Dives Deep: Alessandro Gassmann
Attore e regista tra cinema, tv, teatro e nuove piattaforme, direttore di teatro, attivista per un presente sostenibile. E ora anche curatore di una mostra dedicata al padre, Vittorio Gassman. Per farlo conoscere ai giovanissimi.
Photography DAVIDE MUSTO
Styling ALFREDO FABRIZIO
Ha sempre portato avanti contemporaneamente cinema, tv e teatro, alternando testi colti, reinterpretazioni dei classici e ruoli più pop. Da anni impegnato a sensibilizzare il pubblico sull’emergenza climatica, a febbraio Alessandro Gassmann ha raccolto le storie di successo di aziende ecoresponsabili che aveva raccontato una alla volta su Venerdì di Repubblica in un libro, “Io e i green heroes”.
L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Perché un libro?
ALESSANDRO GASSMANN: Per senso di responsabilità. Mio figlio Leo oggi ha 23 anni, ho cercato di immaginare il mondo all’epoca della sua presumibile morte per cause naturali, tra 50 anni. È evidente che se non facciamo qualcosa subito la situazione sarebbe disastrosa. Aiutare il pianeta ad assorbire meglio la presenza umana deve essere un impegno di tutti. Il libro vuole coinvolgere persone non particolarmente informate sul clima raccontando storie di aziende per cui la scelta ecoresponsabile si è rivelata la leva del successo.
LOHI: La guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina sta avendo conseguenze disastrose anche da questo punto di vista. Sei di quelli: meglio il carbonfossile per far fronte all’emergenza o meglio il nucleare?
AG: Se Putin ci tagliasse il gas, mi farebbe molto più paura il nucleare che un temporaneo ritorno al carbonfossile, visto che non esiste un nucleare “pulito” e, sempre che sia pensabile, per arrivarci servirebbero almeno vent’anni di ricerca. La politica italiana ha lavorato malissimo, bloccando le rinnovabili nel 2015 senza rispettare i parametri che ci eravamo dati, quando Stati che l’hanno fatto hanno fatto passi da gigante: basti pensare alla Danimarca che nel 2030 sarà totalmente autosufficiente dal punto di vista elettrico grazie esclusivamente alle rinnovabili. Da noi ci sono stati anche errori di comunicazione gravi, perché le scelte ambientali sono state politicizzate quando dovrebbero essere un obiettivo comune senza colore ideologico.
LOHI: Quali sono stati i momenti più significativi della tua carriera? Parlo a livello personale, non solo e non necessariamente di ruoli che ti hanno dato particolare visibilità.
AG: Un momento molto importante è stato scoprire di poter essere anche attore di commedia, non avendo il fisico giusto per farla, mi riferisco ai lavori fatti da ragazzi con Gianmarco Tognazzi. Mi piace la commedia di situazione più che di battuta, che penso sia la forma di cinema più difficile in assoluto, quella per intenderci de “I mostri”, “In nome del popolo italiano”, “ Il sorpasso”, pellicola quest’ultima che a mio avviso è erroneamente classificata come commedia, film complicatissimi, bellissimi. Purtroppo io non ho avuto la fortuna di incontrare registi comici del livello di Dino Risi. Il primo film che mi ha portato un riconoscimento importante dalla critica è stato “Il bagno turco”, di Ferzan Özpetek, che mi ha dato un ruolo da protagonista in una storia drammatica straordinariamente ben scritta. E poi “Caos calmo” che mi ha dato modo, anche senza un ruolo da protagonista, di vincere il David. In generale mi piace partecipare alle opere prime, come “Mio fratello rincorre i dinosauri” e “Non odiare”, mi piace rapportarmi a registi più giovani di me. Da regista ho fatto tre film, “Razzabastarda”, “Il premio” e “Il silenzio grande”, ora su Amazon, il primo film che ho diretto in cui non recito.
LOHI: Che tipo di attore sei? Ti affidi al regista?
AG: Se scelgo un film è perché la sceneggiatura mi ha emozionato e quindi tendenzialmente mi affido al regista, mi metto al servizio della storia. Nella commedia sono più propositivo, improvviso molto, soprattutto se sono con Marco Giallini, siamo complementari. Comunque per come li concepisco io, il cinema, il teatro sono lavori di squadra in assoluto, perciò mi piacciono i registi che ascoltano come Roberto Andò.
