A New Era: Isabelle Huppert
Interprete straordinaria di oltre cento film in cinquant’anni di carriera, ispira in egual misura registi, nuove generazioni di attrici e designer di moda. La chiave del suo successo? La curiosità.
Text by FABIA DI DRUSCO
Photography GUILHERME NABHAN
Styling PABLO PATANÉ
Con “L’ombra di Caravaggio” di Michele Placido e “Mrs Harris goes to Paris” nelle sale cinematografiche, “La Syndacaliste”, presentato a Venezia, in uscita in Francia a marzo, la ripresa di tre delle sue hit teatrali (fino a fine dicembre sarà on stage a Parigi con “Lo zoo di vetro” diretta da Ivo van Hove, a marzo a Taiwan con “Il giardino dei ciliegi”, e poi di nuovo a Parigi in aprile e maggio con “Mary said what she said”, monologo di Mary Stuart diretto da Bob Wilson), e a gennaio l’inizio della produzione di un film diretto da André Téchiné, “La révocation”, Isabelle Huppert è decisamente center stage. Una scorsa alla sua filmografia dà le vertigini: dal 1970 ad oggi ha interpretato 118 film, lavorato con il who’s who del cinema francese, da Tavernier a Chabrol, da Godard a Ozon e Patrice Chéreau, con grandi nomi internazionali, Marco Ferreri, Andrzej Wajda, Michael Haneke, David O’Russell, Wes Anderson, Paul Verhoeven, si è assunta il rischio di affidarsi anche a registi al primo film, è stata premiata due volte a Cannes, per “La pianista” di Haneke e “Violette Nozière” di Chabrol, tre a Venezia, per “Il buio nella mente” e “Un affare di donne”, entrambi diretti da Claude Chabrol, più un Leone d’Oro alla carriera, ha vinto un Golden Globe per “Elle” di Verhoeven… Con una carriera così lunga nel tempo e film così diversi l’uno dall’altro, anche se quasi sempre esigenti, e tanti ruoli audaci, meglio francamente scabrosi se lei non li dominasse con il controllo che emana, esistono tante percezioni di Isabelle Huppert. La mia deriva da “Ma mère”, film del 2004 di Christophe Honoré da un romanzo di Georges Bataille con Louis Garrel, e da “Elle”, del 2016, entrambi film dove lei è cerebrale, sensuale, provocatoria, sharp. E dall’immagine che si è costruita e ha saputo mantenere nel tempo, mai un errore, mai un cedimento, una volgarità, un tentennamento nel cercare di sembrare più giovane, o alla moda nel senso più corrente e banale del termine. La sua silhouette è rimasta sottile, in grado di imporsi nonostante una struttura minuta, e un’altezza ben al di sotto della media. I colori, la pelle bianchissima, i capelli rossi, la predilizione per il total black, sono rimasti gli stessi, l’allure, sotto gli occhiali neri, identica. Huppert si appropria con la stessa nonchalance di un abito da sera Dior o Armani come di una T shirt oversize di Balenciaga. Senza zigomi gonfiati, labbra inverosimili, occhi tirati come troppe sue colleghe quasi indistinguibili l’una dall’altra.
L’Officiel Italia: Una carriera impressionante, tanti personaggi entrati nella storia del cinema... Quali sono i film che in retrospettiva ritiene più significativi?
Isabelle Huppert: Mi è impossibile dirlo, tutti i film che ho fatto sono stati estremamente personali, perchè riesco sempre a renderli tali.
LOI: Giro la domanda: i registi con cui si è creata la chimica più intensa, i ruoli che hanno definito la sua carriera?
IH: Con Claude Chabrol ho girato sette film, con Hanecke quattro, con Benoît Jacquot sei, sceglierne uno in particolare sarebbe profondamente ingiusto. E sleale. Parlando di ruoli, direi quelli di “Elle”, “La pianista” e “La merlettaia”.
LOI: Come prepara i suoi personaggi? Ha un metodo, un dettaglio su cui far leva, un trick scaramantico?
IH: Non lavoro sul personaggio, piuttosto assorbo l’intera atmosfera del film, lo script, i dialoghi.
