Heineken: con Dardust al Metabar
Ai caselli Daziari di Milano, partecipando a un'esperienza unica e immersiva, per il lancio nel mondo reale di Heineken Silver (già presentata su Decentraland in forma virtuale), mi sono ritrovato tra gli avatar bartender a parlare dei confini della musica con Dardust.
Virtuale o reale? All'ingresso del Dazio all'Arco della Pace i confini sfumano già all'entrata. Perché, bypassato l'ingresso tradizionale sulla lista cartacea delle giovani hostess sotto l'occhio indagatore di due gonfi buttafuori, ad attenderci sulla soglia trovo un bouncer digitale - colorito itterico, occhiali a mascherina, giubbotto trapuntato - che esige un'ulteriore conferma. È il token che gentilmente mi ha whatsappato la pr che va prima scansionato perché si possa accedere al Metabar di Heineken Silver. Ma una volta all'interno i confini si fanno ancora più confusi, perché le pareti ispirate al design sviluppato per Heineken dall’artista J. Demsky, in un vortice di escheriane geometrie e sgargianti colori, avvolgono gli ospiti come in un videogame Arcade e gli specchi ne deformano le identità come in un vecchio lunapark, nel mentre li trasformano in creature digitali. Inutile chiedersi quanto ci sia di vero e di falso perché tutto è vero e falso al contempo, a partire dalle fragili identità vestite per l'occasione per arrivare alle tute spaziali che ci cambiano d'abito, e pure l'anima in un nano secondo si sente parte unanime di un anime. Siamo in un Metaverso o ci siamo sempre ovunque siamo tra influencer siliconati, pezzi scritti dall'AI, cantanti con l'Auto-Tune, palestrati che corrono sui tapis roulant, artisti che fondono sulla blockchain i Big Data che battono il ritmo sull'amigdala? Viaggiamo dentro bolle che ci assicurano nella nostra comfort zone e dentro le quali cerchiamo di ingabbiare il mondo ma sono labili come bolle di sapone, e basta un nulla per farle scoppiare. Tutto è vero, perché - come dice il filosofo francese Baudrillard - non è più possibile fare una chiara distinzione fra quello che nella nostra vita è simbolico o reale. Gli universi sono in continua espansione a partire dalla Moda che ora ingloba il design e l'arredamento delle nostre case. E noi chi siamo se pure nudi come mamma ci ha fatto siamo una costellazione di tatuaggi e cicatrici dell'anima, cocci perennemente riparati quando va bene con l'oro giapponese del kintsugi?
Ci ritroviamo come le star al Metabar, usiamo di nuovo il token e la bartender virtuale con scalpo alla mohicana (il suo taglio sidecut che non è più cool da un pezzo ci rammenta come nei metaversi non solo lo spazio ma anche il tempo sfuma e il passato può essere futuro e viceversa) ci prepara un menu sulla parete luminosa tra scoppi di pixel. Ma quando la ruota del passavivande gira il trucco è compiuto e il prestigio assegnato: il bicchiere con la stella rubino di Heineken è tra le mie dita e ancora non c'è niente di meglio che gustarsela liquida in compagnia di Dardust .
>> Scorri verso il basso per scoprire l'Heineken Silver Metabar
La musica tra le varie arti sembra essere quella più indicata per esplorare la dimensione del Metaverso. La musica è già per sé, se si prescinde dall'esperienza live, in gran parte virtuale, mi riferisco alla sua fruizione.
In ambito musicale, il Metaverso può cambiare la prospettiva anche laddove come in un live sicuramente l'assenza del pubblico reale priva l'evento di quello scambio di energia che lo rende ogni volta unico. La realtà aumentata però ti permette di sperimentare cose nuove ad esempio nella scenografia. Abbiamo avuto l'esperienza di Trevis Scott con il suo live su Fortnite che non solo ha coinvolto 12 milioni di utenti collegati contemporaneamente - un numero impensabile nel mondo reale - ma ha mostrato quali siano le potenzialità di uno show virtuale. La spettacolarizzazione può essere infinita.
In quell'occasione le indicazioni per partecipare al live, mi riferisco all'orario stabilito del concerto con la conseguente apertura delle porte 30 minuti prima dell'inizio e la necessità di arrivare per tempo per prendere posto, non differivano da quelle che celebrano l'Evento nel mondo reale.
La magia del live può essere compensata proprio dall'amplificazione dello spazio nel quale l'artista si esibisce. Puoi stare su un altro pianeta, viaggiare sul fondo del mare, il tuo avatar può avere dimensioni gigantesche ben oltre quello che potevano fare gli attori del teatro greco recitando sui coturni. Sicuramente ci sono dei pro e dei contro, ma in entrambi i casi, nel virtuale come nel reale, vince chi si adatta meglio, chi sa meglio cogliere le potenzialità e si adegua al cambiamento in una sorta di selezione. Forse le due dimensioni per ora correranno in parallelo ma sicuramente il virtuale può aggiungere molti nuovi colori alla musica, dall'audio spaziale al Dolby Atmos con suoni spaziali che fluiscono oltre l'effetto stereo tradizionale.
E siamo poi così sicuri che l'energia non possa correre anche lungo i cavi e nei nodi della Rete diffondendosi poi capillarmente?
