Fashion Week

Il mindset verde di Zegna

Zegna chiude la Milano Fashion Week Uomo con una sfilata sul tetto del lanificio fondato nel 1910 e abbracciato dal polmone verde dell’Oasi Zegna, vera musa di stagione.

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Nel biellese si costruiscono lane eccezionali, solidi imperi e creature riservate. Difficile da quelle parti trovare gente che si mette in mostra o che ti apre le porte di casa come se niente fosse. Ma quando lo fa, è per il puro piacere di accoglierti, portarti nel suo mondo, offrirti tutto il meglio che ha. Da Zegna non fanno eccezione e questo è lo spirito con cui hanno invitato la fashion people alla sfilata sui tetti del lanificio da cui tutto è partito 112 anni fa. Un cuore industriale inserito in un verdissimo polmone, l’Oasi Zegna che abbraccia la sede storica del brand, voluta dal fondatore Ermenegildo la cui lungimiranza lo aveva convinto della necessità di offrire ai dipendenti e alla popolazione un contatto diretto con la natura (e dire che nel 2022 c’è chi non c’è ancora arrivato e continua a deforestare, sigh). Per le Primavera Estate 2023, la Camera della Moda ha fatto uno strappo alla regola e ha concesso al marchio il detour piemontese in chiusura della fashion week uomo, così gli ospiti hanno lasciato la torrida Milano per un tramonto rinfrescato dalla brezza di montagna, mentre sul tetto del lanificio sfilavano le ultime creazioni di Alessandro Sartori, biellesissimo anche lui. La sterzata di eleganza disinvolta impressa dal direttore creativo nelle scorse stagioni si riconferma anche per questo show, dove le giacche formali hanno lasciato il posto a delle sofisticate overshirt, dove i pantaloni hanno guadagnato ampiezza e agio senza perdere un briciolo di stile. E dove le camicie si sono volentieri trasformate in top fluidi e raffinati. «Leggerezza è una delle parole chiave della collezione», spiega Sartori, «da abbinare a una nuova concezione di colore che spazia tra bianchi e rosa polverosi, crema, miele, moka, noce per arrivare a un nero, giocato tra alternanze di lucido e opaco», in pratica un’ode alle tinte della natura dell’Oasi circostante, ritrovata anche nelle stampe ricavate da fotografie ingigantite dei suoi boschi. «Sempre di più c’è un mindset verde nella mia progettazione stilistica», aggiunge il designer, «stiamo sviluppando un pensiero globale che nasce proprio qui».

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Il Born in Oasi di cui parla non è insomma un claim d’effetto, perché per Sartori tutto nasce attorno al lanificio. Nel raggiungere il rooftop dove si svolge la sfilata gli ospiti passano non a caso nel bel mezzo della produzione, camminando su di un ponte interno piacevolmente assordati dal rumore dei telai che battono quei tessuti che poi diventeranno abiti. «Nell’archiettare la collezione, parto da un’estetica, poi progetto il materiale giusto per concretizzarla, tenendo conto anche di un importante obiettivo che ci siamo posti, ovvero arrivare almeno al 50% di tessuti totalmente tracciabili. Un po’ come nella Formula 1, lo show diventa il punto di partenza per una ricerca che poi ricade a cascata su tutta la produzione». Insomma, un approccio alla progettazione consistente, attento all’ambiente e dannatamente chic. Una finestra spalancata sul futuro del tailoring, destinato a trasformarsi in un leisurewear di lusso, capace di attrarre anche il pubblico femminile. «Non stiamo pensando di sbarcare nel ladieswear, ma lavorando sulle proporzioni, ci sono capi perfettamente indossabili anche dalle signore», conclude Sartori. E le signore sul tetto che per fortuna non scotta, ringraziano.  

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