LOI: Come sceglie i suoi film?
IH: Scelgo in base alla fiducia, alla confidenza che mi ispirano il regista e il film in generale, la trama, la sceneggiatura, il personaggio. Devi poter avere fede in un film perché se la perdi non ha senso. Ho lavorato con registi di fama internazionale, e allora lì è una questione soprattutto di sceneggiatura e dialoghi, mentre con registi meno noti o più giovani è fondamentalmente questione di quanto mi sento vicina alle altre persone coinvolte nel film. Sono fiera della totalità delle mie scelte, credo di essermi costruita un territorio cinematografico sufficientemente ampio. Il cinema non è fatto per essere gentile, ma per esplorare sentimenti e azioni che normalmente rimangono segreti, nascosti.
«Mi piace dedicarmi al teatro perché posso permettermi il lusso di lavorare con i migliori registi che ci siano, geni assoluti come Ivo Van Hove o Claude Regy».
LOI: Ha lavorato anche con molti registi italiani, da Bolognini (“La storia vera della signora delle camelie”) a Marco Ferreri (“La storia di Piera”), dai fratelli Taviani (“Le affinità elettive”) a Bellocchio (“La bella addormentata”)
IH: Mi piace molto lavorare in Italia, secondo me da voi c’è una dedizione all’estetica tutta particolare, a tutti i livelli della produzione.
LOI: Cosa l’ha spinta a diventare attrice?
IH: Quasi non ricordo perché e come lo sono diventata, ero molto giovane, è stato molto graduale. In assoluto, amo recitare perché lascia spazio al fantasticare.
LOI: E poi il successo è arrivato presto, aveva 24 anni quando ha fatto sensazione ne “La merlettaia”, 25 quando ha vinto a Cannes per “Violette Nozière”... Sua figlia (Lolita Chammah) è attrice, avete spesso lavorato insieme, l’ha spinta lei al cinema?
IH: Non ho mai davvero parlato con mia figlia del perché sia diventata attrice anche lei. Anche se almeno a livello inconscio immagino di aver influito sulla sua scelta.
LOI: Nel ’96, 25 anni dopo il suo debutto nel cinema, è salita sul palcoscenico con “Mary Stuart” di Schiller al National Theater di Londra. Da allora ha portato in scena Shakespeare, Ibsen, Tennessee Williams, Marivaux, Čechov, ma anche Yasmine Reza e “The Mother” di Florian Zeller, seconda puntata di una trilogia sulla famiglia che il regista ha iniziato a tradurre anche al cinema con “The Father” con Olivia Colman e Anthony Hopkins. Cosa la affascina nel teatro?
IH: Mi piace dedicarmi al teatro perché posso permettermi il lusso di lavorare coi migliori registi che ci siano, dei geni assoluti come Ivo van Hove o Claude Regy.
LOI: Per molte attrici, penso ad esempio a Jessica Chastain, lei rappresenta un modello. Chi le piace in particolare tra le sue colleghe?
IH: Da attrice provo un piacere davvero speciale, un autentico thrill a guardare le altre attrici recitare, a coglierne le sfumature di interpretazione.
LOI: Ha mai pensato di darsi alla regia?
IH: In certi momenti sì, e non escludo che prima o poi possa succedere. Finora non ne ho mai avuto il tempo, ci vogliono un’energia, una pazienza e un coraggio incredibili. Se penso al livello di coinvolgimento personale che metto nel personaggio del film di un altro, quando sono assolutamente convinta che comunque il film è prima di tutto il film del regista, so che se dovessi fare un film pretenderei di controllare qualsiasi dettaglio e farlo mio.
«Sono fiera della totalità delle mie scelte, credo di essermi costruita un territorio cinematografico sufficientemente ampio. Il cinema non è fatto per essere gentile, ma per esplorare sentimenti e azioni che normalmente rimangono segreti, nascosti».
LOI: Come si descriverebbe?
IH: Sono una persona curiosa, quando arrivo in un posto che non conosco la prima cosa che faccio è aprire tutte le porte. Sono un’entusiasta, che poi è la stessa cosa, ho la passione dello scoprire cose nuove.
