Jessica Chastain coverstar de L'OFFICIEL Anniversary Issue
Jessica Chastain ha passato gli ultimi dieci anni a costruire una carriera che altri attori inseguono per una vita. Ecco come riesce ad entrare nella parte - in tutte le parti.
Photography Alexi Lubomirski
Styled by Laura Ferrara
Per l'attrice Jessica Chastain la moda è fondamentale: un vero piacere, sia veicolo di self-expression, che opportunità di crescita interiore. La moda è come la musica, afferma, è un’arte. «Mi fa provare di continuo sensazioni diverse, libera altre parti di me», spiega. È questa prospettiva – unita a una squisita struttura fisica, in linea con la vecchia Hollywood come con quella contemporanea – che ha fatto di Jessica Chastain la scelta naturale per rappresentare il numero del centenario de L’OFFICIEL, posando con look che spaziano da una decade all’altra. Del resto c’erano anniversari che le frullavano in testa, quando ha parlato con la redazione. Era appena rientrata da Cannes, a dieci anni dal suo debutto al festival del cinema, con “L’albero della vita” di Terrence Malick. «Ho raggiunto i dieci anni di carriera, il che è scioccante». All’attivo una serie di film importanti, come i due in uscita: il biopic di Michael Showalter, “The Eyes of Tammy Faye” in cui Chastain si trasforma nella predicatrice controversa. E il remake, ambientato ai giorni nostri, di “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman miniserie diretta da Hagai Levi per HBO, in cui i ruoli tra moglie e marito sono invertiti.
Scorri verso il basso per scoprire tutta l'intervista all'attrice internazionale Jessica Chastain
L’OFFICIEL: Ho visto i primi due episodi di “Scene di un matrimonio” e “The Eyes of Tammy Faye”. Congratulazioni, sono entrambi incredibili e davvero differenti. Cosa ti spinge ad accettare un determinato ruolo?
JESSICA CHASTAIN: A volte una parte mi invoglia per via delle persone con cui mi porta a lavorare. Spesso si tratta di un ruolo con cui non mi sono mai confrontata prima ed è sfidante. Ma quello che sempre mi attrae è quando sento che riesco a immettere nel mondo qualcosa di positivo. Magari il mio personaggio non è positivo, ma lo è in termini di tematiche che portano avanti un dibattito o che scardinano pregiudizi di genere. Mi chiedo sempre: “Che cosa sto mettendo in circolo nel mondo? Sto dando il mio contributo alla società?”.
LO: È qualcosa che hai sempre pensato o hai realizzato che ci dovevi pensare una volta dentro all’industria cinematografica?
JC: Non ci avevo mai pensato e credo che la cosa accadesse perché non ne avevo l’opportunità. All’inizio della carriera sei così su di giri per il fatto di essere stata scelta, poi la carriera si sviluppa ed evolve, perciò oltre a essere eccitata perché vieni scelta, lo sei anche perché puoi permetterti di scegliere. E tu inizi a capire che il tuo potere dipende dalle scelte che fai. Quando ho girato “Zero Dark Thirty” con Kathryn Bigelow, ho visto le domande che le venivano fatte, e la differenza con cui il mondo e il settore si rivolgevano a lei, rispetto ai registi maschi. E ho anche visto quali stereotipi la gente attribuiva al mio personaggio. È stato molto fastidioso, ma in quel momento ho capito che un film può essere un atto politico. E mi si è davvero acceso il desiderio di scegliere progetti in grado di creare una specie di onda nella conversazione, di spostare i confini e di rappresentare veri esseri umani.
LO: Cosa ti ha convinta a fare un film su Tammy Faye Bakker?
