Aura Seekers: i progetti di Studio KO
Tra Karl Fournier e Olivier Marty, alias Studio KO, e il Marocco è stata, prima di tutto, una grande storia d’amore. Hanno iniziato la loro avventura ai piedi dell’Atlante, con discrezione ma non senza visione. Poi, un giorno, la moda ha fatto irruzione nelle loro vite. Portando il duo sul podio ed eleggendolo come una delle più brillanti coppie di architetti-designer della loro generazione. Nella loro architettura, la purezza, la tensione, la luce invitano alla contemplazione. I loro interni sanno mescolare eleganza e avanguardia. E a volte un tocco d’oro illumina l’ombra di un muro, contrappunto a una ricercata frugalità.
Perché il Marocco è così importante per voi?
È un amore iniziato durante i nostri studi di architettura, con una fascinazione per la campagna, i paesaggi, la luce, il calore di questa terra. Era il ventesimo secolo, non c’erano folle come oggi a Marrakech. Rapidamente, abbiamo fatto incontri decisivi come quello con Jean-Noël Schoeffer, proprietario ancora oggi di una delle prime casa-hotel della città. Tra lui e noi si è formata un’amicizia profonda, fraterna. Il Marocco per noi è un po’ come l’opera di Jenny Holzer “Protect me from what I want”: di tanto in tanto accadono le cose che vuoi di più. Prima un progetto per la famiglia Hermès, seguito da un altro per gli Agnelli. Una clientela privata ci ha aiutato a creare un percorso di crescita naturale, senza alcuna premeditazione. Tutto è coinciso con il boom fenomenale del Marocco, in quegli anni, come meta turistica. All’epoca eravamo in due, poi Studio KO Marrakech è cresciuto fino a cinque. E ora conta tra le 25 e le 30 persone, a seconda dell’importanza dei progetti a cui lavoriamo.
Anche Tangeri ha un posto speciale nel vostro portfolio personale...
È una città che ci commuove. Amiamo la sua aura, il suo clima, la sua vista sul mare. Un giorno stavamo pranzando a Marrakech da Marella Agnelli, nella sua casa nella Palmeraie, che avevamo appena ristrutturato, e lei ci ha presentato Pierre Bergé (partner storico di Yves Saint-Laurent, nda). Fu a Tangeri, più tardi, che il nostro rapporto di amicizia si trasformò in un’avventura professionale quando Pierre ci affidò la seconda maison che aveva acquistato un gioiello che fu in grado di salvare da una distruzione annunciata. Ci è voluto un anno e mezzo per ricostruire Villa Léon l’Africain, di fronte al mercato, nel cuore della città. Vederla completata ci ha regalato un’intensa felicità. Sogniamo di arredare un ideale appartamento a Tangeri dove un giorno vorremmo abitare.
Oltre ai progetti marocchini che vi hanno confermato come architetti di talento, avete anche restaurato una fattoria...
Sì, ci siamo innamorati di una fattoria situata alle porte del deserto di Agafay. La sua bellissima architettura si stava lentamente deteriorando e non potevamo vederla cadere in rovina senza fare nulla. Quindi, con Schoeffer, abbiamo deciso di restaurarla per renderla un luogo di incontro per gli amici. Non è la location adatta per ospitare un hotel, ma un posto dove raccontare uno stile di vita. Abbiamo pensato di farne una residenza d’artista e, un mese all’anno, in primavera, questa struttura viene dedicata all’accoglienza di un creativo. Lo facciamo in modo informale, senza regole speciali, ma sostenendo il processo di creazione con una borsa di studio. Privato di una rete cellulare, distratto da nient’altro che il silenzio, relegato in un ambiente spartano e volutamente privo di modernità, ogni artista può creare in piena libertà. Sono stati nostri ospiti il regista Mhedi El Azzam, il fotografo Jérôme Schlomoff, i designers Garnier & Linker ma anche Nelson Sepúlveda.
Come avete lavorato alla creazione del Musée Yves Saint Laurent a Marrakech?
