la realtà. Per immaginare creazioni pronte a vestire una clientela che esiste davvero. Per inventare l’oggi attraverso tecniche e un’artigianalità incredibile, grazie agli atelier». Quelli atelier che Glen Martens ha voluto celebrare nella collezione portata sotto i riflettori. «Ho voluto che fosse una festa, per rendere omaggio all'heritage creativo e al savoir-faire di questa maison», ha poi detto Martens che nel 2008 iniziò la sua carriera proprio nell'atelier di Gaultier. «Raramente nella vita di un designer si ha la possibilità di creare delle silhouette così elaborate e complesse. La couture è bellezza pura, è eleganza».
L’OFFICIEL: Come ti sei avvicinato al mondo della moda?
GLENN MARTENS: Non ho un vero e proprio background di moda. Sono cresciuto in una piccola cittadina provinciale, Bruges, dove posso dire che non si respirasse la contemporaneità (sorride, nda). Da ragazzo dicevo che Bruges era una bella addormentata. Ma sono cresciuto in una città, una piccola perla, circondato dalla meraviglia dell'architettura. E questo ha avuto un impatto incredibile sulla mia estetica. Da bambino ero ossessionato dalla storia, dalle favole. Da un mondo di regine e cavalieri. Da quell’universo un po’ disneyano con un touch drammatico. Ho sempre amato disegnare e mi hanno sempre affascinato i vestiti, perché In maniera inconscia amavo come raccontassero lo spirito del personaggio che li indossava, la sua forza. Credo che il mio primo ricordo di moda sia proprio questo: mi piaceva capire e studiare come raccontare il carattere dei miei personaggi attraverso i loro abiti.
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LO: Dame e cavalieri sono quindi stati i tuoi primi modelli... Ma quale è il tuo primo ricordo di moda?
GM: Mi sono avvicinato alla moda attraverso i magazine che comprava mia madre. Erano gli anni d'oro della moda, i Nineties, quelli di una certa spettacolarizzazione couture. Erano gli anni in cui designer come Jean Paul Gaultier o Thierry Mugler erano divinità. Ho in mente le immagini di quelle collezioni di alta moda che erano estremamente teatrali. E per i miei occhi da bambino erano un'esplosione. Credo che Mugler e Gaultier siano le prime fashion memories che mi hanno accompagnato negli anni.
LO: E il tuo primo lavoro, subito dopo la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, è stato proprio da Jean Paul Gaultier...
GM: Sì, sono stato davvero fortunato, ho realizzato un mio sogno. Subito dopo la laurea mi hanno proposto una posizione junior e in quegli anni Gaultier era una maison indipendente e molto stimolante a livello creativo. L'atmosfera che si respirava era strepitosa, elettrizzante. Jean-Paul era incredibile, c’era grande divertimento, estrema sperimentazione e totale libertà in tutto quello che si faceva. Gaultier celebrava la moda con la M maiuscola e io, rispetto ai miei compagni di corso che lavoravano in altre realtà, mi sentivo un privilegiato.
LO: Da Gaultier, nel 2008, hai iniziato la tua storia e hai capito che la moda sarebbe stata il tuo futuro. E lì hai iniziato a creare il tuo universo estetico. Scendendo nel dettaglio, che cosa ti guida nella creazione di una collezione, che cosa ti ispira?
GM: Da Gaultier ho capito che non sarei mai stato un buon assistente ma che volevo diventare un designer indipendente, che volevo raccontare al mondo la mia visione. Dopo Gaultier ho lavorato come freelance per diversi brand e poi è arrivato Y/ Project in cui ho incanalato la mia creatività. Mi lascio ispirare da tanti, e differenti, stimoli. In primis dalla sperimentazione sulla costruzione, dall’architettura, antica soprattutto: mi piace lavorare su come poter creare la forma di un abito in un modo diverso e innovativo. E poi la mia realtà quotidiana mi guida. Amo vivere a Parigi e respirare il melting pot culturale ed estetico che rappresenta. Passeggiando per le strade o andando in metropolitana. Sono sempre stato ossessionato dal guardare le persone, dal vedere come si vestono nel quotidiano: i miei amici mi prendono in giro e dicono che sono un voyeur un po’ perverso. In realtà amo esplorare e capire come gli abiti interagiscono con l'essere umano e con l'umanità, come un paio di scarpe o un cappotto possano dare forza al proprio io. Ed è quello che voglio fare con i miei abiti.