LOHI: Con quali registi ti sei trovato meglio? E con chi ti piacerebbe lavorare?
AG: Vorrei lavorare con Garrone e Sorrentino, che finora non mi hanno mai filato. Mi piace molto il lavoro intriso di sottile ironia di Virzì, Francesca Archibugi è un’altra regista che ho molto amato, girare “Il nome del figlio” è stata un’esperienza bellissima.
LOHI: Cosa cerchi nei giovani attori quando fai casting?
AG: Faccio sempre molti provini quando scelgo il cast. In particolare i protagonisti de “Il silenzio grande”, nonostante curricula brevi, sono incredibili. Credo che la generazione di attori dai 18 in su sia così brava, così naturale perché vede, assorbe moltissimo cinema e ha infinite piattaforme a disposizione. Noi arrivavamo dalla formazione teatrale e dovevamo liberarcene per acquisire la naturalezza necessaria al cinema. Loro sono pronti, nell’interpretare ruoli moderni sono imbattibili.
LOHI: Su cosa stai lavorando? E cos’hai in uscita?
AG: Ho finito su Netflix International un film d’azione, “Il mio nome è vendetta” per la regia di Cosimo Gomez, con una co- protagonista diciottenne italiana bravissima, oddio otto settimane di lavorazione insieme e non ricordo il nome (Ginevra Francesconi, nda), ho un problema terribile con i nomi. Mi sono divertito moltissimo a uccidere 22 persone in un classico revenge movie. Mi ci sono voluti cinque mesi di lavoro sul corpo. A parte questo l’unico mio film con un po’ d’azione era stato “The Transporter -Extreme”, girato negli USA. A settembre, ottobre uscirà “Il Pataffio”, che spero andrà a Venezia, film ambientato nell’anno Mille di Francesco Lagi, protagonista Lino Musella, in cui interpreto un frate che parla solo latino. Ad aprile inizio un film piccolo, “Billy”, con la regia della figlia di Carlo Mazzacurati, Emilia, una storia molto particolare. Poi dirigerò il mio quarto film da regista, di cui parlerò al Festival di Bari. Importantissimo: l’8 aprile aprirà al Parco della Musica di Roma la mostra per il centenario della nascita di Vittorio Gassman, che poi andrà a Genova a Palazzo Ducale e poi nel resto del mondo. Ne sono curatore con Alessandro Nicosia, l’organizzatore della mostra su Lucio Dalla. L’idea è farlo conoscere ai giovanissimi.
LOHI: Come definiresti tuo padre? Se chiudi gli occhi e pensi a lui, cos’è la prima cosa che ti viene in mente?
AG: Il primo pensiero su mio padre, che era persona variegata e sorprendente, è per la sua gentilezza. Non avrebbe apprezzato tante cose degli ultimi anni, ma la diffusa mancanza di gentilezza sarebbe stata la cosa a dargli più fastidio in assoluto.
LOHI: Da regista tendi a usare sempre gli stessi sceneggiatori?
AG: Finora li ho sempre cambiati perché i film che ho fatto sono stati molto diversi tra loro. Nel prossimo, dove sarò anche attore, sto lavorando alla sceneggiatura con Maurizio De Giovanni con cui avevo già fatto “I bastardi di Pizzofalcone” e “Il silenzio grande”, e che aveva anche adattato per la mia regia “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Descriverei il nostro un rapporto da staffetta, fatto di grande collaborazione.
LOHI: I tuoi attori e registi di riferimento?
AG: Attori: De Niro, Al Pacino, Dustin Hoffmann, Jack Nicholson... Ho un amore particolare per Peter Sellers. Mi piacciono Christopher Walken (uno dei protagonisti de “Il cacciatore”, nda), Meryl Streep. Registi: quelli inarrivabili come Stanley Kubrick di cui non ho preso assolutamente nulla. In realtà mi piacciono tanti tipi di cinema, adoro quello di Clint Eastwood, ma anche Kusturica, i fratelli Coen, Tim Burton, Guillermo Del Toro...
LOHI: Hai avuto un grande successo con la serie “Il professore”...
AG: Non ho mai considerato le serie Rai tv popolare o di seconda categoria, e sono fiero del grande successo ottenuto, tanto che stanno scrivendo la sceneggiatura della seconda stagione. Il mio personaggio è il professore che avrei voluto avere e che non ho avuto mai: e infatti a scuola ero un asino, dopo essere stato rimandato in tre materie sia in quarta che in quinta ginnasio mi hanno iscritto alla scuola inglese qui a Roma dove brillavo solo come capitano della squadra di pallacanestro.
