#ART: Joana Vasconcelos
Foto di Pedro Guimaraes
Nel 2013 ha rappresentato il Portogallo nel padiglione nazionale alla 55esima Biennale di Venezia. È conosciuta in tutto il mondo per la sua pratica di appropriazione e decontestualizzazione di oggetti comuni che trasforma in sculture-simboli della società, suggerendo una riflessione critica sulle sue dinamiche sociali e identitarie. Joana Vasconcelos ci ha aperto le porte del suo studio nel porto di Lisbona sul fiume Tago, un antico magazzino di cereali esteso per 3000 metri quadrati che da dieci anni accoglie il suo laboratorio. Come in un atelier del diciassettesimo secolo, circa 60 assistenti specializzati sono impiegati nei diversi dipartimenti di lavoro, disposti su tre piani a seconda delle loro competenze, separati ma all’interno di un unico open space: «Avere uno spazio così ampio permette di dividere il laboratorio del metallo e del legno da quello dei tessuti, per esempio, così che i materiali non si contaminino. Le aree di lavoro sono: architettura, produzione, finanza, stampa e comunicazione, fotografia e video, cucito, uncinetto, ricamo, elettricità e ingegneria. Tutto comincia sempre con un’idea, un disegno che passa al dipartimento di architettura e viene trasformato in un progetto 3D per studiarne meglio le dimensioni, il peso, la materia, l’allestimento e il trasporto. Poi subentrano la produzione e la ricerca tecnica da parte di artigiani professionisti che lavorano sotto la mia supervisione, perché per me è importante avere collaboratori che mi supportino nell’esecuzione, ma sempre secondo le mie linee guida».
«Abbiamo tutti una memoria personale e collettiva degli oggetti che ci induce a fare delle associazioni. Per me il ruolo del pubblico è molto importante perché apporta la sua personale lettura»
Che siano imponenti lampadari realizzati con immacolati tamponi da donna (“A Noiva”- “The Bride”, 2001-2005), grandi cuori traslucidi composti da posate di plastica rossa (“Coração Independente Vermelho” - “Red Independent”, 2005), scarpe col tacco sovradimensionate fatte da coperchi di pentole (“Marilyn”, 2009), tutti gli interventi di Joana Vasconcelos nascono da un’idea o da un concetto e non dai materiali, questi arrivano in un secondo momento e sono il risultato dell’idea insita nell’opera. «“Marilyn” è nata da una riflessione sul ruolo della donna nella società contemporanea, sia quello che ricopre nella sua vita intima e domestica sia sociale e pubblico. Nel privato assume i panni e le responsabilità della casalinga mentre fuori dalle mura di casa deve rispettare certi standard di bellezza ed eleganza. Una volta definita quest’idea, mi è sembrata naturale la scelta dei materiali, cioè coperchi di pentole luccicanti». Fonte d’ispirazione per l’artista è la vita di tutti i giorni, con i suoi simboli, gli oggetti d’uso, i comportamenti che assumiamo socialmente, tutti elementi che incontrano il suo lavoro per essere reinterpretati e sovvertiti in nuove narrative e punti di vista sulla realtà. In questo senso l’universo del quotidiano è una fonte inesauribile di significati. Il risultato formale di quest’appropriazione e decontestualizzazione è un’allegoria perché, secondo Vasconcelos, «il fatto che questi elementi siano familiari permette una comprensione più veloce e più diretta da parte di chi osserva. Abbiamo tutti una memoria personale e collettiva degli oggetti che ci induce a fare delle associazioni, io gioco con questi costrutti. Per me il ruolo del pubblico è molto importante perché, più che un semplice recettore, interviene nel discorso apportando la sua personale lettura.
Questo è ciò che voglio fare: indagare e suggerire domande che possano aiutare ad ampliare le prospettive e la conoscenza del mondo. Le mie opere non si chiudono su un particolare discorso o interpretazione, sono ambigue e paradossali, la loro ricchezza risiede in questa molteplicità di possibili discorsi e interpretazioni». Non solo immagini che portano a riflettere ma veri e propri dispositivi che fisicamente inducono all’esplorazione di nuove possibilità d’interazione sociale, come “Call Center”, 2014-2016 - una scultura a forma di Beretta composta da telefoni analogici - “Ponto de Encontro” (“Meeting Point”), 2000 - un carosello realizzato con sedie da ufficio - e “Una Direccíon” (One Way), 2003 - i tipici pali in acciaio, usati per ordinare i flussi di persone, legati tra loro da trecce di capelli sintetici. In “Ponto de Encontro”, per esempio, le poltrone da lavoro associate per abitudine a un ambiente che richiede un certo protocollo e una certa serietà sfondano la convenzione invitando il pubblico a socializzare in modo più casuale e non gerarchico, come fanno i bambini in un parco giochi. Racconta la Vasconcelos di come sia interessante «vedere le persone “cavalcare” quest’opera, perdere rapidamente la rigidità e la sobrietà che sono comuni ai visitatori di un museo, secondo le consuetudini sociali ad agire solennemente in espressione d’intellettualità». Nella grande retrospettiva al Guggenheim di Bilbao, che include due interventi ambientali a cielo aperto, un’installazione site-specific e l’esposizione tradizionale nelle sale del museo, l’opera “I’m Your Mirror”, che dà il titolo alla mostra e s’ispira alla celebre canzone de The Velvet Underground, è una maschera veneziana alta 5 metri fatta di specchi e cornici di bronzo. «Pensata appositamente per la mostra, che ha l’obiettivo di raccontare il mio percorso lavorativo fino a oggi, quest’opera mi aiuta letteralmente a riflettere sul mio passato e sugli altri lavori esposti».
Fonte d’ispirazione per l’artista è la vita di tutti i giorni, con i suoi simboli, gli oggetti d’uso, i comportamenti che assumiamo socialmente, elementi che incontrano il suo lavoro per essere reinterpretati e sovvertiti in nuove narrative. In questo senso l’universo del quotidiano è una fonte inesauribile di significati
Tra questi anche una nuova scultura della serie “Valkyries” ispirata alle dee della mitologia nordica, Egeria, una pellegrina dell’attuale Galizia che lasciò resoconti dei suoi viaggi in Terra Santa nel IV secolo, la seconda testimonianza scritta più antica di un pellegrinaggio in Oriente e la prima scritta da una donna. Sensibile a un immaginario che rimanda alla tradizione femminile, dilatata nei tempi e nelle sue molteplici declinazioni, l’opera di Joana Vasconcelos non vuole essere un semplice manifesto femminista da slogan ma qualcosa di più: «Il femminismo m’interessa fintantoché ci saranno donne che vengono trattate come cittadini inferiori o come se avessero meno diritti rispetto agli uomini. Non si tratta di frasi fatte, ma della necessità di lottare per dei diritti umani reali e per l’uguaglianza per tutti. Per quanto riguarda l’ambito artistico posso dire di essere stata un’apripista in diverse occasioni o di aver testimoniato la presenza di altre donne all’interno di manifestazioni importanti, come, per esempio la mia partecipazione alla Biennale di Venezia, nel 2013, (era la prima kermesse curata da una donna in 110 anni), sono stata la prima donna e la più giovane artista ad avere avuto una personale allo Chatêau de Versailles nel 2012 e la prima portoghese con una personale al Guggenheim anche se la storia dell’arte è piena di grandissime artiste donne portoghesi. Mi considererò femminista fintantoché le donne non avranno gli stessi diritti degli uomini», afferma Joana Vasconcelos a proposito della posizione della donna nel mondo dell’arte (e non solo).