JC: Il processo è stato innescato dal premio per “Zero Dark Thirty” e dal fatto che la gente mi chiedesse cosa avrei voluto fare dopo. In tv c’era un documentario di Tammy Faye, l’ho guardato e ho pensato, wow questa sarebbe una parte incredibile. Il suo cantare, il predicare, tutto di lei: tornava ogni cosa e per me significava anche riparare a un torto. Ero così arrabbiata per come Tammy era stata trattata dai media. Il fatto che l’abbiamo denigrata per il trucco che portava, per il suo aspetto, anziché ascoltare quello che aveva da dire sull’amore, sulla religione, sui cristiani e su ciò che il Cristianesimo dovrebbe essere. Il modo in cui riusciva a raggiungere la gente e a cercare davvero di amare chi si sentiva abbandonato. Mi ha spezzato il cuore sapere che non le è mai stato riconosciuto nulla. L’hanno solo trasformata in uno zimbello. Ancora oggi, quando nomini Tammy Faye la gente dice: “Oh si, quella che cantava con il mascara che le colava sulla faccia”. Ho passato ore e ore a studiarla, ho guardato tutto il materiale disponibile su di lei, non c’è nemmeno un video in cui il mascara le coli sul viso. È qualcosa che ricordiamo perché i media, gli sketch comici, la gente, tutti si prendevano gioco di lei. Ecco cosa ci è rimasto in mente, ha cambiato la nostra memoria della realtà. Io voglio che le persone la vedano per ciò che era davvero.
Scorri verso il basso per scoprire tutta l'intervista all'attrice internazionale Jessica Chastain
LO: Hai passato infinite ore al trucco?
JC: Oh si, se devo essere onesta, non penso che lo rifarò mai più. Sono stata abbastanza tormentata dall’ansia. In passato ho avuto un’embolia polmonare per cui ogni volta che devo salire su un aereo penso sempre a fare attenzione a non farmi venire coaguli nel sangue. Durante la prima settimana di lavorazione me ne stavo seduta lì e pensavo: “oddio, è come dover attraversare ogni giorno il Paese in volo”. Bisogna stare molto ferma, in più indossavo calze a compressione. Il primo giorno sono venuti a prendermi alle tre e mezza del mattino. Allora mi sono detta: “Come posso trasformare questa faccenda in qualcosa di positivo? Guardando Tammy Faye per almeno quattro ore ogni mattina. Andrew (Garfield, che interpreta Jim Bakker, nda) era lì e condividevamo le clip delle scene che avremmo girato quel giorno. L’ho guardata, ascoltata, avevo un audio con solo la sua voce e quando chiudevo gli occhi per le ciglia posticce e il trucco, mentre tutti mi pitturavano il viso, ascoltavo e ripetevo dopo di lei. È stata la più lunga pista di decollo, ogni giorno prima di arrivare in volo, ossia a recitare, mi ero fatta quattro ore di decollo. Mi ha aiutata molto una volta sul set, anche se al primo test con tutte le protesi addosso, è stato davvero troppo, ho avuto una specie di attacco di panico. Quando inizi a dire oh dio, oh dio, oh dio è terribile, è il momento in cui di solito inizi a sudare e il cuore batte all’impazzata e tutta quella roba addosso non fa che peggiorare la cosa perché la pelle non può respirare e tu nemmeno ti puoi togliere tutto perché potresti strapparti la pelle.
"Ogni ruolo cinematografico mi attrae quando sento che potrei riuscire ad immettere nel mondo qualcosa di positivo"
LOI: Hai cantato tu in tutto il film?
JC: Sì! Ed ecco un’altra sfida. Ero molto spaventata, perché insomma avevo cantato al college, ma mai niente come attrice cantante, mai fatto cabaret o roba simile. E Tammy Faye era una cantante intrepida, proprio come la sua moda e il suo modo di amare – era una cantante straordinaria. Cantava ad alta voce, cantava a Gesù! Ed è tutta un’altra faccenda. Quando sono andata in fase di pre-registrazione con Dave Cobb (che ha prodotto la musica per “È nata una stella”), ero emozionata all’idea di lavorare con lui, ero terrorizzata. Mi sono presentata con una bottiglia di whiskey e ho bevuto whiskey per due giorni, mentre cantavo. Dave, e questo la dice lunga sul tipo di produttore, è stato così smart che ha alzato le note in una chiave più alta il secondo giorno. Ha detto: “Rifacciamo tutto dal primo giorno”. Cosa? E mi ha risposto: “Canti come se ti venisse facile. Quando lei canta è a 10, a 12, è oltre. Dobbiamo portarti al punto in cui hai paura di non riuscire a raggiungere quelle note. Ho bisogno di ogni grammo di energia da te per queste canzoni”. Ecco come siamo arrivati a quello che c’è nel film. Mi sentite spingere per ogni canzone.
