"DEAR THOM BROWNE ..." l'intervista e i suoi 20 anni di moda
In occasione del ventesimo anniversario del marchio, lo stilista americano Thom Browne ripercorre la sua carriera, racconta il debutto nella couture e il suo primo libro monografico.
È riconosciuto per aver modernizzato l’uniforme professionale di oggi: l’abito sartoriale. Fit impeccabile, revers stretti, camicia, cravatta precisa, pantaloni leggermente accorciati che svelano le caviglie, blazer ispirato al preppy americano e quei distintivi che fanno la differenza: l’etichetta quadrata in vista, le four bars posizionate sulle maniche o il gros grain con i colori del marchio, blu, bianco e rosso. Originario della Pennsylvania, Thom Browne muove i primi passi come addetto alla vendita nello showroom di Giorgio Armani a New York, ma il primo a notare il suo (grande) potenziale è Ralph Lauren, che gli offre una posizione nella divisione design e merchandising. Nel 2001 avvia la propria attività in un piccolo negozio nel West Village proponendo solo cinque completi. Nel 2003 presenta la sua prima collezione e dopo tre anni riceve il premio CFDA come miglior designer menswear dell’anno. La linea femminile arriva nel 2011. A luglio ha debuttato nella haute couture all’Opéra Garnier di Parigi e per festeggiare i 20 anni del brand presenta il suo primo libro monografico Thom Browne. edito Phaidon.
L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Quest’anno sono 20 anni di Thom Browne, come si è evoluto il marchio nel corso degli anni?
THOM BROWNE: Ogni collezione è un’evoluzione di quello che ho cominciato, che nel mio caso significa rimanere fedeli ad un’idea iniziale coraggiosa. Mi sono fermato a riflettere sul perché i nostri show sono così importanti, e ogni stagione il marchio ha preso una piega differente basandosi su idee classiche e studiate su misura.
LOHI: Sei stato guest editor del numero di A Magazine Curated by, questa volta hai presentato il tuo primo libro con Phaidon…
TB: Non sono sempre stato interessato a fare un libro. Tuttavia vedere il lavoro di 20 anni racchiuso all’interno di un libro è un ottimo modo per ripensare il proprio percorso. Ovviamente sapevo con chi lavorare, Andrew Bolton (nda, partner di Thom Browne e curatore del Metropolitan Museum of Art’s Costume Institute dal 2006) è una persona non solo con cui mi confronto di continuo, ma un curatore molto ambito per quanto riguarda mostre e libri inerenti al mondo della moda.
LOHI: Com’è stato lavorare insieme a lui?
TB: Davvero facile, lui è il migliore al mondo ed è capace di elevare la moda ad un livello così alto pur mantenendo tanti approcci differenti. È stato un lungo sogno e un’occasione per entrambi.
LOHI: A proposito di sogni, perché hai deciso di lanciare la couture?
TB: Devo ammettere che è stata una buona esperienza per tutti. Ho pensato di voler proporre la mia couture con la stessa attitudine del ready-to-wear. Ho riflettuto sul livello del mio tailoring e ho voluto trattenerne la sensibilità americana e il potenziale qualitativo, così ho posizionato la collezione in maniera responsabile nel mondo della haute couture. E poi c’è lo storytelling che contestualizza sempre le mie collezioni e mostra come i protagonisti si sentano in quegli abiti definendo dei caratteri ad hoc.
LOHI: Sei laureato in economia, hai iniziato a lavorare da Giorgio Armani, poi da Ralph Lauren. Che cosa ricordi degli inizi?
TB: Di aver scoperto il mio percorso. Da Armani ho imparato l’importanza del lato commerciale e invece lavorando con Lauren, che è stato lo stilista più rilevante d’America, mi sono concentrato molto sull’aspetto del design. Poi è però arrivato il momento in cui ho sentito la necessità di raccontare me stesso, ragione per cui ho presentato la mia prima collezione nel 2003. E da lì ho istintivamente capito come potevo affrontare il sistema, assicurandomi che fosse sufficiente creare un mondo in grado di autosostenersi per tutto questo tempo… e spero anche in futuro.
LOHI: Parliamo della tua idea di moda. Perché le uniformi sono così importanti nella tua visione?
TB: Per me è semplice, perchè c’è sempre un fondo di sicurezza quando qualcuno indossa un’uniforme per sé stesso. Nella sua totalità un’uniforme potrebbe spaventare, rappresenta in qualche modo qualcosa che va oltre ai capi stessi: i vestiti sono sì importanti, ma conta di più il mondo che ti circonda, come veniamo percepiti. I capi che indossiamo mostrano anche la nostra idea come individui, quando si osserva qualcuno che indossa un’uniforme si identifica una tipologia di persona e non si pensa che siano solamente abiti.
