Centenario Art Déco 1925-2025: storia, mostre e influenze contemporanee nella moda
Il centenario della grande Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels modernes parigina del 1925 è l'occasione per riscoprire uno stile che non ha mai smesso di affascinare collezionisti, designer e creativi.
Sono passati 100 anni dalla grande esposizione parigina del 1925, visitata da oltre 16 milioni di spettatori, che sanciva il trionfo di un'estetica che avrebbe rivoluzionato tutti gli aspetti della vita moderna, dall'arredamento ai trasporti, dalla moda all'architettura, rendendo irrimediabilmente demodé tutto quello che c'era stato prima. Lo stile della Jazz Age e degli Anni Folli, delle Bugatti e delle Hispano Suiza, della Revue Nègre di Josephine Baker e delle feste alla Grande Gatsby (il libro di Francis Scott Fitzgerald esce proprio nel 1925), delle stampe di Georges Barbier, delle flapper coperte di piume, perle e baguettes, del charleston e del Chrysler Building progettato da William Van Alen e inaugurato nel 1930, di Paul Poiret e di Jeanne Lanvin, di Jeanne Paquin, Louise Chéruit, Callot Soeurs e Madeleine Vionnet, dei mobili sinuosi di Ruhlmann, dei vasi di Lalique, dell'orientalismo e di "Metropolis" di Fritz Lang.
L'era delle canzoni di Cole Porter e Irving Berlin, del Rockefeller Center inaugurato nel 1932 e del Waldorf Astoria, delle mises sfarzose delle case di moda fondate dalle aristocratiche russe fuggite dalla rivoluzione, come Maison Irfé di Felix e Irina Yusupov o Maison Kitmir, del laboratorio di ricamo della granduchessa Maria Pavlovna che collabora con Coco Chanel, dello Ziegfeld Theatre e delle feste a El Morocco, delle estati in Costa Azzurra lanciate da Gerald e Sara Murphy che ospitano a Villa America, a Cap d'Antibes, Zelda e Scott Fitzgerald, Hemingway e Dos Passos, Picasso e Cocteau, Coco Chanel e Dorothy Parker...
Il Mad di Parigi dedica all'Art Deco tre mostre, "Ruhlmann décorateur" (fino all'1 giugno), "Paul Poiret. La mode est une fête" (dal 25 giugno all'11 gennaio 1926), curata da Marie-Sophie Carron de la Carrière, e "1925-2025. Cent ans d'Art Deco" (dal 21 ottobre al 29 marzo 2026). Grande protagonista dell'Esposizione del 1925, Jacques-Emile Ruhlmann, autore di mobili straordinari (di cui Yves Saint Laurent era appassionato collezionista) coordina una cinquantina di artisti, da Jean Lambert-Rucki a Jean Dunand, per dar vita all'Hôtel du Collectionneur, sublime showcase del meglio che il nuovo stile poteva offrire in tutti gli aspetti del lifestyle. La mostra del Mad è focalizzata però sulla sua attività di disegnatore di motivi per tessuti e carte da parati, fondamentali, nella sua visione, per creare un'armonia totale negli ambienti. La mostra su Poiret (a quasi 20 anni da quella del Met del 2007, dedicata a "The King of Fashion" e curata da Harold Koda e Andrew Bolton) mette in scena un creatore straordinario, larger than life, formatosi da Doucet e Worth e diventato celebre abbigliando una delle attrici superstar dell'epoca, Réjane.
È Poiret che fa abbandonare alle donne il corsetto per rivestirle con abiti in stile Direttorio, opera coat ispirati al kimono, pantaloni harem, silhouettes "Minaret" e "Abat-jour" e colori Fauves derivati dai costumi di Leon Bakst per i Ballets Russes di
Amico di Derain, Picabia, Vlaminck, Van Dongen, colleziona le loro opere come quelle di Matisse, Brancusi, Picasso, Modigliani, mentre chiama Raoul Dufy a collaborare a La petite usine dove si stampano i suoi sontuosi tessuti. Affida la pubblicità dei suoi modelli ad illustrator d’eccezione, vedi due cataloghi squisiti, “Les robes de Paul Poiret racontées par Paul Iribe” e “Les choses de Paul Poiret vues par Georges Lepape”, e cofonda “La Gazette du Bon Ton”, mentre Man Ray, Steichen, Adolf de Meyer ne catturano le creazioni sulle pagine delle riviste. Poiret Le Magnifique, come è conosciuto nel Tout-Paris, è il primo ad ampliare i confini della moda al lifestyle, sull’esempio della Wiener Werkstatte, aprendo nel 1911 (il riferimento è ai nomi delle figlie) “Les Parfums de Rosine” e “Les Ateliers Martine”, che producono mobili e vantano una clientela che va da Isadora Duncan a Kees Van Dongen fino al salone di bellezza di Helena Rubinstein. Les Parfums de Rosine, creati da Henri Alméras, che sarà il naso di Joy di Patou, spaziano tra japonisme, chinoiseries e le mille e una notte, più che mai in voga dopo il successo del balletto “Sherazade” di Diaghilev.