LO: È magnifico che tu sia il volto del numero del centenario de L’OFFICIEL, perché con questo ruolo copri almeno una cinquantina d’anni di tendenze moda. Qual è il tuo look preferito di Tammy?
JC: Quella che davvero ho amato, perché era così assurdo, era il cappotto di pelliccia bianca con il cappello bianco, naturalmente pelliccia finta. Lo spunto arriva da una sua foto che ho portato al nostro costumista Mitchell Travers, dicendo: “Mitch, ti prego, dobbiamo ricreare quel look!”. Amo anche la sua versione anni ‘90, la giacca rossa con la fodera leopardata - è notorio che dicesse di avere due colori preferiti, il rosa e il leopardo. È un modo per renderle onore.
Scorri verso il basso per scoprire tutta l'intervista all'attrice internazionale Jessica Chastain
LO: È bello quando un personaggio si gode la moda che non viene solo dipinta come un difetto o una pura vanità.
JC: Infatti! E poi, cosa c’è di male? Io ce l’ho con chi critica le donne perché hanno mille scarpe o troppi vestiti. Se una vuole apparire favolosa, lasciamo che lo sia. Lasciamo che si esprima in qualunque modo. Se qualcuna vuole mettersi un chilo di trucco, lasciamoglielo fare, così come se vuole portare una parrucca. Amo la moda e il glam come una forma di self-expression.
LO: Sei appena rientrata da Cannes, ovvero il non plus ultra dei momenti glamorous da tappeto rosso. È un aspetto che ti diverte sempre o è solo parte del tuo lavoro?
JC: Sempre. Mia madre e mia nonna erano sempre così glamorous. È un qualcosa che mi ha sempre divertita e che mai mi sarei potuta permettere finché non sono entrata nel settore. Mio marito mi prende in giro perché ho scelto una carriera dove c’è molta gente intorno, ma se c’è molto baccano, se c’è molta energia, a volte devo starmene tranquilla e sedermi in una stanza appartata per un po’. Sono un tipo molto aperto e molto chiuso. Se mi vesto in giallo, è perché lo sento, sento l’energia di ciò che sto indossando. Se sono in total white e ho i capelli intrecciati, se porto una minigonna, o qualunque altra cosa, è perché sento che in qualche modo ha un effetto su di me. Mi diverto proprio a infilarmi in un abito da sera e farmi il red carpet di Cannes. Non so come spiegarlo, ma ogni outfit che ho avuto l’opportunità di indossare mi fa sentire un diverso tipo di donna.
LO: C’è qualche stile in particolare che ti attrae? Il tuo è un look molto classico, mi sembra che in ogni articolo che ho letto su di te, tu parli di Botticelli come fonte di ispirazione.
JC: Lo amo davvero. Amo la storia della moda, amo indossare un corsetto, amo tutti quei look che sanno di classico. Non sono un fuscello e non mi alleno di continuo, lo faccio ma non ne vado matta e mi va bene così. Sono contenta di mostrare che il mio corpo ha delle curve, quella è una cosa che mi attrae, ma a volte mi piace anche l’androginia. L’unica cosa che proprio non mi garba è il grandma chic.
LO: Come ti sei relazionata con “Scene da un matrimonio” nel 2021? Hai rivisitato la pellicola originale di Bergman oppure ne hai preso le distanze?