LOHI: Le tue collezioni mostrano un’enorme spettro di ispirazioni: da Baudelaire, all’arca di Noè, poi ci sono influenze punk, i ricordi della tua infanzia etc. Come metti insieme i tuoi riferimenti culturali?
TB: Dipende molto da che cosa sto vivendo o attraversando in quel preciso momento. Sono molto impegnato e molto gratificato dal mio lavoro perciò ho sempre il pensiero fisso sulla prossima collezione, e le ispirazioni arrivano improvvisamente. Solitamente sono ricettivo quando sto ascoltando qualcosa, o quando visito una nuova mostra d’arte, oppure mentre leggo un libro.
LOHI: Le sfilate sono un altro trademark di Thom Browne, al punto di risultare opere teatrali. Come hai coltivato questa passione?
TB: I primi fashion show che ho visto agli inizi del duemila, quando i couturier puntavano sulla spettacolarizzazione della moda. Ero colpito dagli show haute couture di Dior diretti da John Galliano e dalle sfilate di Christian Lacroix e sapevo di dover procedere in quella direzione. Non nascondo che c’è anche una parte di me che ama intrattenere gli spettatori con storie più o meno fantastiche ma questa è una mia personale inclinazione.
LOHI: È per questo che ad ogni sfilata porti gli spettatori in un setting differente e racconti storie imprevedibili? Quanto è importante la narrazione?
TB: Si. È fondamentale, perché il modo in cui contestualizzi la collezione e la storia ti permette di far vedere alle persone qualcosa in più oltre ai semplici vestiti.
LOHI: I tuoi schizzi geometrici rappresentano la tua idea di silhouette in modo astratto. Come sei arrivato a disegnare in questo modo?
TB: Non sono mai stato un grande fan degli sketches e dei figurini, il mio è solo un modo per buttar giù le idee su carta per poi passarle e spiegarle al mio team di designers. Spesso comincio le mie collezioni analizzando proprio le proporzioni della silhouette per questo traccio linee su carta a modo mio per rappresentarle.
LOHI: Nelle tue collezioni c’è sempre una dose di ironia, come mai senti il bisogno di rompere la rigidità dell’eleganza con questa componente?
TB: Penso che quando lavori in maniera molto seria, dalle idee iniziali alla realizzazione dei capi, devi inserire qualcosa che non renda il tutto così pesante. E poi fa parte della mia personalità, mi piace sfociare un pochino nel ridicolo e nell’umorismo, mi serve a non prendermi troppo seriamente.
"C'è una parte di me che ama intrattenere gli spettatori con storie più o meno fantastiche" Thom Browne
LOHI: Pensi che ci sia anche un lato kinky e piccante in Thom Browne?
TB: Si! Mi piace essere provocatorio in tanti modi differenti perché è un modo per tenere vivo l’interesse. Gioco principalmente con idee classiche ma è importante che io riesca a interpretarle in maniera differente per cambiare l’angolazione del punto di vista.
LOHI: Hai parlato spesso di concettuale e commerciale. Come coesistono le due cose in questo equilibrio? Ammesso che ci sia…
TB: Dev’esserci un bilanciamento, perché sono equamente importanti. Il lato concettuale di una collezione è la mia dimensione, dove tutto comincia e si sviluppa, poi c’è il lato commerciale che deve sostenere il concetto e renderlo possibile.
LOHI: C’è anche la tua passione per gli sport, evidente nelle collezioni e dalle collaborazioni con atleti di fama mondiale. Come sei entrato in questo mondo?
TB: Sono cresciuto praticando sport. Gli atleti sono ispirazionali per me, perché so quanto costa esserlo a un certo livello.
LOHI: Le star amano indossare i tuoi modelli sui red carpet. Adrien Brody, Julia Roberts, Michelle Obama, Jenna Ortega e Timothée Chalamet per citarne solo alcuni. Come riesci a interpretare la loro personalità e a tradurla con abiti made-to-measure?
TB: Alla base ci deve essere un rapporto di reciprocità. Devo essere convinto che si sentano bene negli abiti che propongo, ma anche che rimangano fedeli alla loro persona senza tradire quello che è il mio marchio. Molte di queste persone le approcciamo con il tempo e diventano nostri amici, per questo mi sento di dire che è una relazione senza sforzo.
LOHI: Dal 2023 sei diventato anche presidente del Council of Fashion Designers of America. Cosa fai nel poco tempo libero che ti rimane?
TB: Dormo. Io e Andrew siamo molto tranquilli, trascorriamo il tempo piacevolmente a casa nostra, dopotutto siamo sempre molto impegnati e circondati da splendide persone.
LOHI: Chi sono stati i tuoi insegnanti o maestri in termini di design?
TB: Non ho mai studiato moda, ho sempre cercato di reinterpretare il mio guardaroba.