Interviste

Alba Rohrwacher

Sceglie personaggi atipici, caparbi e pieni di grazia, anche quando sconfinano nella maniacalità borderline. Ricercata e riconosciuta per il suo talento anche all’estero, racconta la sua carriera in termini di incontri, prima che di ruoli.
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Una luminosità sullo schermo, un’eleganza di gesti, di modi di porsi, di parlare, una profondità di pensiero e di espressione rari. Un talento riconosciuto anche all’estero, e sottolineato da premi come il David di Donatello per “Giorni e nuvole” e “Il papà di Giovanna”, e la coppa Volpi per “Hungry hearts”. E una voce, esitante e convincente, infantile e maliosa, che funziona benissimo anche da sola, notoriamente come voce narrante della serie “L’amica geniale”. Alba Rohrwacher ha vari film in attesa della riapertura delle sale cinematografiche, “Tre piani” di Nanni Moretti, tratto dal romanzo di Eshkol Nevo con Riccardo Scamarcio e Margherita Buy, il film d’esordio di Chloé Mazlo “Sous le ciel d’Alice” presentato all'ultima Semaine de la critique a Cannes, e “Last words” di Jonathan Nossiter, «in giro per i pochi festival in streaming che si stanno tenendo». Ha girato “The lost daughter” di Maggie Gyllenhaal, con Ed Harris e Olivia Colman, ed è attualmente sul set del nuovo film di Laura Bispuri.

L’Officiel Italia: Sei forse l’attrice italiana più ricercata all’estero, e hai girato moltissimi film. Come riassumeresti il tuo percorso?

Alba Rohrwacher: In termini di incontri significativi. Per me rispetto ai ruoli viene sempre prima l’incontro con registi che hanno saputo educare e nutrire la mia visione del cinema e dell’arte. A partire da Marco Bellocchio, cui debbo la mia prima apparizione sul grande schermo ne “L’ora di religione”, per cui ero stata scelta con altri compagni del Centro Sperimentale di Cinematografia, e con cui poi ho fatto altri tre film. Pupi Avati mi ha diretto ne “Il papà di Giovanna”, personaggio a cui sono legatissima. Silvio Soldini, con cui ho girato tre film con cui sono cresciuta, Guadagnino con cui ho realizzato tre corti e un film (“Io sono l’amore”, 2010), Daniele Luchetti, (regista di “Lacci”, 2020). Saverio Costanzo, un incontro artistico folgorante e profondissimo poi diventato condivisione di vita. Laura Bispuri, che mi ha spinta a un lavoro profondissimo, spericolato, proponendomi “Vergine giurata”, storia di una ragazza albanese del Nord che decide di farsi uomo negando il proprio sesso. All’inizio avevo rifiutato pensando fosse un azzardo troppo grande, lei però era convinta, come lo sono i grandi registi, di convincermi con la sua fiducia, che mi ha effettivamente dato la forza di buttarmi in un’impresa così rischiosa, in un film che da allora considero come uno dei film della mia vita. Ginevra Elkann è un altro incontro importante: eravamo amiche, lei aveva scritto il primo film, sapevo la storia di “Magari”, ma non mi aspettavo mi chiedesse di partecipare, per cui quando ho letto la sceneggiatura non l’ho fatto con l’attenzione dell’attrice, che considera la parte dal punto di vista di quello che potrebbe farne, e mi ero semplicemente innamorata della grazia con cui aveva raccontato la famiglia...  Tempo dopo lei mi ha chiesto di fare Benedetta, lasciandomi trasecolata perché la parte era stata inizialmente scritta per una ragazza con un’età molto inferiore alla mia. Ma Ginevra aveva capito che cambiando l’età di Benedetta il rapporto con un ragazzo giovane sarebbe diventato molto più interessante. Ho accettato per amore di una storia, di una regista e poi del personaggio, di questa atmosfera dolce e concentrata dove io e Riccardo (Scamarcio, nda) siamo due bambini chiusi in una bolla di affetto a gennaio, a Sabaudia, in una casa abbandonata. Ho amato la spontaneità di rapporto che si formava giorno per giorno, anche se non è che ci inventassimo chissà che, perché Ginevra  aveva comunque un punto di vista molto preciso. È andata a toccare un storia vicinissima a lei, poteva essere un autogol, ed invece è stato un successo. Altri incontri speciali, quelli con Gianni Zanasi (il regista di “Troppa grazia”) e Desplechin (che l’ha diretta ne “Il fantasma d’Ismael”).

LOI: Su cosa si fonda il rapporto tra regista e attore?

AR: Sul trovare un alfabeto comune, né la mia lingua né la tua lingua: una lingua condivisa.

LOI: Come è evoluto il tuo rapporto con Saverio Costanzo?

AR: Piano piano si crea una famiglia di cinema che va al di là del cinema, con rapporti che sono diventati la mia vita. Con Saverio c’è stato un prima e un dopo: dopo “La solitudine dei numeri primi” (2010) è cambiato qualcosa dentro di me, perché è stato il mio primo lavoro così profondo sul corpo. Anche Silvio Soldini mi aveva fatto fare un lavoro fisico importante, ma dimagrire così tanto è stato straziante. Provavo una sensazione di potenza enorme, raccontavamo una malattia borderline che all’inizio ti fa sentire un super eroe, una patologia da cui è molto difficile difendersi perché molto affascinante. Al contrario Luca Marinelli, appesantendosi, è entrato in un’altra dimensione. Per me Luca è un fratello, lo amo molto da spettatrice.

