Musica

Tredici Pietro: «Occorre fare la rivoluzione!»

Il rapper bolognese torna a fare sentire la sua musica e le sue parole. Il suo ultimo lavoro musicale è "Immagina", con Fudasca, Michielin e Mecna. 

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Tredici Pietro

Tredici Pietro. Il rapper dallo spirito anarchico e indipendente, -uscito da poco nel singolo Immagina di Fudasca con Mecna e Francesca Michielin- sa quello che dice e si esprime con naturalezza e precisione. Tredici Pietro è un figlio di (Gianni Morandi), eppure ascoltandolo, non ci si pensa affatto. Dopo un periodo di silenzio nel 2023, è tornato anche se dice: «Il silenzio dà valore all’arte. Anche il silenzio fa parlare, quindi lasciamolo lì». 

L'OFFICIEL HOMMES: Come hai scelto il nome Tredici Pietro?
Tredici Pietro: Sono originario di San Lazzaro, alle porte di Bologna, avevo un gruppo di amici su whatsapp con cui mi ritrovavo sempre in piazzetta. Eravamo in tredici. Facevamo musica ogni tanto in un garage in affitto, quando ho deciso di intraprendere una direzione professionale mi piaceva l’idea di includere l’intero gruppo… Anche se non eravamo più in tredici. 

LOH: Quando hai capito di voler intraprendere la carriera del cantante?
TP: Sono cresciuto con la musica in casa, non ho mai avuto il coraggio di dirlo e di esprimerlo ma ho sempre desiderato farlo. So quando mi sono avvicinato alla scrittura: il giorno in cui la mia maestra delle elementari mi ha detto “sei bravo”. 

LOH: Ho letto che sei molto appassionato di storia…
TP: Mi interessa, è un discorso molto ampio. L’occidente è convinto che la storia sia finita, come se fossimo in un epoca di post storia. Siamo convinti che vada avanti in altri posti, lontani, e ci basiamo su altri dogmi come quello del libero mercato. Dagli anni ’50, pensiamo quasi di non doverci evolvere più. Io sono uno che la storia la vuole fare, e la studio. Vorrei, magari anche attraverso la musica, dare una scossa, un contributo al cambiamento. Farne parte. 

LOH: Cambiamenti, e/o momenti di rivalsa, importanti?
TP: Già essere qui a fare un’intervista è una rivalsa. Guardo la big picture del mio percorso e sono felice di quello che ho fatto e sto facendo. Sono fiero del mio progetto, sono un figlio d’arte che è riuscito ad allontanarsi dal nido e ad avere la sua credibilità. 

 

LOH: E parlando del tuo pubblico come racconti la persona/personaggio?
TP: A livello di comunicazione, cerco di essere chill e non iper presente perché non puoi pensare a vent’anni di insegnare la vita a un/una diciassettenne. Ho avuto anche io i miei svarioni, siamo la prima generazione che ha il potere dei social in mano ed è importante imparare ad usarlo. 

LOH: Come lavori sull’immagine?
TP: Da un lato so che l’immagine per l’artista è importantissima. E spero che la mia sia chiara. Dall’altro vorrei fare un lavoro di destrutturazione, anche grazie alla musica, per trovare un equilibrio. Mi lascio consigliare, sono seguito lato styling da Gaia Bonfiglio che non mi ha storpiato, ma mi aiuta nel level up del mio stile. Sono uno molto alla “non ci penso”...

LOH: Negli ultimi due video, “Big Panorama” e “High”, oltre l’immagine anche la regia era molto precisa, ci lavori anche tu?
TP: Scrivo il concept del video e quello che vorrei fosse la narrazione. Su questa base viene costruito lo scenario. Lavoro con professionisti con cui c’è un dialogo continuo, Enrico Rassu per la fotografia e la direzione creativa del progetto e Simone Peluso per la regia.  

LOH: La scrittura è un elemento costante, quanto tempo le dedichi?
TP: Se non faccio nulla, scrivo. E lo traduco quasi sempre in musica e in versi, almeno per adesso. Ho la fortuna di fare anche dell’autorato e questo mi permette, se voglio, di svegliarmi la mattina e sentirmi un cantante brit-pop; scrivere qualcosa di molto lontano da me e poterlo dare a qualcun’altro. Anche se io resto un fissato di rap e il mio progetto resta ben definito. Sono rapper-cantautore e, anche se è secondario, ho una passione per la techno a 130,140, 125 bpm. 

LOH: C’è qualcosa in ballo?
TP: Sto lavorando a un nuovo progetto. Mi sto concentrando sulle dicotomie micro/macro, o viceversa, partendo dal mio personale per estenderlo a qualcosa di generazionale. In puro brainstorming, mi piacerebbe dargli come nome l’anno di uscita o quello di un disturbo mentale. 

LOH: Featuring si o no?
TP: Non ne vorrei, ma penso ci saranno. Sicuramente con italiani. 

LOH: Che artisti ti piacciono?
TP: Italiani: Pino Daniele e Lucio Dalla (avrei voluto scrivere “Futura”). Per il rap: Mac Miller e Don Toliver. E Bello FiGo! 

LOH: Come sta la musica italiana?
TP: Sta vivendo un periodo floridissimo. Forse uno dei più ricchi degli ultimi trent’anni. In particolare la trap. I rapper stanno parlando alla propria gente, e sono ascoltati: Yugi, Baby Rap, Tony Effe, Lazza… Parliamo alle nuove generazioni senza più frizioni. Dieci anni fa la trap si doveva far sentire, bisognava dimostrare di essere fighi, ora che lo siamo possiamo dire, più o meno, quello che ci pare. E dobbiamo tutto a Sfera Ebbasta, e anche alla Dark Polo Gang. 

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