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LO: Alla luce di quello che stai dicendo, quale è stato il tuo approccio per ripensare la couture di Gaultier?
GM: L’alta moda è stata una sorta di celebrazione del craftsmanship della maison, di Jean Paul e della sua creatività, il vero patrimonio di questa griffe. Quando si crea una sola stagione couture per una realtà è un lavoro molto diverso dal re-immaginare un brand nella sua totalità. In questo caso ho cercato di divertirmi il più possibile, di creare degli abiti incredibili nel rispetto della storia della maison e di celebrare quello che Jean Paul ha fatto negli anni. In passerella ho voluto portare le donne di Gaultier riviste con i miei occhi.
LO: E come ti sei avvicinato, invece, al ready to wear di Jean Paul?
GM: L’approccio è stato un po’ lo stesso dell’alta moda. Per la collaborazione sul pret-à-porter ho pensato a come poter fare le cose in una maniera differente. Siamo partiti da una stampa storica di Jean Paul e abbiamo iniziato a sovrapporre stampe di corpi nudi, maschili e femminili, creando una sorta di illusione, evocando una figura fluida e surreale, raccontando il corpo in una maniera diversa.
LO: Che cosa ammiri di Gaultier e della sua storia di moda? Non soltanto in termini creativi ma anche a livello di messaggio sociale?
GM: Per prima cosa è stato un mentore incredibile: nella sua carriera ha supportato, formato e aperto le porte a una generazione di giovani designer, come sono io o come è stato Martin Margiela che ha lavorato accanto a Gaultier. A livello creativo per me Jean Paul è stato un inventore, il primo ad aver portato la cultura street nel mondo del lusso. Il primo ad aver lavorato con un’idea di street casting. Il primo ad aver ripensato capi semplici e basici trasformandoli in qualcosa di unico ed esclusivo. Ha battezzato un concept nuovo per quegli anni. Basti pensare alla marinière, che prima di lui era semplicemente una maglietta da marinaio. Lui l'ha trasformata in lusso, in un distintivo di stile, facendola evolvere in qualcosa di totalmente unexpected. Credo che tutti dovrebbero semplicemente ricordare la sua coraggiosa capacità di innovare.
LO: Il sogno di monsieur Gaultier è sempre stato quello della libertà. Quale è il tuo sogno?
GM: Sarebbe fantastico poter avere totale libertà, ma io oggi avverto anche la responsabilità per tutte le persone, e le famiglie, che mi sono accanto. Credo che ora non si possa sognare una cieca libertà, ma si debba ascoltare anche il mercato. Il mio goal è fare tutto questo con grande integrità rispetto ai miei valori e ai valori del mio marchio, con gioia e divertimento, senza trasformarli in una commercial beast.
LO: Oltre a Y/Project e questa collaborazione one shot con Gaultier tu segui anche la direzione creativa di Diesel... Come hai diviso il lavoro tra queste tre realtà?
GM: Non ci penso troppo perché se ci penso potrei impazzire... La mia idea di lavoro è molto semplice: do it, do it, do it. E soprattutto essere molto organizzato. Non so come facciano gli altri con così tante collezioni da realizzare, per me gli ultimi mesi sono stati una sorta di fashion marathon. Credo di dover dire grazie alla mia famiglia: i miei nonni erano militari. Avevano una mentalità molto open, ma mi hanno insegnato anche l'organizzazione e la disciplina. E credo che il mio background in questa stagione mi abbia aiutato tanto, soprattutto per i timing che sono stati strettissimi. Non mi ha lasciato molto per il mio privato, ma mi ritengo comunque estremamente fortunato.
LO: Se dovessi raccontare le realtà per cui stai lavorando come le descriversti?
GM: Da Y/Project parliamo a un cliente molto esclusivo, appassionato di moda, un esploratore, visto che i pezzi che creiamo non sono propriamente dei capi per la vita di ogni giorno. Richiedono una sorta di indagine e di scoperta legata alla loro natura. Il messaggio di Diesel è completamente differente: sono abiti per tutti i giorni, calati nella realtà, con un prezzo democratico per poter parlare a una community molto ampia.
LO: Quale è il più grande achievement della tua carriera?
GM: Sono un designer indipendente da così tanti anni e sono fiero di avere la possibilità di esprimere la mia creatività in così tante forme differenti e stimolanti. Restando fedele a quelli che sono i valori che mi hanno accompagnato nel mio percorso creativo.