Audaci nella formulazione (Poiret si vanta di essere il primo ad avere usato anche le foglie di alcuni fiori) sono racchiusi in flaconi immaginifici coerenti alle espressioni delle avanguardie artistiche, e vengono collezionati come veri e propri objets d’art. E sebbene Poiret abbia aperto la sua casa di mode nel 1903, all’esposizione universale del’1925 le sue tre barche attraccate sulla Senna, a tema “Amours”, “Delices” e “Orgues”, sono ammiratissime. La mostra di ottobre del Mad sarà incentrata sulla riapertura delle collezioni permanenti del museo, tra cui appunto quella Art Déco, frutto di donazioni di Jeanne Lanvin, Jacques Doucet e Hélène de Rothschild, un’occasione per scoprire i capolavori di Armand Rateau, Pierre Chareau, André Groult, Paul Iribe, Eileen Grey e Robert Mallet-Stevens.
Contemporaneamente (dal 24 ottobre al 29 marzo 2026) la Citè de l’architecture et du patrimoine racconta “Paris 1925: L’Art Déco et ses architectes”, illustrando le opere progettate per l’evento da Le Corbusier, Auguste Perret, Henri Sauvage e Robert Mallet-Stevens e ricostruendo in maquette i padiglioni dell’epoca, dislocati tra il Grand Palais, il Petit Palais e Les Invalides. A Bruxelles Villa Empain, splendido esempio di Art Déco progettata da Michel Polak e sede della Boghossian Foundation, si fa showcase fino al 2 novembre di “Echoes of Art Déco”, con un’esperienza immersiva nello stile di vita dei Roaring Twenties, all’interno di un programma creato in sinergia con le altre istituzioni della città simbolo di questo stile, il Van Buuren Museum & Gardens, la Autrique House, e lo Horta Museum, aperto in quello che era lo studio dell’autore del Padiglione Belga all’esposizione del 1925. Il Museum of Fine Arts di Houston celebra (fino al 26 maggio) Tamara de Lempicka, la pittrice socialite il cui strepitoso autoritratto, “Tamara in a Green Bugatti” del 1929, è una delle opere più rappresentative di un’epoca che considerava la velocità e l’emancipazione femminile tra i segni identitari del tempo. A Milano, Palazzo Reale propone circa 250 manufatti nella mostra “Art Déco. Il trionfo della modernità”, a cura di Valerio Terraroli (fino al 29 giugno). L’occasione per scoprire oggetti squisiti, tra dipinti, ceramiche, vasi, abiti, statuette, stampe, sequenze di film, che rivelano un immaginario diffuso dalle Biennali Internazionali del 1923, ’25, ’27 e ’30 che si tenevano alla Villa Reale di Monza.
Oggetti di una estrema eleganza formale, dalle silhouette animali di Sirio Tofanari ai vasi in vetro di Murano di Carlo Scarpa e Ercole Barovier, dalle scarpe di André Perugia al ritratto di Wally Toscanini eseguito da Alberto Martini, fino alle ceramiche di Gio Ponti per Ginori 1735, come il grande orcio in maiolica policroma “La casa degli efebi”, premiato con il Grand Prix a Parigi nel 1925, o il “Centrotavola per le Ambasciate” del 1927 creato insieme a Tomaso Buzzi (un corteo di 47 pezzi tra tritoni, cavalli marini, putti ed elementi architettonici, con al centro la personificazione dell’Italia seduta su una conchiglia), come le creazioni di Paolo Venini, Galileo Chini, dell’artista del vetro Vittorio Zecchin, dell’ebanista Ettore Zaccari, dell’orafo Alfredo Ravasco.
