Agnes Questionmark: l'artista oltre l'arte e oltre il genere
Creatura mostruosa o bellissima, l'artista Agnes Questionmark supera le barriere di genere e identità per mostrarci con le sue opere cosa siamo e cosa potremmo diventare.
L'artista Agnes Questionmark potrebbe essere una delle povere creature di Alasdair Grey o un nuovo ibrido di Mary Shelley: mostruosa, mitologica ed esistenziale. L’hanno soprannominata “La Sirena di Lancetti” dopo la sua performance a maggio 2023, CHM13hTERT - la linea di cellule che ha permesso di assemblare la prima sequenza completa del genoma umano in laboratorio - nell’omonima fermata metro a Milano: una sirena inquietante e bellissima, sospesa, immobile. Una laurea al Camberwell College of Art di Londra e ora uno studio tutto suo a New York, dove poter studiare e sperimentare con le sue opere: un cross over tra tecnologia, ricerca scientifica e una continua analisi, e scoperta, di se stessa e della specie umana. Attraverso i suoi mondi alternativi, che superano ogni vincolo di genere e identità, Agnes Questionmark cerca di mostrarci cosa già siamo e cosa potremmo diventare.
L'OFFICIEL ITALIA: Come hai scelto il tuo nome d’arte?
AGNES QUESTIONMARK: È stato un processo di riconoscimento come persona e artista. Ho scelto Agnes dopo aver visto un dipinto della pittrice americana Agnes Martin alla Tate di Londra. Osservandolo sono entrata in una sorta di dimensione parallela con una nuova coscienza di me stessa. Ho iniziato a scrivere un diario e ogni pagina riportava “cara Agnes” fino al punto di capire che Agnes ero io e dovevo farla uscire, darle un corpo e un’identità. “Questionmark” è il cognome che ho scelto, rappresenta tutte le domande che mi pongo e ponevo già allora: “Chi è Agnes? Perché esiste?”. Volevo usare il glifo grafico, ma burocraticamente non può essere registrato e ho dovuto scriverlo in lettere.
LOI: Quando ti sei avvicinata al mondo dell’arte?
AQ: Sono scappata da Roma a 17 anni, finito il liceo, non mi sentivo compresa. Volevo definire la mia identità, compresa quella di genere e sessuale. Sono andata a Londra per imparare l’inglese e lì ho iniziato a scattare fotografie e a svilupparle. La fotografia è un filtro e uno specchio attraverso cui mi sono potuta conoscere, ed ha una valore esistenziale fortissimo per il genere umano, pensiamo a Roland Barthes o Walter Benjamin. All’università di Camberwell è cambiato radicalmente tutto: una scuola utopica dove i docenti sono stati grande fonte di conoscenza e ispirazione. Lì ho capito di avere la necessità di coinvolgere direttamente il mio corpo nella performance artistica, che tratto in tutto e per tutto come un’immagine.
LOI: A te e alle tue performance viene associato il concetto di Transumanesimo, è corretto?
AQ: Non direi, anzi è un termine pericoloso: implica una gerarchia e una egemonia del corpo umano, solitamente bianco e patriarcale, che sostiene il progresso tecnologico e scientifico alla ricerca dell’immortalità. Mi avvicino alla teoria del post umanesimo che è più interessante e inclusivo. Citando la scrittrice Ursula Le Guin, “abbiamo bisogno di nuovi termini in cui ritrovarci e da cui essere rappresentati”. L’uomo, d’altronde, non è più totalmente umano, nel corso della storia ha perso la sua “aura artistica”.
LOI: Ritorniamo a Walter Benjamin…
AQ: Sì, e al suo concetto di riproducibilità tecnica e apparato tecnologico dove il macchinario, una macchina fotografica, uno smartphone o altro, ha emancipato la specie umana. Io lo applico ai miei studi e alle riflessioni sul settore medico. Nella transizione di genere, ad esempio, l’apparato sono i farmaci, le operazioni chirurgiche o il chirurgo stesso che manomette la realtà rendendola artificiale. In questo senso, dal mio punto di vista, abbiamo perso umanità: modificando i connotati così come il DNA. E nelle mie performance cerco di rappresentare questa nuova forma di “umano non umano”.
LOI: E questo nuovo “umano non umano” sarà, in futuro, ancora la specie dominante?
AQ: Siamo talmente dominanti da essere distruttivi. Oggi ci sono tanti esperimenti sul genoma per cercare di rafforzare la specie e creare un essere sempre più “perfetto”. Noi siamo fantascienza, siamo mitologia: la tecnologia ci sta insegnando che non è necessario avere le ali per essere mosche.
LOI: Esiste il limite etico nella scienza?
AQ: Collaboro con una scienziata che mi aiuta a preparare le performance, ripete spesso che “l’arte arriva dove la scienza non riesce”. Nell’arte non ci sono limiti, mentre quello scientifico esiste, deve esistere. Detto ciò, quanti animali vengono utilizzati nei test? Quanti gli esperimenti di mutazione genica? C’è tanto cinismo e ipocrisia, anche nella scienza. Per non parlare poi di tutto il filone che riguarda il tema della riproduzione.
LOI: A Milano ti hanno ribattezzato la “Sirena di Lancetti”.”…
AQ: È stata la performance più importante finora. Mi piace molto la riflessione, quello che è accaduto a Lancetti è stato per me una sorta di esperimento antropologico e sociale. La maggior parte delle persone non sapevano dell’esistenza della performance; si sono trovati davanti un mostro, o una sirena. La parte interessante è stata la loro reazione (alcuni affascinati altri forse disgustati), uno spunto per cercare di capire quale sia il ruolo dell’arte oggi.
LOI: Come ti prepari alla performance?
AQ: Mi alleno i giorni precedenti affinché i muscoli possano resistere immobili per ore. Poi c’è l’aspetto mentale: a inizio performance entro in uno stato meditativo molto profondo, dove la mia mente viaggia sognando e creando nuovi universi e mondi paralleli. Dissocio il mio corpo dalla realtà terrena, e divento altro… una nuvola in mezzo al cielo o una creatura marina che nuota nell’oceano. È sempre molto bello.
LOI: Lo scenario marino è sempre ricorrente.
AQ: Mio padre è un marinaio. Io e mio fratello siamo cresciuti in mare, andavamo spesso in barca, a pesca, mangiavamo pesce crudo appena pescato e facevamo gare di apnea. Sognavo di essere un delfino o una balena. Crescendo, a questo scenario si è affiancato quello medico, che invece ho ereditato da mia madre e dalla sua famiglia, che ha una farmacia, e il cui antenato era lo speziale personale del Papa. Era forse inevitabile che questi due mondi a un certo punto si incontrassero e prendessero vita in un qualche linguaggio.
LOI: Forse è il tuo approccio medico ad essere più interessante…
AQ: Mi appartiene. Da bambino avevo un disturbo della crescita, andavo spesso dai dottori per sottopormi a terapie ormonali. Credo che questo abbia influenzato molto il mio modo di vedere il mio corpo, perché di fatto l’ho conosciuto attraverso una patologia. Così a un certo punto crescendo ho deciso di continuare a prendere gli ormoni, ma solo quelli utili per Agnes.
LOI: Tra gli artisti si nuova generazione, quali ispirano il tuo lavoro?
AQ: Anna Uddemberg, Anna Franceschini e Wangechi Mutu, anche lei su soggetti post umani e mitologici.