Fashion

Il senso di gioia di Issey Miyake

La prima collezione di Satoshi Kondo come direttore creativo di Issey Miyake è un inno alla gioia. Colori bold, forme fluide ed easy to wear: un impiego creativo della tradizionale craftmanship giapponese
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La progettualità di Issey Miyake è sempre stata legata al mondo del design. Una moda la sua, lontana dalla logica delle tendenze di stagione, che è sempre stata, invece, uno studio più approfondito sulla forma, sulla funzione, sul “Ma”, il concetto filosofico (ed estetico) giapponese che considera il vuoto come uno spazio tra due elementi. Nel caso di Miyake, quello spazio è rap- presentato da ciò che vi è tra il corpo e il vestito che si indossa. Alle origini dell’abito c’è il semplice atto di coprirsi con un ritaglio di tessuto, ma anche un’inclinazione a decorarsi, a esprimersi. «Quando ci vestiamo proviamo un senso di felicità primitivo, istintivo», esordisce Satoshi Kondo, che ha debuttato come direttore creativo di Issey Miyake lo scorso settembre a Parigi. Nato a Kyoto trentacinque anni fa, figlio di un’insegnante di cucito, è entrato da Issey Miyake nel 2007, dopo la laurea in fashion design all’Ueda College di Osaka. Ha iniziato a lavorare nel team di Pleats Please Issey Miyake, di cui è poi diventato brand designer. 

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Quattro anni fa è stato nominato designer della linea Homme Plissé Issey Miyake. E lo stesso anno è stato coinvolto nel progetto della linea Ikko Tanaka Issey Miyake, che ha visto la creazione di una collezione con stampe del celebre graphic designer. Nel 2017 è entrato a far parte anche del Miyake Design Studio. Per la S/S 2020 è partito dalla dicotomia tradizione-innovazione tipica del brand, portando in scena, nello spazio artistico-culturale Le Centquatre-Paris, uno show immaginifico dove gli abiti piombavano letteralmente dall’alto, fluttuando, con le sommità che aderivano perfettamente attorno a un cerchio, che come per magia, calato su ciascuna modella, la vestiva senza alcuno sforzo, intitolato “A sense of Joy”.

Qual è stata l'idea di partenza della collezione?
Sono partito dal concetto di nudità, fisica e mentale, necessaria proprio perché si inneschi il bisogno di abbigliarsi. Il design della maggior parte dei look della S/S 2020 è molto semplice e durante lo show è stato come se i tessuti danzassero sui corpi delle modelle. Via via che la sfilata proseguiva, gli abiti sono diventati più complessi e la complessità è stata ricreata attraverso l’aggiunta di strati di tessuto e di colore.

“A sense of joy”, il titolo della collezione, è un’espressione di puro ottimismo... Perché ha scelto di intitolare così il primo capitolo del suo percorso creativo?
Sono convinto che ci sia il bisogno di mantenere un senso di gioia in quello che facciamo. Ci dimentichiamo spesso del potere dei vestiti, che è proprio questo: infondere un senso di allegria alle persone. Di regalare un poʼ di felicità. E solo con uno spirito positivo è possibile abbracciare il futuro e tutto quello che ci aspetta.

Alcuni dei cappelli indossati dalle modelle durante la sfilata ricordavano i copricapi cerimoniali delle comunità rurali giapponesi. Qual è stato il motivo di questa scelta?
I cappelli facevano parte della scenografia. Per crearli ho utilizzato il washi, un tipo di carta giapponese, certificata e protetta dall’Unesco e l’ho modellata affinché prendesse la forma di un copricapo, senza bisogno di cuciture. Mi è bastato un pezzo rettangolare di carta che ha preso le sembianze di una cupola. I tessuti e il design erano volutamente semplici per dare l’impressione di un corpo avvolto in un pezzo di stoffa e il design dei capelli seguiva la stessa regola. Tradizionalmente i capelli utilizzati dalle comunità rurali a cui ci siamo ispirati venivano realizzati in bambù.

La cultura del tuo paese come influenza il tuo lavoro di designer?
Non è mia intenzione creare qualcosa di giapponese, ma ci tengo a lavorare con aziende locali. La tradizione e il suo rispetto fa parte della vita in generale ed è impossibile immaginare di costruire un futuro senza le fondamenta del passato. Per me è importante ispirarmi a qualcosa che esiste, con l’intenzione di innovarlo e di renderlo moderno.

Lo show è stato concepito come una coreografia da Daniel Ezralow, non solo con modelle danzanti, ma anche sugli skateboard, come a porre l’accento sull’aerodinamicità e il movimento...
Sono partito dall’idea di libertà che dovrebbero provare le persone indossando un vestito. Volevo che lo show fosse colorato e inclusivo e con Daniel Ezralow ho lavorato proprio su questo concetto mostrandogli alcuni schizzi che rappresentavano quello che avevo in mente.

Minimal, creativo e... Cosa aggiungeresti se dovessi descrivere Issey Miyake?
Direi giocoso. Una parola che si riferisce al processo di design che sta dietro a una collezione. Mi piace pensare che l’ambiente in cui lavoro e il modo in cui interagisco con il mio team sia “playful”.

Issey Miyake è stato uno dei primissimi designer a ragionare in termini di sostenibilità immaginando “A Piece of Clothˮ, un processo di produzione che utilizza interi tubolari di stoffa che vengono tagliati senza sprecare neanche un centimetro di tessuto. Qual è il tuo approccio alla sostenibilità?
Creare degli abiti che possono durare nel tempo. E focalizzarmi sulla longevità di un capo.

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