Il centenario è anche l’occasione per molte delle maison protagoniste dell’esibizione del 1925 di riproporre creazioni straordinarie del periodo. Lo fa Van Cleef & Arpels (il cui bracciale “Fleurs enlacées, roses rouges et blanches” aveva vinto il Grand Prix) con una mostra, “Timeless Art Deco with Van Cleef & Arpels High Jewelry”, al Tokyo Metropolitan Teien Art Museum (dal 27 settembre al 18 gennaio 2026). Lo fa Guerlain, con un’esibizione nella boutique degli Champs Elysées e un’edizione speciale di Shalimar, il cui flacone originale in cristallo Baccarat, disegnato da Raymond Guerlain e ispirato alle vasche dei giardini eponimi di Lahore, chiuso da un tappo blu a forma di ventaglio, aveva vinto il Grand Prix proprio all’esposizione del’1925. Tra i 350 gioielli della mostra “Cartier” al Victoria & Albert di Londra (dal 12 aprile al 16 novembre) spiccano pezzi d’eccezione legati all’Art Déco, dalla collana cerimoniale del Maharaja di Patiala del 1928 al bandeau a motivo "Tutti Frutti" del 1928, appartenuto a Edwina Mountbatten, l’ultima viceregina dell’India, dalla tiara in platino e diamanti del 1934 ispirata all’antico Egitto e indossata dalla Begum Aga Khan fino a un ornamento per capelli in onice, platino e diamanti a forma di orchidea esposto dalla Maison nel 1925 nel Padiglione dell'eleganza.
Se un anno di celebrazioni dell'Art Déco si ripercuoterà inevitabilmente su tutti i settori del lifestyle, lo stile è comunque sempre rimasto un punto di riferimento. In cosmetica marchi come Oribe e Patyka utilizzano grafiche dichiaratamente Art Déco (e nel caso di Oribe si ispirano all’Art Déco anche le eleganti forme dei flaconi), in Corea è stato lanciato il brand cosmetico Poiret, che dichiara di rifarsi all’heritage della Couture, Penhaligon’s riveste le fragranze Sports Car Club e The Dandy con etichette Art Déco, Diaghilev di Roja Dove è un cult per gli appassionati di fragranze chypre, e Arpège di Lanvin, lanciato nel 1927, nel flacone nero con la couturière e la figlia bambina tracciate da Paul Iribe, ha un seguito di appassionate di fragranze vintage. Ed è totalmente Art Déco l’estetica raffinatissima dei packaging del maquillage e dei flaconi di profumo dell’inimitabile Serge Lutens.
L’Art Deco influenza anche la moda. Lungo tutta la sua carriera Giorgio Armani si è ispirato all’eleganza del periodo, dai materiali, il lamè, le paillettes, le frange, i tessuti iridescenti, i ricami preziosi, i baluginii, alla palette dei colori, tra evanescenze pastello in degradé e uso magistrale del nero. Riferimenti flapper erano ricorrenti negli abiti in chiffon ricamati di paillettes dei tempi d’oro di Alberta Ferretti ed erano un classico anche nella collezione Anna Molinari disegnata da Rossella Tarabini, la figlia della stilista di Blumarine. L’ultima collezione di Kim Jones per la S/S 25 di Fendi è un esplicito omaggio al periodo, coi suoi abiti trasparenti di chiffon dai ricami geometrici di baguettes, e un’affinità con lo stile si coglie anche in alcune uscite della S/S 25 di Miu Miu. Del resto la sensibilità particolare di Miuccia Prada per l’Art Déco era già nota dalla sua collaborazione con Catherine Martin (la costume designer moglie di Baz Luhrmann) alla realizzazione degli abiti de “Il Grande Gatsby”, per cui aveva adattato quaranta dei suoi modelli d’archivio Prada e Miu Miu per evocare gli anni ’20 senza cadere nella pedanteria storica, coniugandoli con quella che la Martin definiva “la modernità viscerale” del romanzo. Un esempio? L’abito cipria coperto di cristalli indossato da Carey Mulligan nella scena del party, evoluzione degli outfit chandelier dello show Prada S/S 2010. E se Marc Jacobs aveva arredato con mobili e oggetti Art Déco la sua casa nel West Village, è John Galliano ad aver utilizzato nel modo più eclatante l’immaginario anni ‘20: nella S/S 1998 di Dior celebra la Belle Époque ma inserisce anche molti riferimenti all’Art Déco nei lunghi abiti bias cut alla Vionnet, mentre nello spettacolare show Haute Couture della stessa stagione spazia dalla marchesa Casati a Klimt, da Silvana Mangano in “Morte a Venzia” di Visconti nei magnifici costumi di Piero Tosi alle donne di Boldini, dagli opera coat di Paul Poiret alla ripresa quasi letterale del suo modello “Sorbet” e della sua rosa/logo disegnata da Paul Iribe, fino all’abito panier alla Jeanne Lanvin del gran finale.