Il museo suggella una riconciliazione tra arte e moda. È un’epifania: per molto tempo i musei hanno guardato dall’alto in basso la moda, senza misurare realmente ciò che questo universo dice del nostro tempo, della nostra società. Oggi questa barriera è stata infranta.
Che direzione avete seguito per immaginare il Musée?
All’inizio non conoscevamo il lavoro di monsieur Saint Laurent. Sono stati gli archivi della Fondation Pierre Bergé-Yves Saint Laurent a Parigi, i bozzetti, le foto, i film, che ci hanno permesso di scoprire l’incredibile ricchezza del suo talento: la sua è stata un curiosità insaziabile che ha rivoluzionato un’epoca. Il desiderio di Pierre attraverso questo museo, al di là dell’omaggio al couturier con cui aveva condiviso la vita, era quello di usare il nome di Saint Laurent e il suo potere di seduzione, per attrarre persone e immergerle in un bagno di cultura. Per il popolo marocchino, l’accesso alla cultura non è così facile; pochi musei incoraggiano il risveglio artistico se non attraverso la propria storia o il patrimonio artistico. La sua visione era quindi, parallelamente alle collezioni permanenti della Fondation, di ospitare artisti marocchini e internazionali, mostre temporanee, concerti e film. Oltre ad aprire a studenti e ricercatori una biblioteca dedicata al mondo berbero, alla botanica e alla moda. Renderlo un luogo: «aperto alla città e alla vita». Che durasse nel tempo.
Durare nel tempo... Questo è il punto di forza della Flamingo Estate, la villa di Los Angeles che Richard Christiansen vi ha chiesto di ripensare...
La dimensione narrativa della casa di Eagle Rock è stata la sua più grande risorsa. La casa è un personaggio di Hollywood. Arroccato in alto tra alveari e alberi da frutto, ha un tale potere di attrazione che Richard l’ha comprata senza nemmeno averla visitata. L’imprenditore australiano, a capo della Chandelier Creative di New York, già sognava di trasferire tutte le sue attività a LosAngeles.Ilnonno,cheavevaoccupatolacasaperquarant’anni, viveva in mezzo alle vestigia della sua vita di produttore di film porno gay, in un accumulo di migliaia di diapositive, bobine di film, oggetti di scena e set, un pasticcio indescrivibile. Quando Richard è stato finalmente in grado di acquistare la casa, ci ha chiamato per immaginare la continuazione del suo: «giardino di piacere e fantasia».
Progetto folle o progetto per un folle?
Entrambi, ma è un progetto folle perché Richard è un folle simpatico, non un folle furioso. Fantasioso, come le sue aspettative. Senza collegarle a noi, aveva già in mente case brutaliste sullo sfondo del deserto e di agavi giganti. Il suo soggiorno alla Chiltern Firehouse a Londra è stato il fattore scatenante: gli piaceva la nostra presentazione, che era il racconto di una famiglia edoardiana cacciata dal loro castello. Il tempismo californiano è stato ideale, poiché André Balazs ci ha nuovamente consultato per rinnovare tre appartamenti nel suo Chateau Marmont. Per Flamingo Estate, il cemento, un materiale che è una costante della nostra architettura, si è rapidamente affermato nella costruzione della scala, a metà strada tra una ziggurat e Villa Malaparte.
Uno dei vostri progetti attuali prevede un crossover tra arte e moda e sarà la vostra prima architettura realizzata da zero negli Usa...
Si trova ad Atlanta, in un sobborgo chic pieno di ville coloniali, ed è la casa di una coppia atipica e affascinante. Lei è l’erede di una ricca famiglia del Sud e veste solo haute couture. Suo marito colleziona auto da corsa d’epoca. L’arte contemporanea, i gatti e le sneakers da collezione sono tra le loro tante passioni. La cabina armadio di 150 metri quadrati, completamente vetrata e refrigerata, così come il garage in stile Batcave saranno due pezzi centrali. Anche in questo caso ci ritroviamo a sognare un’architettura pronta a sfidare il passare del tempo.
Portrait by Noel Manalili