L'EXHIBITION: Martin Parr in mostra al MUDEC di Milano
Una mostra al Mudec di Milano mette in scena la sua fotografia dissacrante, che si interroga sui luoghi comuni della cultura inglese come su quelli del consumo di massa globale, mentre un libro edito da Phaidon si focalizza sulle sue immagini di moda.
Per più di mezzo secolo, le fotografie di Martin Parr, di feste in lingerie dell’era Thatcher, di frequentatori della spiaggia di New Brighton che si rilassano vicino a mucchi di rifiuti e di centri commerciali kitsch di Manchester, hanno raccontato la cultura consumistica britannica con umorismo. Un percorso sintetizzato in una mostra del Mudec di Milano, “Short & Sweet” (fino al 30 giugno), che mette in scena una sessantina di fotografie selezionate dall’autore e l’installazione “Common Sense” composta da circa 200 scatti. A partire da due serie in bianco e nero, “The Non-Conformists”, ritratti di figure atipiche rispetto al mainstream british scattate dal 1975 al 1980 nello Yorkshire, e la riflessione sull’ossessione nazionale per il meteo di “Bad Weather”, realizzata tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Il primo esempio del colore saturo trademark di Parr è la serie “The Last Resort”, ambientata a Brighton, il sobborgo balneare di Liverpool, nella metà degli anni ’80, un reportage feroce sulla fine del mondo operaio e dei suoi valori, e sulla contemporanea adesione di massa a una nuova concezione consumistica della vita.
Un’analisi che prosegue con “Common Sense”: oltre 200 fotografie in formato A3, selezionate tra le 350 esposte nella mostra omonima del 1999 allestita contemporaneamente in quarantuno sedi in diciassette Paesi, studio ravvicinato della cultura dello spreco. Il soggetto di indagine della serie successiva, “Small World” (1989 – 2008), è il turismo di massa e in particolare la differenza tra la mitologia idealizzata del luogo e la realtà depredata dall’uso che ne fa il turista. “Everybody Dance Now” (1986 -2018) riprende corpi intenti a ballare da San Paolo alle isole scozzesi, “Establishment” (2010 – 2016) analizza le élite che governano l’Inghilterra e i loro rituali,“Life’s a Beach” (2013) è un’antologia del corpo svestito e del suo modo di presentarsi in pubblico scattata in tutto il mondo.
Mentre la serie “Fashion” raccoglie immagini realizzate tra il 1999 e il 2019 per riviste di moda e vari brands. Ed è proprio su questa parte più commerciale, fatta di servizi fotografici per Vogue e collaborazioni con marchi come Gucci, Balenciaga e Stüssy che si focalizza “Fashion Faux Parr”, che sarà pubblicato da Phaidon in aprile. Ci sono più modi per leggere il titolo del libro. La fotografia di moda è un’attività secondaria grossolana per il “finto Parr”, in contrapposizione alle “vere” immagini in stile documentario del pluripremiato Parr? O forse le sue foto grintose e sardoniche - modelle al gabinetto per Numero Tokyo, collane di Urban Outfitters sparse su dentiere in una bancarella del souk di Marrakech, rugose bagnanti francesi vestite Gucci - sono viste come un passo falso nel mondo della moda? Forse il titolo si riferisce alla scelta di Parr di includere gli intoppi professionali, come una campagna di Balenciaga per il 2023 che è stata scartata o un portfolio di stilisti emergenti di Londra che ha scattato «per una piccola rivista che non ha pagato il conto», come si legge nell’introduzione, «così le foto non hanno mai visto la luce del giorno»?
«Siete liberi di vederla come volete, davvero», dice lui. «La moda è solo un’estensione del mio lavoro. Uso gli stessi stili e le stesse tecniche. Ecco perché quando si sfoglia il libro si capisce che si tratta di foto scattate da me, perché si spera che quello stile, quel linguaggio e quella tavolozza emergano. L’unica differenza è che di solito preparo le cose per i servizi fotografici, mentre nel mio lavoro mi limito a prendere le cose come sono realmente là fuori».
Ci sono Dame Vivienne Westwood in piedi in uno squallido bagno pubblico con indosso una maglietta con la scritta Climate Revolution e pantaloni trasparenti; Stella Tennant che raccoglie talee di fiori a Dunbar, in Scozia; e Paul Smith seduto alla sua scrivania disordinata a Londra, circondato da pile di libri, scampoli di tessuto, giocattoli e soprammobili. E c’è un servizio fotografico del 2004 per la rivista Kid’s Wear, realizzato nello studio di un dentista tedesco durante la pulizia dei denti di un giovane paziente. «L’aspetto surreale può davvero trasformare una foto in un’immagine che devi guardare due volte per cercare di capire cosa sta succedendo», commenta Parr.
Per una rivista stampata su un giornale che promuoveva la collezione uomo S/S 2016 di Henry Holland ha fotografato una sciarpa con la scritta “Martin Fucking Parr” all’interno di una gelateria di Ramsbottom, nella Greater Manchester. «È una sciarpa molto rara, in realtà. La gente me lo chiede sempre. Non so quante ne siano state prodotte, ma sembra che siano andate esaurite molto rapidamente. Ne ho una nel nostro archivio». L’anno scorso ha fotografato la sfilata di Simon Porte Jacquemus sul lungomare di Versailles per “Le Chouchou”, un libro in edizione limitata pubblicato dalla griffe, con le immagini degli ospiti che salgono su barche a remi bianche sul Canal Grande del parco. Quando ha firmato le copie del libro al flagship Jacquemus di Avenue Montaigne è stato trattato come una rockstar della moda. Alessandro Michele ha intitolato una campagna di orologi “Time to Parr”. Insieme al lavoro di Juergen Teller, il “realismo sporco” delle sue immagini ha contribuito a spianare la strada a molti fotografi di moda di oggi, tra cui Jack Davison, Harley Weir e Sam Youkilis. «La moda consiste nel risolvere un problema: come si fa a fare un’immagine interessante con un determinato accessorio o capo di abbigliamento?». sostiene Parr. «I fotografi documentaristi sono persone che scattano con delle idee. Quindi la gente vuole usare le idee che abbiamo e applicarle ai problemi della moda».