50 anni di savoir-faire firmato Tagliatore
Dalla Puglia a Hollywood e al successo internazionale. Pino Lerario, che ha immaginato le silhouette dei personaggi di “Batman” negli anni ’90, festeggia 50 anni di successi e di artigianalità senza compromessi, per uno stile classico con twist
Un family affair di oltre cinquant’anni. Una tradizione, quella di Tagliatore, costellata da successi, ottenuti a piccoli passi e con grandi sacrifici. L’estro creativo, lo spirito imprenditoriale e la forza di saper sognare senza limiti caratterizzano Pino Lerario, impegnato nel salvaguardare il lascito dei suoi predecessori e proiettato al futuro. Perché se da una parte l’intuizione e il crederci sono importanti, i risultati si ottengono con il lavoro e non per forza sotto i riflettori. Da Martina Franca, piccolo paese della Puglia, il brand è distribuito a livello globale e gode di un pubblico di fedelissimi, sostenitori di un lusso discreto, che non passa mai di moda. Partiti creando le scarpe di cui il nonno Vito tagliava ad arte le tomaie (da qui il nome) verso la fine degli anni’80 diventano brand di abbigliamento a tutti gli effetti, facendosi apprezzare anche in Inghilterra, dove Savile Row dettava legge per i completi sartoriali da uomo. Poi arrivano Hollywood, l’interesse di Paesi lontani come il Giappone, l’apprezzamento di grandi uomini di stile come Nino Cerruti, un vero estimatore della visione made in Puglia. L’Officiel Hommes Italia ha incontrato Pino Lerario per parlare dell’evoluzione dell’azienda e dei traguardi raggiunti in più di 50 anni di storia e savoir-faire sartoriale.
L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Che cosa si celebra con questo 50mo anniversario?
PINO LERARIO: È un riconoscimento, un premio che ci de- dichiamo dopo anni di duro lavoro, un traguardo di evoluzione, business e artigianalità pugliese che è arrivata a un successo internazionale. I festeggiamenti arrivano con un significativo incremento della collezione, con una riscoperta della storia e dei fondamenti che hanno reso l’azienda quello che è oggi, sia per l’uomo che per la donna: tagli sartoriali, tessuti particolari, colore, che è da sempre l’elemento chiave. Sicuramente il jacquard colorato, tessuto che è parte della nostra storia, è il protagonista.
LOHI: Quali sono i momenti più importanti che hanno segnato la storia del brand? PL: Il primo step è stato nel 1989, quando abbiamo realizzato gli abiti per il “Batman” di Tim Burton, con Jack Nicholson e Michael Keaton. Il costumista hollywoodiano Bob Rin- gwood vide in una vetrina di Londra un abito Lerario, se ne innamorò e decise che gli abiti maschili del film “Batman” li avremmo dovuti creare noi. Da lì la notorietà e la visibilità del marchio hanno varcato i confini internazionali. Ricordo l’entusiasmo della prima volta che siamo andati al Pitti, il legame che si è creato con una clientela fedele che ci segue da anni. I nostri clienti sono come amici, e il saper fare anche a livello di comunicazione e cura per chi ci sceglie ha pagato.
LOHI: Qual è il capo più iconico del guardaroba maschile? PL: Il blazer doppiopetto.
LOHI: Che colori sceglie l’uomo a differenza della donna?
PL: Oggi è un po’ conservatore, l’uomo compra tanto blu e credo che sia il colore che ama di più. Eppure noi in collezione proponiamo molti colori, affinché il professionista possa trovare l’abito da ufficio e lo spezzato per il tempo libero, per i weekend una giacca colorata. Io credo molto nel potere dell’ironia, di una sana voglia anche di non prendersi sempre sul serio. La donna è più libera dai canoni classici. Ama sempre il nero e il blu, ma non disdegna virate sui colori più accesi come giallo, arancione, fucsia, rosa (che è uno dei successi commerciali), o verde...
LOHI: Le piace l’idea che la donna indossi il completo maschile?
PL: Come dico sempre, non ho dubbi sul fatto che una donna stia bene in abiti maschili. Per me la più elegante di tutte è stata Lauren Hutton in “American Gigolo”, inarrivabile ancora oggi. Classe e fascino fanno il look, non troppo im- postato, quasi scomposto, naturale.
LOHI: Ci sono delle celeb che vorrebbe vedere indossare Tagliatore, anche in campo musicale vista la vena sottilmente rock del brand? PL: Non faccio il nome perché non posso ancora svelarlo, ma posso condividere degli indizi: una band italiana famosa a livello mondiale.
LHOI: Che valore ha il Made in Italy e perché è così importante difenderlo?
PL: Da imprenditore ritengo che sia fondamentale difendere il nostro saper fare. Tutti i prodotti più belli vengono fatti in Italia, perché siamo il Paese dell’eccellenza, oltre a quello della moda, ce ne sono tante altre che danno valore al nostro Paese. Dobbiamo puntare sulle conoscenze e valorizzare le nostre competenze in tutti i settori. Cerchiamo il talento fuori dall’Italia, ma basta aprire gli occhi: è qui intorno a noi.
LOHI: Tagliatore è ormai un brand total look, per quanto riguarda gli accessori, avete pensato di realizzare gli occhiali?
PL: Un grosso gruppo dell’occhialeria ci ha approcciato, ma non sono ancora convinto. L’occhiale è parte integrante del mio look, ho idee molto precise su come immagino una collezione di occhiali Tagliatore. Devono avere carattere, mantenendo un livello di sobrietà, esattamente come per l’ab- bigliamento. Per il momento ho detto di no, perché come sempre mi piace far tutto con cura e per bene. Non bisogna mai avere fretta, il processo creativo non va forzato.
LOHI: Se Tagliatore fosse un profumo, quali sarebbero le sue note? PL: Note legnose, profonde ma non troppo aggressive.
LOHI: Ha mai pensato di realizzare una collezione di arredamento vista la vasta scelta di tessuti?
PL: Ho una passione viscerale per i motori, quindi mi piacerebbe continuare a customizzare, come ho già fatto, gli interni di un modello di auto in modo da riflettere l’identità di Tagliatore. Ho anche disegnato delle poltrone per lo show-room di Milano e perché no, potrei utilizzare i tessuti dell’abbigliamento per le tappezzerie dei divani e dei complementi d’arredo. Sono uno spirito curioso e non mi pongo limiti.
LOHI: Cosa è successo alle abitudini del vestire dell’uomo post Covid-19?
PL: Abbiamo ereditato tessuti super confortevoli, silhouette un po’ più morbide, meno rigide. La voglia di non sentirsi costretti da un capo c’è sempre, credo che sia ormai interiorizzata, però la tendenza per me è ritornare alle origini, alla bellezza di tessuti “rotondi”, sia nell’uomo che nella donna. Si sta ritornando di nuovo al “bel vestire”, al sartoriale, ai tagli impeccabili, non troppo aderenti ma nemmeno troppo over. Si guarda al passato, immaginando però un futuro in cui aprire l’armadio e scegliere un capo è un piacere che porta ad esprimersi. Con personalità.