Interviste

Il segreto del mago: Francesco Risso racconta l'intimo legame con l'arte di Marni

Lapproccio intriso di artisticità di Francesco Risso, direttore creativo di Marni, si arricchisce tramite un nuovo programma di art residencies, dove il brand ospiterà figure alternative e molto diverse tra loro.

Un ritratto di Francesco Risso (Courtesy of Marni)
Un ritratto di Francesco Risso (Courtesy of Marni)

C’eravamo io, Van Gogh, Duchamp e Warhol in una stanza. Potrebbe iniziare così il wildest dream di Francesco Risso in fatto di arte, un incontro impossibile con tre figure che hanno cambiato le regole del gioco e che lo affascinano da sempre. Dal 2016 direttore creativo di Marni, dopo dieci anni da Prada e prima ancora da Alessandro Dell’Acqua, Malo e Blumarine, Risso appartiene all’ormai sparuta schiera di creativi assoluti, refrattari a certe semplificazioni del marketing (senza che questo impatti sul fatturato del brand). Con l’arte ha un rapporto imprescindibile. La colleziona, la frequenta, la respira, ci interagisce con naturalezza. In verità la pratica sin da quando, terminato il ginnasio, annunciò alla famiglia che avrebbe mollato tutto per ricominciare con la scuola d’arte. S’immaginava una vita dedicata al disegno, finché ha capito che la sua strada erano i vestiti. Nonostante le collezioni ideate per Marni lambiscano spesso e volentieri i territori dell’arte, Francesco rifugge l’appellativo di artista. Salvo portare nella progettazione una serie di pratiche del tutto affini all’arte per tradurle man mano in soluzioni industriali. Lo chiama “il segreto del mago”, un approccio all’ideazione intriso di artisticità che da qui in avanti si arricchisce di un programma di art residencies, in cui Marni ospiterà figure anche molto diverse tra loro, in un confronto serrato e totalmente libero con Risso.

L'OFFICIEL: Qual è il tuo primo ricordo legato all’arte?
FRANCESCO RISSO: Ora che mi ci fai pensare, mi rendo conto di non averci mai prestato attenzione, eppure mi incuriosisce l’idea. Chissà cosa c’era dietro a quel primo impatto? Non ho un’immagine precisa, una folgorazione, rivedo più che altro il momento in cui, dopo i primissimi avventurosi anni di vita trascorsi in barca a vela insieme ai miei genitori, ci siamo trasferiti nella casa di mio nonno. Alle pareti c’erano dei quadri settecenteschi molto cupi, delle prospettive infinite in cui un bambino poteva ritrovarsi in un tunnel di impressioni.

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Alcuni look di sfilata: collaborazione con l'artista Magdalena Suarez S/S 2018. Look Marni S/S 2023. Collaborazione con Flaminia Veronesi S/S 2023. Backstage della F/W 2024.


LO: Quando, invece, ti sei rapportato all’arte in modo più consapevole?
FR: Nel momento in cui ho capito di saper disegnare molto bene. Ero un adolescente e la scuola d’arte mi ha permesso di attivare delle tecnicità fino ad allora nascoste. Immaginavo per me una vita dedicata al disegno, poi ho realizzato che erano i vestiti la mia missione, con buona pace dei poveri armadi di famiglia.

LO: In che senso?
FR: Siamo un po’ degli squinternati. A un certo punto vivevamo tutti insieme, nonni, genitori separati con rispettivi figli, era una specie di comune, dove io ero il più piccolo e silenzioso, il mio modo di fronteggiare una situazione molto intensa. Mi esprimevo soprattutto attraverso le cose che smontavo e rimontavo. A nove anni facevo vestiti, purtroppo per la mia famiglia, usando i look di mia nonna - aveva un guardaroba pazzesco - di fratelli e sorelle, di mia mamma. Ero una specie di mega tarma, creare abiti era il mio linguaggio, il mio super-potere, qualcosa di talmente naturale, insito nel mio modo di fare, da convincermi a dirottare il percorso artistico verso tutto ciò che comporta la costruzione di un abito.

LO: Quanto di quel tipo di formazione hai traghettato nella tua moda?
FR: Moltissimo e ancora oggi ringrazio di aver percorso quella strada. In Marni l’uso del colore e della pittura è parte integrante della quotidianità dell’ufficio stile. Non sto dicendo che facciamo gli artisti, però, sì, dipingiamo continuamente e abbiamo trasformato questa pratica in un asset incredibile. Nel team ci sono dei talenti eccezionali, ormai una rarità perché sono in pochissimi in un’azienda di moda a saper dipingere. Non parlo del tipico bozzetto, mi riferisco proprio alla pittura. Siamo proprietari di tutti i disegni, perciò non dobbiamo chiedere aiuto a fornitori esterni. In tanti dicevano: “Perché fate capi dipinti a mano, non li venderete mai”, mica vero. A furia di applicarci ora sappiamo trasporre certe profondità, certe texture nei processi di industrializzazione.

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Fashion Show F/W 2020. Show Atmosphere. Sfilata Atmosphere F/W 2023. Atmosphere F/W 2024.