 

Camicia stampata su gonna di georgette e sandali, Chloé; bracciale "Iconica bold", Pomellato.

LOI: Un rapporto speciale è quello con tua sorella Alice

AR: Con Alice sono legata dallo stesso codice di lavoro che ha fatto diventare me attrice e lei regista. Sul set viene fuori il meglio, come se nella collaborazione artistica le piccole increspature, i nervosismi di sorellanza, che ne so, per i vestiti, si risolvessero magicamente. Condividiamo lo stesso immaginario, ci intendiamo prima di parlarci, io capisco che la tazzina sul tavolo che lei sta pensando di eliminare non va bene in quella posizione. Quando mi propose “Le meraviglie” (il film del 2014 con cui ha vinto il Grand Prix speciale della giuria per la regia a Cannes, nda) all’inizio non volevo fare la madre perché mi sembrava di essere troppo giovane… È stato un film di memorie condivise, mentre con “Lazzaro felice” sono entrata nel suo mondo.

LOI: Il tema della sisterhood, della solidarietà tra donne è uno dei fili conduttori di questo numero de L’Officiel Italia. Che rapporto hai con Valeria Golino, con cui hai scelto di fare la copertina?     

AR: Dopo “Vergine giurata” Laura Bispuri mi ha proposto un secondo film, “Figlia mia”, che aveva proposto anche a Valeria. È stato un ballo a tre di cui ho ricordi pieni di nostalgia. È grazie a questo film che il nostro legame è diventato solido: siamo in grado di dirci la verità senza mai edulcorare la pillola. La sincerità è facile con mia sorella, sappiamo che ci diciamo sempre la verità, ma non è facile creare un patto simile con qualcun altro. E una sorellanza, un incontrarsi nell’arte e un portare l’incontro fuori dall’arte, è quella con Jasmine Trinca, che due estati fa mi ha chiamato per il suo debutto alla regia (con il corto “BMM-Being My Mom”, presentato lo scorso settembre a Venezia, nda):  è stata una piccola grande esperienza, ho trovato bellissimo che si affidasse a me!

LOI: Quali sono stati i tuoi ruoli più difficili?

AR: Quello di “Vergine giurata”. Anche quello di Mina in “Hungry hearts” con Adam Driver è stato molto complesso, anche se le ho creduto da subito. Ecco, se c’è una cosa che mi riconosco come attrice è la capacità di credere! E poi il mio personaggio ne “Il papà di Giovanna”. Un altro salto nel vuoto è stato quello richiesto da “Troppa grazia”, per arrivare alla leggerezza, all’incaponimento di Lucia...

LOI: Mai pensato di passare alla regia?

AR: La regista? E come faccio? Con questa famiglia mi sento troppo scoraggiata...

LOI: Che rapporto hai con la moda?

AR: Da bambina sognavo di poter diventare una stilista, e riempivo interi quaderni di modellini che visti oggi fanno sorridere per la loro ingenuità. Da sola a casa stavo delle ore a guardare E! Entertainment, incantata dalle passerelle. Poi questa passione di disegnare mi è passata. Non ho mai seguito la moda nel senso di interessarmi a cosa va quest’anno. Mi piace sperimentare, mi piace quando la moda mi stravolge. Mi è capitato che i personaggi che ho interpretato in alcuni servizi fotografici mi siano serviti in seguito da spunto per i personaggi di nuovi film.

LOI: Un fotografo di moda che ami?

AR: Peter Lindbergh: io ero un pulcino, forse al secondo servizio fotografico della mia vita. Ero un disastro, impacciata, inconsapevole, lui mi ha preso in una specie di danza d’amore. Le foto che mi ha scattato sono immagini cui sono molto legata. Tra il fotografo e la persona fotografata c’è uno spazio che può essere vuoto, o pieno. Con Lindbergh era pieno.

LOI: Sei una delle attrici italiane che ha lavorato di più all’estero. Quanto ti interessa una carriera internazionale?

AR: Girare all’estero è sempre un regalo, un arricchimento, anche se a volte può essere molto duro esprimersi in un’altra lingua. Ho lavorato in Germania, Francia, Austria, Svizzera e Inghilterra, essendo per metà tedesca e perché parlo francese, comunque il 90% del mio lavoro si svolge in Italia.

LOI: Il tuo sogno nel cassetto?

AR: Non dico i sogni per paura che poi non si avverino. Anche se tanti li ho già realizzati perché sono riuscita a lavorare con chi volevo.

Blazer, gilet e pantaloni di lino, Fendi; sandali, Chloé.

TALENT Alba Rohrwacher
FOTOGRAFO Gianmarco Chieregato 
STYLING Giulio Martinelli 
TEXT Fabia Di Drusco
HAIR Giannandrea Marongiu
HAIR ASSISTANT Alessandro Rocchi
MAKE UP Nicoletta Pinna @SIMONEBELLIAGENCY e Manola Spaziani @SIMONEBELLIAGENCY
MAKE UP ASSISTANT Raffaele Schioppo
PHOTO ASSISTANTS Gerardo Gaetani e Gianni Franzo
STYILIST ASSISTANTS Adele Barraco e Terry Lospalluto
PRODUCTION PSUITE19

Trench di gabardine, pantaloni di seta e pumps, Louis Vuitton.

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