JC: Oscar (Isaac) ed io abbiamo rivisitato il tutto. Era importante guardarlo ma anche liberarsene, perché credo che in molti potrebbero chiederci il motivo del remake di un film di Bergman. E poi Liv Ullmann è una delle più grandi attrici di sempre e non lo dico solo per aver visto tutti i suoi film: ho lavorato con lei quando mi ha diretta (in “Miss Julie”, 2014, ndr), so chi è e la sua grandezza. Non c’è nulla che io possa fare meglio di quanto non abbia già fatto lei prima. Per me la libertà di non fare un remake arriva dallo scambio di genere. Scene da un matrimonio degli anni ’70 è incredibile per come tratteggia i matrimoni dell’epoca: questa è la femminilità e questa la mascolinità. Noi oggi lo prendiamo in mano e, pensiamo, cosa possiamo dire del matrimonio oggi? Cosa è femminile, cosa è maschile; cosa significa essere una madre e cosa un padre e quali sono le aspettative rispetto ai ruoli che dobbiamo interpretare. Io amo l’originale, Oscar ed io l’abbiamo studiato badando ai temi più importanti e non alla performance. Io interpreto un personaggio completamente diverso rispetto a Liv Ullman, non solo per la scansione temporale, ma perché il mio è un ruolo diverso, quello del marito. Ci siamo concentrati, ma anche lasciati andare.
Scorri verso il basso per scoprire tutta l'intervista all'attrice internazionale Jessica Chastain
"Tutte le donne sono carne e sangue, hanno desideri e sono complicate come gli uomini"
LO: Questa volta era importante che fosse la donna a guidare l’azione, lasciando il marito per un uomo più giovane, anziché essere quella abbandonata con il bambino.
JC: Sono cose che capitano! Sono sempre accadute! E in realtà sono centinaia di anni che accadono. Ecco cos’è “Casa di bambola” (il testo teatrale di Henrik Ibsen del 1879, ndt) una riflessione sull’infedeltà, solo che Nora lascia la sua famiglia. È un’opera antica ed è tempo che iniziamo a dire, bene, le donne sono carne e sangue, hanno desideri e sono complicate proprio come gli uomini. Gli uomini sono stati complicati, a volte si sono comportati male o sono stati egoisti e a volte le donne si comportano male e sono egoiste. Credo che quello che dobbiamo capire è che le donne sono esseri umani.
LO: In uno dei tuoi film del prossimo anno, “The 355”, le donne diventano anche eroine d ’azione.
JC: “The 355” è con Penélope Cruz, Lupita Nyong’o, Fan Bingbing e Diane Kruger e siccome tutte noi attrici siamo le produttrici del film, abbiamo tirato su i soldi necessari da sole a Cannes, abbiamo venduto i diritti di distribuzione e tutte prenderemo una percentuale sulle vendite dei biglietti: è un nuovo modo di fare le cose. Ho anche appena finito di girare “The Good Nurse” con Eddie Redmayne, che è divino, e sto per iniziare le riprese di “Tammy Wynette” con Michael Shannon che interpreta George Jones. Per rispondere alla tua prima domanda, cosa mi attrae di una parte – una delle cose è vedere chi sono gli altri co-protagonisti. Andare tutti i giorni sul set e lavorare con gente del genere? Chi lo sa cosa succederà, ma per me è davvero importante.
HAIR Renato Campora
MAKEUP Tyron Machhausen
MANICURE Julie
SET DESIGN Jack Flanagan
PRODUCTION Dana Brockman, Nathalie Akiya, and Emily Ullrich
DIGITAL TECH Casanova Cabrera
PHOTO ASSISTANTS Alexei Topounov, Diego Bendezu, and Conor Monaghan
STYLIST ASSISTANT Amer Macarambon
SET ASSISTANTS Todd Knopke and Beau Bourgeois
PRODUCTION ASSISTANTS Brandon Abreau and Patrick McCarthy