LO: Quindi consideri le vostre collezioni delle opere d’arte?
FR: No, ci sono differenze fondamentali tra un abito e un quadro. Salvo qualche caso, l’artista ha un rapporto intimo con l’opera attraverso cui trasmette un’emozione a chi la guarda. Il nostro compito è di creare una sorta di piacere nell’indossare ciò che produciamo, vestiamo i movimenti.

LO: Tu dipingi ancora?
FR: Le sessioni di pittura dell’ufficio stile sono un po’ il segreto del mago, il nostro momento speciale da ripetere regolarmente. Al rientro in azienda dopo la pandemia abbiamo trascorso un paio di settimane dedicandoci solo a quello. Molti dei ragazzi che lavorano con me arrivano da altre parti del mondo e avevano vissuto l’angoscia di quella situazione lontani dagli affetti, dalle famiglie, in più il nostro è un lavoro super sensoriale, perciò era come se ci avessero tagliato le gambe. Nel ritrovarci ci siamo detti, let’s get physical e abbiamo attaccato a dipingere ovunque nel nostro salone che è tutto foderato di tela. Abbiamo fatto dei fiori, sperimentato altri soggetti per arrivare a un tratto semplice, quasi brutale, una serie di righe, la migliore rappresentazione del nostro senso di unità. Da lì poi è scaturita l’idea della collezione (la S/S 2022, ndr).

LO: Sono diverse le collaborazioni con artisti che hai realizzato da Marni. Ce n’è qualcuna che ti è rimasta particolarmente impressa?
FR: Mi vengono i brividi se ripercorro quanto abbiamo fatto, certo resta grande l’emozione di confrontarsi con Magdalena Suarez Frimkess, la ceramista venezuelana oggi 95enne. Fino agli 84 anni il suo talento era rimasto nascosto, realizzava vasi pazzeschi, piccole sculture, piastrelle, tazze in un magazzino senza mostrare nulla perché il marito, ceramista famoso, filtrava tutti i contatti con l’esterno. Tramite un’amica comune, siamo riusciti a confrontarci, nonostante poco tempo prima lei si fosse rotta il braccio destro. Un giorno mi arriva un libro tutto disegnato con la mano sinistra e un messaggio in cui mi diceva di aver capito di poter creare tranquillamente anche così. Per me è stato un regalo quasi divino. Con lei, come con tutti, Marni ha un approccio fuori dal comune. Le collaborazioni sono all’insegna della totale libertà per l’artista. Non esiste il brief in cui ti dico cosa devi fare o prendo tre dei tuoi disegni e li schiaffo su una camicia. Il principio è fare qualcosa insieme dove si possa imparare gli uni dagli altri.

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La collaborazione Marni per Erykah Badu.

LO: Quindi hai imparato qualcosa?
FR: Tantissimo e da tutti, perché ho l’opportunità di vedere Marni dal loro punto di vista. Penso, per esempio, al musicista inglese Dev Hynes. Da lui ho appreso quanto sia importante la componente sensoriale, per cui non esistono più le playlist di sfilata, perché tutta la musica viene composta espressamente per noi. Insieme abbiamo costruito il suono di Marni. Mi viene in mente anche Michele Rizzo, coreografo e performer. Grazie alle sue opere in movimento ho scoperto l’erotismo, una qualità che al Marni di un tempo mancava. Per la sfilata uomo F/W 2020/21 avevamo coinvolto perfomers e ballerini, circa 200 persone tutte in scena e io da solo nel backstage a dirmi: cosa ci faccio qui da solo? Era stata un’emozione potente, la dimostrazione che la sensualità passa dal movimento, non da una scollatura.

LO: Cosa senti di aver trasmesso, invece?
FR: Credo di aver dato libertà, apertura e in alcuni casi lucidità. Ho messo a disposizione una piattaforma dove poter espandere la propria creatività in un contesto diverso dal solito.

LO: Che cosa si prospetta nel futuro di Marni legato all’arte?
FR: Abbiamo dato il via a una serie di art residencies che si ripeteranno più volte durante l’anno.

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Il making of di un look S/S 2024. L'abito unico creato per Nicki Minaj e indossato dalla pop star sul red carpet Met Gala 2024.


LO: Come funzionano e con chi hai già lavorato?
FR: L’idea è quella di sfruttare lo spazio di viale Umbria a Milano nei momenti in cui non lo utilizziamo per le campagne vendite o per gli show. Nel settembre scorso avrebbero dovuto arrivare Slawn e Soldier, rispettivamente Olaoluwa Akeredolu-Ale e Leonard Iheagwam, due artisti nigeriani che stimo molto. Purtroppo hanno negato loro il visto, quindi abbiamo deciso di raggiungerli noi a Londra. Per venti giorni abbiamo dipinto insieme, giorno e notte, su tele di notevoli dimensioni. È stata un’esperienza forte, per loro anche un grosso cambio di scenario, perché nella quotidianità lavorano in piccoli studi.

LO: E cosa ne farete di quelle opere?
FR: Presto lo scoprirete.

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Alcune collaborazioni artistiche. Installazione a Suzhou, Cina. L'esposizione di Flaminia Veronesi ospitata nella boutique di Marni in via Montenapoleone a Milano. Casa Marni a London Art.

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