LOI: Un’istituzione dell’hotellerie parigina come il Lutetia le ha chiesto di immaginare una suite, ritenendola l’incarnazione stessa dello spirito Rive Gauche. Per molti stilisti lei è un’icona di riferimento, Demna Gvasalia e Gherardo Felloni di Roger Vivier l’hanno voluta nelle loro campagne, Charles de Vilmorin l’ha proclamata la sua musa su Vogue francese... Il suo stile è estremamente definito, Isabelle Huppert in questo senso è quasi un brand riconoscibile. Che rapporto ha con la moda?
IH: Amo la moda, è superficiale naturalmente, ma mi procura un autentico piacere.
LOI: Esiste anche un’edizione limitata con il suo nome di Fracas, fragranza di culto di Piguet creata nel 1948 da Germaine Cellier. È ancora il suo profumo signature?
IH: Si, in generale mi piacciono i profumi di nicchia, amo molto anche quelli di Frédéric Malle, ad esempio.
LOI: Lei vive a Parigi. Cosa ama della città?
IH: Non guido, non ho mai avuto la patente e quindi cammino molto e Parigi è perfetta per questo, ovunque vada vedo angoli meravigliosi che continuano a stupirmi, ma in generale è difficile che non trovi cose belle anche in altre città. Le città in generale mi affascinano molto.
LOI: C’è un regista, un ruolo, una storia che rappresenta il suo sogno nel cassetto?
IH: Non ho sogni nel cassetto, non sono fatta così, il cinema è concreto come la cucina, è fatto di ingredienti.
LOI: Come Juliette Binoche, Marion Cotillard, Isabelle Adjani e altre attrici francesi, si è tagliata una ciocca di capelli in un video per supportare la protesta delle donne iraniane dopo l’assassinio di Masha Amini. È intervenuta su altre cause?
IH: Non mi considero un’attivista, richiede molto coraggio, ma certamente come cittadina del mondo mi è sembrato logico, con quello che sta succedendo in Iran, prendere posizione per difendere la libertà delle donne di quel Paese.
LOI: Non conoscevo la storia (vera) di Maureen Kearney, che lei interpreta ne “La syndicaliste” di Jean-Paul Salome…
IH: Amo molto il titolo in inglese, “The Sitting Duck” (bersaglio facile), perché sintetizza bene la storia di una donna che combatte un’elite finanziaria e politica cui non appartiene... Ho incontrata la Kearney perché è venuta più volte sul set. Nel 2012 lei era nel sindacato dei lavoratori dell’Areva, un’azienda produttrice di energia nucleare che stava per essere assorbita dal partner cinese, quindi la sua lotta era per salvare 50mila posti di lavoro francesi. A un certo punto fu ritrovata legata a una sedia di casa sua con una A incisa nello stomaco e un coltello con il manico piantato nella vagina. Lei denunciò alla polizia il suo rapimento ma non venne creduta e anzi fu accusata di averlo organizzato lei stessa (al punto da essere condannata a un’ammenda e al carcere, sentenza poi ribaltata in appello nel ’18, nda). Al di là della storia che merita di essere raccontata, non mi sarebbe interessato partecipare a un documentario: ho scelto di prendere parte al film perché per le scelte del regista è estremamente affascinante di per sé.
HAIR: Rudy Martins @ THE WALL GROUP
MAKE UP: Morgane Martini @ THE WALL GROUP
NAILS: Julie Villanova @ ARTLIST
SET DESIGN: Clément Pelisson
PRODUCTION: Serena Bonnefoy@ B AGENCY
PHOTO ASSISTANT: Matheus Agudelo
HAIR ASSISTANT: Lukas Laloue
SET DESIGN ASSISTANT: Maud Guyon
POST-PRODUCTION: Rumeurs, Flavia Cardoso Lefebvre, Gaëlle Bijani e Laura Alday
RETOUCH: Angelica Marinacci
STYLIST ASSISTANTS: Chloé Sauge-Gautier e Adrien Bedoucha