Dsquared2: happy 25th birthday!
Dopo i successi da festeggiare i gemelli Dean e Dan Caten ne hanno tanti. Venticinque anni di Dsquared2 quest’anno, venticinque anni di moda, di creatività e di famiglia. Un importante anniversario festeggiato il 10 gennaio a Milano, inaugurando la settimana della moda maschile, facendo sfilare look di repertorio e immagini evocative di un passato (e un presente) glorioso, incluse quelle dell’indimenticabile “Airplane show” aperto da Naomi Campbell per la Fall 2003. Ad accompagnarli, sul catwalk, con tutta la loro energia, la colonna sonora “We are family” delle Sisters Sledge. «Non è la moda il motivo per cui facciamo questo mestiere, ma è il bisogno di trasmettere qualcosa. Avevamo i nostri sogni e grazie a Dio ce l’abbiamo fatta. E siamo ancora qui per raccontarlo». Sogni che iniziano a realizzarsi nel 1995, quando debuttano con la collezione uomo; l’anno successivo è quello di “Homesick Canada” (F/W 96-97), un tripudio di ragazzi in slip con addosso solo delle giacche da boscaiolo, la loro prima col- lezione a salire sulle passerelle. Machismo allo stato puro e nostalgia. Qualche anno dopo, siamo nel 2000, vestono Madonna per il suo videoclip “Don’t Tell Me”, realizzato da Jean-Baptiste Mondino. Nel 2003, forti del consenso anche del pubblico femminile, decidono di dedicare una linea alla donna. Seguiranno le fragranze, gli accessori, il bambino e Ceresio 7, il ristorante-bar (oggi anche gym e Spa) con piscina sul tetto della loro sede. Facciamo un ulteriore passo indietro, ripercorriamo la storia dei gemelli Caten. Dopo un breve corso estivo alla Parsons School of Design di New York, i designer di Toronto cominciano da Ports International in Canada. Decidono poi di stabilirsi in Italia, Paese d’origine del padre, Dante Catenacci, un'artista originario di Casalvieri, cittadina laziale in provincia di Frosinone. «Nostra madre è inglese, il papà italiano; entrambi emigrati in Nord America per realizzare i loro sogni. Noi siamo venuti in Italia per lo stesso motivo. Ci siamo imbattuti nell’artigianato, nella cultura del cibo, nel calore della gente, nell’energia e nella gioia per la vita che tutto il mondo riconosce a questo meraviglioso Paese», raccontano. «Se vuoi diventare un designer di fama internazionale, vai a Milano o a Parigi, se vuoi perseguire la carriera da attore vai a Los Angeles, non rimani di certo in Ontario», continuano. «Non siamo voluti neppure andare a New York. Non volevamo avere la possibilità di tornare indietro troppo facilmente se non ce l’avessimo fatta. “The less you have, the more you make of it”». Ultimi di 9 figli, hanno lottato da sempre per affermarsi e per rimanere uniti. Della loro tribù “creativa” custodiscono solo dei bei ricordi, «in fondo condividevamo tutti quanti una certa vena artistica, le nostre sorelle erano delle disco queens, alcuni fratelli dei veri e propri rockettari, altri degli hippies... ». Un immaginario che ha influenzato il lavoro del duo, che in passerella ha reso omaggio allo stile da rockstar, all’America del Nord con i suoi cowboy, al freddo degli inverni Canadesi, con i parka abbinati ai tacchi alti e al denim a vita bassa: un mix di sensualità, gioco e ricordi d’infanzia. «Da bambini nostro padre ci impediva di indossare i jeans, che considerava un abbigliamento da poveri e noi non potevamo proprio permetterci di sembrare più poveri di quanto già fossimo». Ed è curioso pensare che sarà proprio il jeans il core business di Dsquared2. «Siamo nati combattenti. Pionieri nel portare in passerella “real clothes”, abiti veri che la gente indossa per strada. Avevamo 19 anni quando abbiamo iniziato e ci vestivamo così. Credo che ci abbiano amato per questo». Nel (raro) tempo libero a Dean piace cucinare. «Persino Elio Sironi, chef del Ceresio 7 è rimasto impressionato dal mio inimitabile ragù. Il segreto: il burro, segnatelo!». I due fratelli sono simbiotici, «una volta ci hanno descritto come un uccello: sono io a spiegare le ali, ma non potrei atterrare senza le zampe e l’equilibrio di Dan. Non possiamo fare a meno l’uno dell’altro. Ho sempre trovato che questa fosse una metafora perfetta».