Per uno come me che viene dall'acquisto del vinile, quindi da una distanza quasi mitizzata nel rapporto con l'artista, tutto questo suona rivoluzionario. Per avere il disco che usciva dovevo fare venti minuti di auto, recarmi fisicamente nel negozio, tornare a casa, metterlo sul piatto... questa mancanza, questa distanza accendeva il desiderio proprio in termini psicoanalitici e creava un'idealizzazione pazzesca dell'artista. Già con i social tutto questo è scomparso perché ora tu l'artista ce l'hai a casa non solo quando suona ma quando beve il caffè.
Lo puoi consumare nel momento esatto in cui lo desideri.
E soprattutto lui si pone a te in tutta la sua privacy che un po' va a smontare l'aura del supereroe.
Ma questo è vero poi? O in realtà non sta interpretando - sapendo di essere visto - un personaggio e quindi non è mai se stesso? O al contrario proprio perché maschera di sé stesso si rivela ancora di più?
Sicuramente ci sono dei filtri ma c'è chi li adotta e chi no. Chi lo fa in maniera gringe come alcuni artisti perché non si sanno adeguare alla comunicazione, e chi lo fa in maniera totalmente spontanea. Nel caso dell'avatar si ripropone invece in forma differente proprio l'idealizzazione dell'artista e quindi in un contesto ancora più esasperato si riacquista il concetto di distanza.
Stasera indosserai una speciale protesi con delle videocamere e un algoritmo mentre parli rimanderà sui pannelli la tua immagine digitalizzata. Hai già pensato a come rappresentarti nel Metaverso?
Ancora no ma sicuramente dovendo entrare in un teatro altro occorrerà un ulteriore studio della propria identità e sicuramente ognuno di noi dovrà dare di sé una versione idealizzata colmando così tutte le nostre carenze.
Non è che l'avatar rivelerà tutto il meglio e il peggio di noi esponenzialmente?
Certamente rivelerà gran parte delle nostre psicosi sul lato sociale, psicologico, relazionale. Ma anche la sintesi vocale rivelerà nuovi scenari, come successo su Netflix dove è lo stesso Andy Warhol, la sua voce ricostruita dall'AI, a raccontare la sua vita.
Nella tua musica si avverte molto, a proposito di scambi tra mondi diversi, la contaminazione tra generi. Ma penso anche alle tue collabo con brand come Apple e Maserati.
Nella mia ricerca musicale tento di rompere quei confini così rigidi che spesso creano quasi una discriminazione tra un settore e l'altro. Gli anni Novanta in questo senso sono stati popolati da artisti ancora più estremisti. Nessuno tra i puristi dell'indie e dell'elettronica avrebbe mai pensato di collaborare con musicisti pop. Ora questi confini si stanno allentando, siamo nell'era dell'integrazione e della contaminazione.
Trovare un’identità, un nucleo forte della propria creazione artistica, a volte, può rivelarsi limitante. Penso all'ultimo album dei RHCP "Unlimited Love" e al fatto che molta critica invece di evidenziare come un punto di forza il recupero della loro originalità l'ha bollato come ripetitivo e stantio.
È quello che è capitato a tanti musicisti, penso agli U2 dopo "Zooropa" o allo stesso David Bowie dopo "Earthling": a un certo punto hanno smesso di sperimentare e sono tornati alle loro radici e questo è stato visto come un ripiegare su se stessi. Poi un'esperienza ti può riaccendere la scintilla e torni a fare qualcosa di spiazzante e rilevante. Vedo spesso un nichilismo creativo soprattutto negli over 60, artisti con cui lavoro che di fronte a qualcosa che a me accende hanno un atteggiamento come di assuefazione, e questo è pericoloso.
E come si sfugge invece al rischio di diventare copie di sé stessi?
Per non autocitarsi e diventare macchietta di sé, l'artista non deve mai sottrarsi alla ricerca, deve esplorare, deve evolversi, deve stupire, deve andare in territori inaspettati, deve scivolare, deve mettersi in un una posizione di rischio.
Decentrati anche su Decentraland. Anche qui al Metabar i confini tra mondi sfumano. Tutto è liquido. Gli artisti Elmgreen & Dragset in mostra alla Fondazione Prada a proposito del Metaverso rispondono che ciò che manca è la carne. Il problema con il virtuale, dicono, è che non ha un cattivo odore. Anche la posizione di Heineken sembra essere questa. Siamo in un Metabar, ordiniamo con un token digitale a un bartender su un pannello luminoso ma la birra è reale.
I dubbi sono tanti come gli scenari che si possono aprire. Così come abbiamo avuto dei concerti presto potremmo percepire anche gli odori, magari scaturiranno proprio dall'Oculus VR col quale guardiamo dentro Decentraland mentre assistiamo da dove vogliamo alla presentazione di una nuova birra. Siamo solo all'inizio e saranno i dettagli a definire la scelta di campo.
A star is born: la nuova Heineken Silver è una lager dal gusto extra-rinfrescante, realizzata con gli stessi ingredienti naturali di qualità della Original. È prodotta utilizzando un processo di lagerizzazione in ghiaccio a -1°C che, insieme a una ricetta appositamente sviluppata, le conferisce un retrogusto meno amaro e più accessibile a tutti.