LOHI: Sei un appassionato di filosofia anche nella vita reale?
AG: Anche se leggo molto ero digiuno di filosofia: l’ho studiata per calarmi nella parte ed è diventata una droga. Oltretutto mi porta fortuna: vinsi il premio UBU alla regia con “Immanuel Kant” di Thomas Bernhard.
LOHI: E il teatro?
AG: “Il silenzio grande” è anche a teatro, con Massimiliano Gallo e Stefania Rocca, diretto da me. Ed è in tournée anche uno spettacolo ispirato a Kafka, “Racconti disumani”, che riunisce due racconti con un unico attore, Giorgio Pasotti, che è sempre stato molto relegato in ruoli dipendenti dalla sua fisicità. Io ho voluto stravolgerlo: nel primo atto è una scimmia che fa una relazione accademica, nel secondo un uomo così spaventato da non uscire mai dalla sua tana.
LOHI: E tu non pensi di tornare sul palco da attore?
AG: Il mio ultimo spettacolo come attore è stato il “Riccardo III”, portato avanti per tre stagioni, 350 repliche. Quasi alla fine dell’ultima tournée, a Rimini, sono collassato in scena, il ruolo era così intenso che perdevo un chilo e mezzo a performance. Riccardo III è il protagonista shakespeariano che parla di più, che uccide di più: non potendo trasformarmi nello storpio della tradizione mi alzavo a 2,30 metri, mi circondavo di attori bassi e tutta la scenografia era su scala ridotta per rendere ancora più evidente la disproporzione tra un uomo che non riesce a entrare in una società troppo piccola per lui, causa scatenante della sua rabbia.
LOHI: Ti interessa la moda?
AG: Da ragazzino ho fatto anche il modello per Coveri quando studiavo alla Bottega Teatrale fondata da mio padre a Firenze, e ho il piacere di conoscere stilisti importanti, Dolce & Gabbana, il maestro Armani, Valentino. Definirei il mio stile da cinquantenne grunge, mi piacciono le cose larghe e sobrie, sostanzialmente cerco di passare inosservato.
LOHI: Nel raccontarti fai spesso riferimento alla tua altezza: come ti ha condizionato?
AG: Sono molto alto quindi ho una vita scomoda: sto scomodo a letto, in treno, al cinema. Se la gente litiga in gruppo so per esperienza che se la prende sempre con quello più alto, e trovo che nella media i piccoli sono più aggressivi. E poi io ero 1,94 già a 14 anni, non entravo nel banco di scuola. Per un attore non è utile non avere il fisico del vicino della porta accanto: i ruoli da persona normale me li sono dovuti procurare. Come attore sei determinato/limitato dal fisico, come regista, che è il mestiere che mi viene più naturale, puoi lavorare con tutti i corpi che vuoi.
LOHI: Ti aspettavi la carriera musicale di tuo figlio o è stata una sorpresa?
AG: Una sorpresa assoluta. Da piccolo Leo ha fatto cinque anni di chitarra classica al conservatorio di Santa Cecilia, dopo cinque di solfeggio ci ha confessato di non farcela più e ha lasciato. Qualche anno dopo, chiuso nella sua stanza, ha ripreso in mano la chitarra e iniziato a canticchiare, finchè un giorno sono entrato in camera sua pensando che ascoltasse la radio e invece a cantare era lui. Poi è stato tutto consequenziale e veloce, ha fatto un piccolo concorso e l’ha vinto, è arrivato quarto a X Factor, è andato a Sanremo e ha vinto... A dicembre si è laureato all’università americana e ora vorrebbe andare a specializzarsi in America. Chissà se le nostre stra- de professionali si incontreranno, magari suonerà in un mio film, sicuramente mi piacerebbe scrivere una canzone per lui.
TEAM CREDITS:
ART DIRECTOR: Federico Poletti;
GROOMING: Charlotte Hardy @ SIMONEBELLI AGENCY;
GROOMING ASSISTANT: Silvia Terribile @ SIMONEBELLI AGENCY;
PHOTO ASSISTANTS: Valentina Ciampaglia e Riccardo Albanese;
STYLING ASSISTANTS: Federica Mele e Cecilia Fefé;
LOCATION: Coho Loft Roma.